17:41 – 04/05/10 – Lettera di una insegnante precaria sulle prove INVALSI…

La lettera è di una precaria temporanea che non se la sente di esporsi. credo meriti una riflessione.

Alla redazione di TerritorioScuola InterAzioni.

“Ore 9,00 del giorno lunedì 3 maggio 2010”. I bambini in classe sono tutti presenti, e la mia collega di italiano decide di somministrare una prova propedeutica allo svolgimento dei test INVALSI relativi alla sua area disciplinare che sarà distribuita nei prossimi giorni.

La prova consiste in cinque fotocopie il cui contenuto prevede l’abilità del bambino nell’abbinare una ventina di parole circa ai relativi disegni equivalenti.

Siamo in una IIª elementare, e a questi bambini viene richiesto nell’arco di cinque minuti, molti di più di quelli previsti dall’INVALSI che ne richiede due, di associare circa un’ottantina di parole ad altrettanti disegni, e siamo sempre in una II elementare (!)

Una bambina, allo scadere del tempo, non riesce a completare il lavoro, e dunque si mette a piangere, ha un respiro affannoso a causa dell’agitazione, il suo senso di disagio e di disuguaglianza è palpabile ed è quindi in preda ad una piccola (come d’altronde lei) crisi di panico.

Mi avvicino a G. e guardandola negli occhi le spiego che questo test non ha nessun valore, che il Ministero che è il capo delle sue maestre lo usa per valutarle e che non sentenzieremo nessun tipo di giudizio nei suoi confronti. Le chiedo se secondo lei un individuo si può valutare in cinque fotocopie e che se c’è qualcuno che lo pensa non è un bravo maestro o una brava maestra, è solo un buon giudice e lei ne conviene con me. Le faccio presente, che i suoi pensieri, le sue attitudini e capacità di bambina di 8 anni non finiranno né cominceranno con queste cinque pagine e che dentro di lei il libro del sapere si sta componendo giorno per giorno ed è sicuramente più ricco e colorato di quel fogliame senza valore.

Poi segue un abbraccio ed una carezza, e la sua ansia da prestazione si scioglie tra le mie braccia e tutto torna a sorridere, ma la sua umiliazione è anche la mia e il senso di disagio nel vivere in un mondo che ti valuta fin da piccola e non ti valorizza, ci accomuna.

Nei prossimi giorni, un’ispettrice o un ispettore del Ministero, vigileranno su noi insegnanti perché ci sia impedito di fare una cosa che è presente in noi per natura: aiutare i più deboli e quindi i più piccoli nei loro processi di apprendimento.

Dovremo quindi rifiutare le loro richieste d’aiuto lecite se mosse da un discente in erba nei confronti delle figure nelle quali ripone le speranze del proprio futuro: le sue maestre.

12:06 – 27/12/09 – Chiede Riduzione a Stato Laicale, Insegnante di Religione Licenziato.

Aniello D’Angelo, diacono di Centola SA dal 1997 e insegnante di religione, ha annunciato pubblicamente su Facebook il 29 giugno scorso di aver inviato una lettera a Benedetto XVI, alla Congregazione per la dottrina della fede, al vescovo del Vallo della Lucania e al parroco della chiesa di San Nicola di Mira a Centola, nella quale chiedeva la riduzione allo stato laicale.

Secondo D’Angelo, la decisione “sofferta, pregata e meditata” è stata presa perchè “la Chiesa voluta da Gesù non si riflette più nella Chiesa cattolica” e perchè “non vi era differenza con i palazzi di potere politico ed economico”.

Il vescovo Giuseppe Rocco Favale della diocesi di Vallo della Lucania, per tutta risposta, ha emesso il 23 dicembre un decreto in cui viene ritirata l’idoneità all’insegnamento perchè D’Angelo avrebbe continuato a “denigrare l’operato della Chiesa cattolica e di questa diocesi” e si sarebbe rifiutato di “accettare l’invito a recarsi presso la Curia diocesana per giustificare ed eventualmente rivedere il suo comportamento gravemente lesivo della comunione ecclesiale”.

In sostanza, D’Angelo dall’anno prossimo non potrà più insegnare religione. D’Angelo ha recentemente rilanciato, pubblicando su Facebook una sua lettera in cui annuncia di “voler lasciare la Chiesa cattolica e di voler essere depennato dai registri parrocchiali, diocesani e vaticani”, procedura che ricorda quella ormai formalizzata da anni proprio dalla Uaar con lo “sbattezzo”.

Fonte: UAAR

21:14 – 26/10/09 – Basta precariato a Scuola: Vado in Africa..

La cartella da prof l'ha messa in valigia. Come diceva Piero Gobetti: Insegnare non è un mestiere, è una missione. E lui, Emiliano Sbaraglia, 38 anni, docente precario e scrittore, è un professore in fuga. In Africa. Per necessità. Una protesta per la libertà individuale di continuare a fare quello che ama di più: l'insegnante. No, la mia non è una fuga di cervelli, spiega. È una protesta in solitudine contro la scuola della maestra unica Mariastella Gelmini.

Ma decisa su due piedi soprattutto dopo l'ultima sortita del superministro all'Economia, Giulio Tremonti sul posto fisso. Sono stufo di aspettare Godot – sottolinea Sbaraglia -. Sono stanco di sperare nella buca della posta in attesa di una supplenza che non arriverà mai. Vado ad insegnare in Africa. Non resto in Italia in attesa che la Gelmini mi faccia la grazia. Sono un prof e questo voglio fare. Non mi sento italiano, purtroppo lo sono, come cantava Gaber. E visto che nel mio paese non mi è permesso insegnare, quanto vale andarsene piuttosto che mettermi in mutande e subire umiliazioni.

Il professore-scrittore resterà fuori anche dal provvedimento di governo (il cosidetto dl salva precari), insieme ad un centinaio di lavoratori precari della scuola. Una misura che mette una pezza al buco senza risolvere la macelleria sociale, anzi crea divisioni avvilenti tra un supplente e un precario.

Mentre scriviamo Sbaraglia è in volo per il Senegal. La sua meta, un centro di accoglienza a sessanta chilometri dalle banlieu di Dakar. Qui insegnerà ai bambini della spiaggia la lingua francese. Li andrò a prendere uno ad uno – racconta con il magone in gola – e li porterò a turno nella Casa della solidarietà Giovanni Quadroni. Il francese è la lingua ufficiale e questi bimbi parlano soltanto il dialetto locale. Insegnare è la mia vita, almeno faccio qualcosa di utile per il futuro dei piccoli africani.

Dalla cartella di prof spuntano matite colorate e disegnini in fotocopia. Sbaraglia li rimette in ordine e continua: Sono undici anni che sono precario. Avevo 28 anni quando arrivò la mia prima convocazione di una scuola. Che emozione! Ma temo che resterò precario a vita: non sono mai andato oltre i quaranta giorni continuativi di insegnamento.

I suoi primi studenti, i ragazzi di un liceo scientifico a Grottaferrata, in provincia di Roma. Una classe difficile, da portare alla maturità e indietro con il programma di Italiano e Latino. Emiliano Sbaraglia è il loro supplente. Tra i banchi anche un pluribocciato di 22 anni, Daniele G. Ogni tanto ci sentiamo ancora con questo mio studente che oggi è quasi mio coetaneo!.
Sono proprio i suoi ragazzi a mancargli di più. Sono belli gli studenti – scrive il prof-scrittore nel libro: La scuola siamo noi (Fannucci editore) -. Ci sono quelli timidi e quelli espansivi, quelli simpatici e quelli ancora da educare, quelli gentili e quelli scontrosi. Mi piace studiare con loro e per loro, spiega. Alla fine di una supplenza, la sensazione più brutta è quella di abbandonare i ragazzi dopo aver vissuto dei mesi insieme. Il tempo passa e le classi cambiano, ma ogni volta separarsi da una di esse porta sempre con sé il segno di un piccolo dolore. Una ferita che verrà rimarginata soltanto dal prossimo primo giorno di scuola. Se e quando verrà.

Laureato con tanto di lode Sbaraglia ha vinto una borsa di studio, un dottorato di ricerca all'Università di Tor Vergata. E fino ad oggi ha continuato a collaborare con il professore che ha curato la sua tesi su Piero Gobetti. Sperando in un concorso che non vede luce. Nei ritagli tra una supplenza e l'altra, il prof-scrittore si adatta come può per sopravvivere e non cadere in depressione: Ho fatto il bagnino al mare, il pr nelle discoteche, il libraio, il cameriere a Brooklyn. Ma adesso basta. Sono stanco di questa vita precaria. Me ne vado in Africa.

Tutta la sua amarezza, il suo sconforto l'ha messo per iscritto in una lettera aperta al ministro Gelmini: un testo che sarà la prefazione della ristampa della Scuola siamo noi. E che suona come un addio. Arrivederci Gelmini, vado a insegnare in Africa.

Fonte: L'Unità

13:57 – 09/09/09 – Giorgio Stracquadanio e la S(q)uola I(TAGLI)ana..

Video Courtesy TerritorioScuola – Servizio di Claudio Messora

Giorgio Stracquadanio, deputato PDL e consulente politico di Maria Stella Gelmini, viene intervistato da RaiNews24.

Giorgio Stracquadanio dice: «Fino all’anno scorso, dipendevano dal Ministero della Pubblica Istruzione 1 milione e 300 mila persone. Il piano di riduzione prevede che in 3 anni si passi a 1 milione e duecentomila. Come si attua e perché si attua questa riduzione? Uno, si attua perché essendoci meno studenti, occorrono meno insegnanti.»

Ma non è Pereira..
Ma non è Pereira..

Giorgio Stracquadanio dice che ci sono meno studenti. Ma è vero?  Ecco i dati per l’anno scolastico 2009/2010:

  1. Scuola materna: per la prima volta supereremo il milione di bambini. 28 mila in più dell’anno scorso. Una media di quasi 24 bambini per classe.
  2. Scuola media: da settembre ci saranno 18 mila studenti in più. Contestualmente, ci saranno ben 120 classi in meno.
  3. Scuola superiore: Dai 21,8 alunni per classe dello scorso anno, si passa a 22,1 alunni. Ci saranno classi con più di 30 alunni, esclusi uno o più eventuali alunni disabili.
  4. Disabili: sarà l’anno record per la presenza di alunni disabili: oltre 178 mila contro i 176.000 dell’anno scorso. Gli insegnanti di sostegno, tuttavia, restano invariati: 90.469.

Giorgio Stracquadanio dice: «Il giornalismo italiano è quello che questi numeri non dice.»

O è lui che questi numeri non li dà?

Giorgio Stracquadanio dice: «Quello che deve essere chiaro a tutti è che la scuola ha smesso definitivamente di essere un ammortizzatore sociale, quello per il quale si va a scuola non perché si ha una vocazione a insegnare, si fa un concorso e lo si vince, ma per cui si cerca un posto qualunque e si spera in una sanatoria.»

Giorgio Stracquadanio dice che i precari non hanno vinto nessun concorso, e che scelgono la scuola come si sceglierebbe un posto qualunque. Ma è vero?

Nella scuola lavorano due tipologie di precari: quelli abilitati e quelli non abilitati. In entrambi i casi, sono inseriti in graduatorie stilate sulla base di titoli posseduti e quindi di una professionalità ritenuta idonea al ruolo da ricoprire. I precari abilitati hanno sostenuto un concorso, e in alcuni casi anche un corso propedeutico della durata di 1 o 2 anni, per ottenere l’abilitazione, ossia quel titolo con validità ministeriale che permette di essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. I concorsi e i corsi per accedere a tali graduatorie, stilate per assegnare contratti a tempo indeterminato e determinato nella scuola, sono stati organizzati dallo stesso Ministero dell’Istruzione, con la partecipazione delle università che hanno certificato conoscenze e competenze idonee per l’insegnamento di una precisa materia.
I precari abilitati hanno effettuato un lungo percorso verso il ruolo – l’assegnazione di una cattedra a tempo indeterminato. Hanno acquisito conoscenze e competenze specifiche, certificate, in anni di servizi svolti anche in scuole diverse, spesso non percependo che 10 mensilità annuali.

Giorgio Stracquadanio dice: «Ci dobbiamo interessare a lungo di una cena a cui partecipa il presidente del Consiglio.»

Una cena, caro Stracquadanio, cui parteciparono:

  1. Silvio Berlusconi (presidente del Consiglio);
  2. Angelino Alfano (Ministro della Giustizia);
  3. Niccolò Ghedini (avvocato di Berlusconi e parlamentare PDL)
  4. Carlo Vizzini (presidente commissione Affari Costituzionali al Senato della Repubblica)
  5. Luigi Mazzella (giudice della Corte Costituzionale)
  6. Paolo Maria Napolitano (giudice della Corte Costituzionale)

Il 6 ottobre 2009 la Consulta giudicherà sulla legittimità costituzionale del Lodo Alfano, che rende immuni le quattro più alte cariche dello stato dalla mano della giustizia. Il lodo Alfano porta il nome del commensale n°2; è stato scritto in toto, in parte, o con la fondamentale consulenza del commensale n°3; è già servito a salvare il commensale n°1 dal processo per corruzione sul caso Mills, e verrà votato dai commensali n°5 e n°6. Potrebbe essere stata l’ultima cena. L’ultima del nostro ordinamento democratico.

Giornalista: «Che cosa consiglia al professore qui presente (ndr: un insegnante precario di educazione fisica) che dopo 25 anni si trova a rischio di perdere il posto di lavoro?»

Giorgio Stracquadanio dice: «Io in questo momento sono un deputato. Tra 4 anni potrei non esserlo più. Sono un giornalista e non ho nessun giornale che mi attende. Non ho nessuna aspettativa. Cosa mi consiglia lei di fare, nel caso in cui io non venissi ricandidato, rieletto e perdessi il lavoro? Di darmi da fare a cercarne un altro. O sbaglio?»

Caro Giorgio Stracquadanio, …sbagli!

Fra 4 anni, al termine della legislatura, avrai la tua pensione da parlamentare.  Hai idea di quante famiglie di precari ci vivrebbero?

Fonte: Claudio Messora – ByoBlu.com