17:05 – 22/09/11 – Per ricostruire l'Italia si ricominci dalla Scuola…

Scuola Italiana
Scuola Italiana

Nuovo anno scolastico e va peggio di prima. Di nuovo aule sporche e insicure, aule ancora più affollate, tagli di bilancio che continuano ad infierire e che rendono difficile il sereno svolgimento delle attività scolastiche.

L'Italia investe poco sull'istruzione, è una constatazione confermata da tutte le rilevazioni statistiche. Il nostro Paese riserva alla scuola il 4,8% del Pil, mentre in media i paesi Ocse le garantiscono il 6,1%. I numeri mostrano un gap tra l'Italia e gli altri Paesi europei, non c'è niente da fare.

Il primo effetto di questo disinvestimento sulla scuola è il fenomeno della dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile. Infatti, secondo l'ISFOL sono quasi 120mila i dispersi tra i 14 e i 17 anni, il 5% il che significa che 117.429 ragazzi in questa fascia d'età abbandonano gli studi. Questi ragazzi fuoriescono da qualsiasi percorso formativo, con un forte divario tra Nord e Sud: oltre 71mila risiedono al sud e nelle isole, mentre al Nord, le percentuali sono del 4,5% nel nord ovest e dell'1,7% nel nord est.

La disoccupazione giovanile è in crescita: mai così tanto dal 2004. Lo rileva l'Istat nel primo trimestre di quest'anno, secondo cui il tasso di disoccupati degli italiani tra i 15 e i 24 anni è aumentato al 28,6. C'è un legame (ovvio) fra efficacia dei percorsi formativi e occupazione. Tanta manodopera priva di formazione non può competere, in tempi di globalizzazione, con economie emergenti che, tra l'altro, stanno creando un sistema di istruzione in grado di preparare giovani qualificati in numero tale da rifornire di tecnici e ingegneri anche parte dei paesi occidentali.

E, invece, la scuola ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo al risanamento dei conti pubblici e questo ben prima dell'ultima manovra e cioè a partire dalla legge 133 del luglio 2008. Anche se è sempre stato dichiarato dal Ministero dell'Istruzione che non si sarebbe avviata una riforma del sistema scolastico ma solo una sua razionalizzazione, nei fatti i cambiamenti che si registrano hanno avuto un effetto pari e superiore all'avvento di una riforma.

Tanti sono i punti dolenti causati dalla politica del governo. L'istituzione del maestro prevalente per la scuola primaria; il conseguente taglio di migliaia di posti di insegnanti e di personale ATA, con ripercussioni sul tempo pieno e sull'inserimento dei disabili; l'innalzamento progressivo del numero di alunni per aula fino all'esplosione del fenomeno delle classi scatola di sardine (circa 2.200 aule, con 66.000 studenti nel 2011); il ristabilimento dei voti al posto dei giudizi e del voto in condotta che incide sulla valutazione; la proposta di reinserimento dell'ora di educazione civica e dei grembiulini scolastici, poi, nei fatti, ritirate; la percentuale del 30% di alunni stranieri rispetto a quelli italiani; la riforma della scuola secondaria di II grado; il blocco degli scatti di anzianità per il personale. E, tra i più recenti: l'innalzamento del limite minimo di dimensione degli istituti comprensivi ad almeno 1.000 alunni (500 per quelli delle piccole isole, dei comuni montani); l'esclusione dei Dirigenti scolastici nelle istituzioni scolastiche con meno di 500 alunni (300 nelle piccole isole, nelle comunità montane, ecc.) con affidamento a reggenti; la riduzione del numero di Dirigenti scolastici; l'immissione in ruolo di 30.000 docenti precari e di personale ATA; la riduzione di fondi all'autonomia scolastica (da 127 milioni del 2010 a 79 milioni del 2011) che significa, tra l'altro, sforbiciate su tutte quelle attività previste dal Piano di Offerta Formativa e tanto amate dagli studenti (gite scolastiche, lingue straniere, corsi, ecc.). Il mancato rifinanziamento della legge ordinaria dell'edilizia scolastica, lo stanziamento di fondi straordinari (Fondi FAS, 1 miliardo di euro), con criteri e modalità di assegnazione discutibili e ancora in fase di implementazione per poco meno della metà; il mancato avvio della materia Cittadinanza e Costituzione. Tutto ciò rende la scuola più fragile e meno credibile.

Che la scuola per troppo tempo sia stata considerata alla stregua di un ammortizzatore sociale, che sia necessario apportare razionalizzazioni, per es. alla rete scolastica, che sia urgente eliminare fonti di spreco ed eccessivi squilibri, che sia indispensabile rivederne il sistema di governance: tutto ciò corrisponde al vero ma non giustifica un'operazione geometrico-quantitativa, come quella realizzata da tre anni a questa parte, che non è stata in grado di avviare alcuna politica legata al merito, non è stata in grado di elevare la qualità dell'istruzione e, tanto meno, di avviare una politica di investimento e di sviluppo.

Se la crisi in atto è anche e, forse, soprattutto crisi di un sistema di governo che ha puntato in maniera scellerata sull'egoismo e sull'individualismo esibendo, peraltro, esempi riprovevoli di comportamenti distruttivi di un'etica pubblica minima basata sul rispetto delle istituzioni, sulla cura degli interessi generali e sulla legalità, allora è incontestabile che il ruolo formativo della scuola torna ad essere un asset strategico per l'Italia.

Bisogna sperare che una nuova classe dirigente lo assuma come uno dei suoi impegni principali.

Adriana Bizzarri, Responsabile Scuola di Cittadinanza Attiva

Fonte www.civicolab.it

12:32 – 20/06/11 – La Valutazione dei Docenti Italiani (Rapporto OCSE-TALIS)

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

[Sintesi del documento] Le ricerche condotte dall’OCSE – PISA sono note a tutti. I risultati di tali indagini sugli apprendimenti hanno spesso come effetto una grande diffusione e il successivo alternarsi di punti di vista, di prese di posizione, di proposte e contro-proposte.

L’OCSE ha condotto anche la ricerca TALIS i cui risultati, ai fini dell’analisi comparativa dei diversi sistemi di istruzione, rivestono uguale importanza. Eppure ai risultati di questa indagine non si è voluto attribuire uguale rilievo. Anche il Miur, che ha aderito al progetto e partecipato alle spese, non ha ritenuto di dare ampia diffusione ai risultati della ricerca che è rimasta dunque ignota ai più.

TALIS è una ricerca che parte da un preciso punto di vista quello dei docenti: “in che modo gli insegnanti percepiscono la propria professione?” I risultati sono stati raccolti in un database, la Uil Scuola ha scelto di esaminarne alcuni.

OCSE —TALIS


Teachers And Learning International Survey


Indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento


Sintesi della ricerca

L’indagine Ocse Talis, rappresenta in primo tentativo di analizzare, parametrandole, le dichiarazioni dei docenti in relazione al lavoro svolto a scuola. Non un’indagine su dati, quindi ma sullo ‘status’.

Quella che viene esaminata è la percezione che gli insegnanti hanno della loro professione.

Un approccio nuovo, per una indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento condotta in 23 paesi del mondo, Italia inclusa, che ha messo in un data base le dichiarazioni di un campione significativo di insegnanti e presidi di scuola superiore di primo grado.

La prossima edizione della ricerca sarà nel 2013 e opererà anche sui dati dell’indagine Pisa 2012 con i risultati degli studenti. L’ufficio studi e ricerche della Uil scuola ne ha messo a confronto i dati.

Misurare la ‘soddisfazione’:

Gli italiani al primo posto.

Sono gli insegnanti italiani quelli più soddisfatti del lavoro svolto in classe. Il 95% dei docenti di scuola media dichiara, infatti, di essere appagato del proprio lavoro anche in relazione al clima disciplinare in aula e al rapporto con gli studenti. Nella classifica internazionale gli italiani registrano 6 punti percentuali in più rispetto alla media (89,6%) seguiti dai colleghi sloveni, belgi, messicani, bulgari e austriaci.

Ad essere i meno soddisfatti sono gli australiani (82,4%) e poi gli ungheresi, i turchi, i brasiliani e i portoghesi.

Misurare il ‘tempo’:

In Italia troppa burocrazia e più tempo per tenere l’ordine in classe.

I docenti italiani lamentano di dover utilizzare il 14% del tempo per mantenere l’ordine in classe.

Più alto della media dei 23 paesi è anche il tempo che è sottratto all’insegnamento per espletare troppi adempimenti burocratici (8,8%). Una situazione che accomuna gli insegnanti italiani a quelli spagnoli.

Sono gli insegnanti brasiliani a faticare di più per mantenere l’ordine (17,8% del tempo passato in classe).

In Estonia, Lituania e Polonia ci vuole invece meno tempo: il 9% circa.

Il maggior peso negli adempimenti burocratici tocca agli insegnanti messicani con un carico di pratiche pari al 16,5% del tempo, quasi il doppio rispetto alla grande maggioranza degli altri paesi.

Misurare l’’efficacia’.

Sono i norvegesi a sentirsi ‘più bravi’. Italiani al secondo posto.

L’indagine TALIS ha interrogato i docenti sulla percezione che loro hanno dell’ efficacia personale in relazione all’attività educativa con i propri studenti. Sotto la lente di ingrandimento sono state messe una serie di variabili relative al lavoro d’aula, non sotto il profilo delle materie insegnate, ma su quello relazionale.

I docenti sono stati invitati ad esprimersi sulla loro personale percezione che:

l’insegnamento produce significativi cambiamenti nella vita dei propri studenti;

si riesce a far progredire anche gli studenti più difficili e non motivati;

si ha successo con gli studenti nella propria classe;

si riesce a mettersi in relazione con gli studenti;

si crea una piacevole atmosfera di apprendimento;

non si deve perdere molto tempo all’inizio della lezione, per avere degli studenti “tranquilli”;

non si perde tempo a causa di studenti che interrompono la lezione.

L’analisi comparata dei dati mostra che è appannaggio dei docenti norvegesi la più positiva percezione complessiva circa l’efficacia del loro lavoro, al secondo posto gli italiani mentre, all’estremo opposto, si situano i professori coreani e quelli spagnoli.

Misurare la ‘crescita’.

attività di sviluppo professionale: sono ancora in pochi a seguirle ma sono tante le giornate impegnate

Tra i temi affrontati nella ricerca c’è anche quello della partecipazione ad attività di sviluppo professionale: si va dai corsi / seminari alle conferenze o seminari di formazione, dai programmi di qualificazione (ad esempio un corso di laurea) alle visite di osservazione in altre scuole, dalla partecipazione ad una rete di docenti alla ricerca individuale, fino alle esperienze di tutoraggio, osservazione ed esercitazione con colleghi, come parte di un sistema di formazione formale, alla lettura di testi professionali, al dialogo fra colleghi.

E’ stato quindi chiesto agli insegnanti se hanno partecipato a tali attività negli ultimi 18 mesi e per quanti giorni: il risultatoˆ è che, in tutti i Paesi, la partecipazione a questo genere di attività è piuttosto ampia.

L’Italia si colloca sotto la media per numero di insegnanti coinvolti.

Per quanto attiene invece al numero medio delle giornate impegnate in tali attività, si va da un minimo di 5,6 giorni dell’Irlanda ad un massimo di 34 giorni del Messico, attestandosi la media di tutti i Paesi a 15,3 giorni medi nel periodo dei 18 mesi considerati. I docenti italiani, al quarto posto, si situano abbondantemente al di sopra della media con 26,6 giornate medie.

I risultati mostrano quindi che è ancora basso, rispetto al dato medio, il numero di insegnanti coinvolti in attività di sviluppo professionale. La durata di queste attività, per chi le svolge, è invece ben al di sopra del dato medio degli altri paesi.

Misurare i ‘bisogni’.

Forte e al passo con i tempi in Italia la domanda di formazione in servizio.

L’inchiesta TALIS non si limita a registrare le dichiarazioni dei docenti circa le attività ma domanda anche quale siano le loro necessità d aggiornamento.

Tra i settori nei quali gli insegnanti dichiarano di avere maggiore bisogno di aggiornamento ci sono l’insegnamento a studenti con bisogni speciali di apprendimento (31,3%) e lo sviluppo di competenze nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, TIC, (24,7%).

I docenti italiani esprimono una diffusa domanda di formazione, superiore di 10 punti alla media dei colleghi delle altre nazioni. Per loro rappresentano delle priorità: l’insegnamento a studenti con bisogni speciali (35,3%), l’esigenza di migliorare la pratica didattica (34,9%), l’accrescimento delle competenze nel proprio ambito disciplinare (34%).

Misurare il ‘lavoro’.

Ancora pochi gli insegnanti coinvolti nei processi di valutazione.

Una parte dell’indagine Talis è dedicata alla valutazione degli insegnanti. Ricerca condotta non in modo ‘generico’ ma basata sulla richiesta di ‘precise’ esperienze di valutazione, sia interna che esterna, che i docenti hanno avuto negli ultimi cinque anni.

Il 13,8% dei docenti dei 23 paesi esaminati dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di valutazione.

Per gli italiani questa percentuale è del 20%. Sono gli spagnoli, i danesi, i portoghesi, gli austriaci e gli irlandesi i meno valutati. Coreani, ungheresi, slovacchi e turchi sono quasi tutti sottoposti a processi di valutazione.

Per quanto riguarda la valutazione interna quasi la metà degli insegnanti italiani è impegnata almeno una volta l’anno nelle pratiche di autovalutazione della scuola, livello simile alla media degli altri paesi.

Per quanto attiene alla valutazione esterna oltre il 60% dei nostri insegnanti non è mai stato coinvolto (negli altri paesi il livello di quanti non hanno ricevuto mai una valutazione è mediamente intorno al 30%).

L’11, 3% è stato coinvolto una volta, il 14,6% da due a quattro volte, il 12,3 % una volta all’anno, solo l’1% più di una volta all’anno.

Misurare il ‘merito’

E’ un ‘grazie’ il riconoscimento più diffuso in Italia. Niente soldi né bonus.

Un ulteriore aspetto di osservazione della ricerca riguarda le ricadute della valutazione sulla vita professionale dei docenti: variazioni di retribuzione, bonus economico o altra forma di premio economico, cambiamento nelle prospettive di carriera, riconoscimento pubblico del preside e / o dei loro colleghi, opportunità di aggiornamento, cambiamenti nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente, acquisizione di un ruolo nelle iniziative di aggiornamento o formazione.

L’incremento della retribuzione è assolutamente marginale per la media dei Paesi: si verifica nel 9,1% dei casi, mentre in Italia è dichiarato nel 2% (probabilmente riferibile alla conferma in ruolo dopo il periodo di prova e alla conseguente ricostruzione di carriera). Gli altri Paesi dell’Europa occidentale, con l’eccezione della Norvegia, si situano su percentuali analoghe o addirittura minori.

Altri premi di natura economica o bonus sono mediamente attribuiti all’11% dei docenti, mentre la gratificazione — immateriale – per il pubblico riconoscimento del preside e dei colleghi che riguarda il 36,4% degli insegnanti dei paesi presi in considerazione sale al 46,4% nel caso dell’Italia.

Altre forme di riscontro nel nostro paese sono: il coinvolgimento attivo nelle iniziative di aggiornamento e/o di formazione dei colleghi (38,3%, la media degli altri paesi è 29,6) e il cambiamento nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente (27,1%, la media degli altri paesi è 26,7%).

Che cosa pensano gli insegnanti di ciò che accade dopo la valutazione sulla propria scuola? L’indagine si occupa anche di questo: il 70% dei professori italiani pensa che la valutazione porti ad ‘azioni di aggiornamento o formazione affinché i docenti migliorino il proprio lavoro’. Il 40% sostiene che nella ‘scuola la revisione del lavoro dei docenti ha scarso impatto sul modo in cui i docenti insegnano in classe’. Il 33% pensa che la valutazione venga fatta ‘soprattutto per finalità amministrative’. Poco meno di un terzo (28%) è convinto che ‘il persistente scarso rendimento di un docente sarebbe tollerato dagli altri’.

E’ questo il quadro di insieme tracciato dall’insieme delle opinioni degli insegnanti italiani rispetto ai processi di valutazione. Una serie di dati che fotografa ciò che succede realmente: spesso la gratificazione è rappresentata solo da un riconoscimento pubblico, da un elogio. A questo sono abituati gli insegnanti italiani. A riconoscimenti ‘immateriali’ e pochi soldi. E questo vale non solo in relazione alla valutazione ma sembra — per l’Italia — restare ‘ancorato’, connaturato alla funzione docente.

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

19:52 – 01/10/10 – Perché la Scuola Sciopererà l'8 Ottobre.

Di Stefano d’Errico – Segretario Nazionale dell’Unicobas.

Con la cosiddetta “riforma epocale” della scuola superiore, da questo settembre hanno tagliato altri 41.200 posti (25.600 docenti e 15.600 amministrativi), dopo i 57 mila eliminati lo scorso anno. Vogliono distruggere la scuola pubblica distruggendo le risorse umane e negando normali apporti finanziari. Licenziano decine di migliaia di precari, dequalificano l’istruzione “flessibilizzando” i docenti perdenti posto, “riciclati” senza rispetto per le loro abilitazioni e per la qualità della didattica e negano il tempo pieno alle famiglie (cresciuto, ma in modo inadeguato alle richieste e stravolto nell’organizzazione didattica interna). In più, anche con la complicità di Cisl, Uil, Snals e Gilda, Berlusconi & C. hanno bloccato il contratto ed eliminato gli scatti d’anzianità, rateizzato il Tfr e avviato un nuovo stop ai pensionamenti. In tutta Europa, nonostante le note difficoltà finanziarie, nessun governo tocca la scuola, che anzi ottiene finanziamenti ulteriori.

In Italia, il paese che (come dimostrano i recentissimi dati Ocse) spendeva già la percentuale più bassa del prodotto interno lordo per istruzione, università e ricerca, vengono sottratti alla scuola 8,5 miliardi di euro. Il saldo è peraltro negativo anche sotto il profilo della qualità. Per la prima volta abbiamo un liceo scientifico privo del latino, una drastica riduzione dei programmi di storia nella Primaria, l’impoverimento generalizzato delle ore di italiano, il taglio delle ore di laboratorio persino negli istituti tecnici e nei professionali. Il “governo delle tre i” ha addirittura ridotto l’informatica e fatto sparire il bilinguismo nella media di primo grado. Questa è una scuola minimalista: una vera condanna per un paese ove il 47 per cento della popolazione in età lavorativa ha al massimo la terza media (dati Istat).

Per quanto riguarda la crisi, la paghi chi l’ha creata! Né può accettarsi il massacro del futuro del paese dopo i regali fatti agli evasori con il condono dello scudo fiscale o l’acquisto di 131 cacciabombardieri F-35, 100 elicotteri NH90 e altri 121 caccia Eurofighter, che costano da soli 29 miliardi di euro (4 in più dell’intera manovra di Tremonti).

Domenica 26 settembre, a Roma, nei locali del teatro Volturno si sono incontrati i comitati dei precari in lotta e le realtà dei genitori sorte in difesa della scuola pubblica, nonché i rappresentanti di pressoché tutte le realtà studentesche, provenienti dalle principali città italiane. L’invito all’assemblea era esteso anche ai rappresentanti dei sindacati di base della scuola pubblica e alla Flc-Cgil. La maggior parte degli interventi ha indicato nell’8 ottobre la data sulla quale far convergere sia le manifestazioni studentesche (già previste) sia la giornata di sciopero del settore.

Noi manifesteremo con loro. Per le vie della capitale l’Unicobas, i Coordinamenti precari, l’Unione sindacale italiana (Usi) e l’Unione degli studenti promuovono la manifestazione più importante che, con concentramento alle ore 9.00 dal Piazzale dei Partigiani (Piramide) svilupperà un corteo che arriverà ad assediare il Ministero occupato da Mariastella Gelmini in viale Trastevere. Qui terremo dalle 12.00 una grande assemblea pubblica. Nella stessa data la Cgil ha indetto uno sciopero orario. Invitiamo la Confederazione a trasformarlo in uno sciopero unitario proclamandolo come noi per l’intera giornata e a scendere in piazza insieme. Sarà una grande giornata di lotta.

09:39 – 10/09/10 – Dieci Domande per Te Posson Bastare…

Mary, rispondi, ti prego!!!

Ecco le 10 domande che l’Assemblea delle scuole milanesi rivolge al ministro dell’Istruzione:

1. Lei sa che i tagli alle elementari hanno cancellato qualsiasi possibilità di realizzare il vero tempo pieno, fatto di tempi distesi e di compresenze, di lavoro in piccoli gruppi, di progetti, di uscite e laboratori per favorire l’apprendimento di tutti?

2. Cosa risponde ai genitori costretti a pagare un contributo “volontario” di 130/200 € in scuole che vantano, nei confronti del suo Ministero, crediti di 130/200.000 €?

3. I paesi Ocse spendono in media il 5,7% del prodotto interno lordo per il sistema scolastico e l’Italia il 4,5%, come lo spiega?

4. Sa che le 10.000 assunzioni a tempo indeterminato di questo anno coprono una percentuale insignificante dei posti che ogni anno servono alla scuola?

5. Come mai non c’è un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità come prevede la legge, tanto che spesso questi alunni sono seguiti solo 4/6 ore a settimana?

6. Lei è al corrente del fatto che nelle scuola medie la sua manovra ha avuto l’effetto di cancellare laboratori di Arte, Musica, Tecnologia, Educazione fisica…?

7. Ritiene sia giusto rispettare la legislazione sulla sicurezza? Sa che le classi con un minimo di 27 alunni e un massimo di 35 per classe, imposte dalla sua manovra, sono proibite da norme vigenti che impongono un massimo di 25 alunni?

8. Aver cancellato le sperimentazioni nei Licei, ispirandosi alla riforma del 1923, risponde ad una esigenza di rinnovamento? Aver tolto ai Licei Artistici l’11% del tempo scuola e ai Linguistici il 17% equivale ad un “potenziamento dell’offerta formativa”?

9. Come giustifica l’aver ridotto drasticamente l’orario degli Istituti Professionali e Tecnici, tagliando su quelle materie che ha affermato di voler potenziare? Sa che le attività di laboratorio diminuiscono del 20/40%? Vuole che le forniamo le tabelle di confronto?

10. Quali motivazioni didattiche l’hanno spinta a eliminare ore di lezione, negli Istituti Tecnici e Professionali, anche nelle classi successive alle prime? Ritiene giusto che chi si è iscritto ad un percorso prima della “riforma”, scopra che è stato cambiato a metà strada?

Assemblea delle scuole del milanese

17:48 – 12/10/09 – Uno Sguardo sull'Educazione 2009

Uno Sguardo sullEducazione 2009
Uno Sguardo sull'Educazione 2009

Come accade ogni anno, la pubblicazione del rapporto dell’OCSE “Uno Sguardo sull'Educazione 2009” desta attenzione soprattutto per i dati statistici ivi contenuti e l’inevitabile graduatoria dei paesi virtuosi e di quelli da mettere dietro la lavagna. Ben più raramente l’attenzione si sofferma sulle indicazioni e i suggerimenti che l’OCSE offre sulla base dell’analisi dei dati raccolti. Vale, invece, la pena di soffermarsi su questi aspetti per la loro, non sempre positiva, influenza sulle politiche educative di vari paesi.

Livelli educativi e benefici economici

Innanzitutto anche l’edizione del 2009 conferma il legame virtuoso tra alti livelli d’istruzione e benefici individuali, soprattutto in termini salariali e della maggiore richiesta del mercato del lavoro. Un’affermazione, la cui validità andrebbe, però, attualmente verificata, perché i dati si fermano al 2007, quindi al periodo precedente il tracollo della finanziaria mondiale e la crisi economica. Inoltre, come d’abitudine, l’OCSE evidenzia una visione ristretta del valore dell’educazione, limitata ai benefici per i singoli (di genere maschile) e non per la società nel suo complesso. Un aspetto, quello dei benefici educazione/livelli salariali, di cui, però, non sembrano beneficiare granché gli insegnanti. Secondo i dati elaborati poco tempo fa dall’Internazionale dell’Educazione, in numerosi paesi – soprattutto nell’Europa Centrale e dell’Est- sono stati operati tagli ai salari dei docenti, con situazioni drammatiche come quelle della Lettonia dove i docenti hanno subito una decurtazione dei salari fino al 50%.

La ricerca conferma anche le maggiori difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro per le persone scarsamente qualificate: il 42% delle persone dei paesi membri dell’OCSE con un livello educativo inferiore alla scuola secondaria superiore sono disoccupati e quelli che perdono il lavoro hanno una probabilità molto più alta di rimanere disoccupati per lungo tempo. Di conseguenza il rapporto sollecita un’ulteriore espansione dell’accesso all’istruzione superiore e un incremento a livello globale dei laureati. Ancora una volta, però, l’OCSE compila una mera classifica dei paesi, presentandoli nelle loro posizione relative, senza considerare che cosa c’è alle spalle di tali esiti: per esempio, la scelta d’investire risorse per garantire l’accesso all’istruzione superiore per tutti, a prescindere dal background socio economico. Infine, il rapporto invita a equilibrare maggiormente il rapporto fondi pubblici e privati nel settore educativo, con grave rischio, nei casi in cui si chiede di ridurre i fondi pubblici a favore di quelli privati, di aumentare gli aspetti di commercializzazione e di privatizzazione dell’università e della ricerca.

La mancanza di uguaglianza delle opportunità nell’educazione e formazione continua

Il rapporto conferma – ancora una volta – che i programmi di educazione e formazione continua difficilmente raggiungono le persone con qualifiche e livelli di studio bassi, mentre continuano ad aumentare le opportunità formative per chi ha fatto studi medio-alti. Inoltre, i dati di partecipazione sono ancora bassi: meno del 6% della popolazione tra 30-39 anni dei paesi OCSE. Dati ancora inferiori per quanto riguarda la popolazione quarantenne. “Uno sguardo sull’educazione” assegna una particolare attenzione alla formazione sul lavoro, invitando i paesi membri a migliorare i sistemi di apprendimento permanente, rendendoli più adeguati ai bisogni dei lavoratori adulti con basse qualifiche.

L’influenza dei fattori socio-economico sul successo scolastico

Nell’analizzare i fattori che stanno alla base del successo tra i paesi con i migliori esiti nell’indagine Pisa 2006, l’OCSE ammette che il background socio-economico è un fattore cruciale In tutti i paesi i cui dati sono confrontabili, gli studenti che hanno gli esiti più alti vengono da famiglie con un buon retroterra socio-economico. Il peso della situazione socio economico sul successo scolastico varia, inoltre, da paese a paese. Il rapporto afferma che esistono delle lezioni da apprendere dai paesi che riescono a coniugare qualità ed equità (Austria, Finlandia, Giappone, Hong Kong), senza però dare ulteriori informazioni.

La partecipazione all’educazione della prima infanzia

Il rapporto sottolinea l’espansione significativa dell’educazione della prima infanzia: dal 41% di bambini di 3/ 4 anni iscritti in istituti educativi nel 1996 si è passati al 71% del 2007… Si tratta, a parere dell’OCSE, di un elemento importante per garantire il successo scolastico, che però richiede, educatori ben formati in grado di rispondere all’aumento delle iscrizioni, ma anche alla qualità del servizio prestato.

I livelli educativi favoriscono la salute ed altri elementi sociali

Per la prima volta “Uno sguardo sull’educazione 2009” indaga sull’impatto dei livelli educativi su fattori quali la salute, l’interesse verso la politica e la fiducia tra le persone., dimostrando una stretta relazione tra elevati livelli d’istruzione e la salute, nonché maggior fiducia in se stessi e nell’ambiente in cui si vive. In pratica, l’educazione, come già dimostrato da altre ricerche a livello internazionale, si rivela un fattore dirimente per più vasti benefici non solo a livello individuale, ma anche sociale ed economico.

Occorre controllare la spesa pubblica e delle famiglie per l’educazione

Malgrado i benefici a tutti i livelli di una buona educazione, l’OCSE manifesta, ancora una volta, tutte le sue preoccupazioni per l’eccessiva spesa pubblica destinata all’educazione. I paesi dell’OCSE spendono in media il 6,1% del PIL in educazione, il 13.3% della spesa pubblica totale. Il rapporto evidenzia che la spesa per studente della scuola primaria e secondaria è cresciuta del 35% dal 1995 al 2006 (un periodo di relativa stabilità del numero degli studenti), mentre nell’istruzione superiore l’aumento dal 2000 al 2006 è stato di soli 11 punti in percentuale e in un terzo dei paesi dell’OECD è addirittura diminuita, malgrado l’aumento delle iscrizioni. A parere dei ricercatori, i maggiori costi dovuti all’aumento delle iscrizioni nella scuola della prima infanzia e a livello dell’istruzione terziaria devono spingere i governi a cercare nuove alleanze per acquisire risorse aggiuntive e cercare di più l’intervento dei finanziamenti privati. Attualmente tali settori ricevono – media OCSE – rispettivamente il 19% e il 27% dei finanziamenti da fonti private, soprattutto dalle famiglie. Ovviamente l’OCSE promuove la presenza delle tasse universitarie, accompagnate, però, da misure di equità. Vale la pena di segnalare che tra i 7 paesi con il più alto tasso di iscrizioni agli istituti superiori ci sono Finlandia, Norvegia e Svezia dove anche l’istruzione terziaria è gratuita e in cui la spesa pubblica viene compensata dai benefici a livello sociale economico e culturale.

L’educazione una soluzione alla crisi?

L’OCSE argomenta che in tempo di crisi l’educazione deve dimostrare di essere un valore per la produzione di ricchezza (intesa esclusivamente in senso monetario) al fine di giustificare le spese sempre crescenti. I parametri scelti per la solita graduatoria tra paesi sono le risorse alla scuola primaria e secondaria, come le ore trascorse in classe dagli studenti, il numero delle ore d’insegnamento, la dimensione delle classi, il costo salariale dei docenti per studente e la percentuale del loro tempo di lavoro dedicata all’insegnamento. In pratica, però, i livelli di spesa dei singoli paesi mascherano politiche e scelte assai differenti, su cui il rapporto dell’OCSE non interviene, lasciando l’impressione che tutte le combinazioni possano andare bene, purché si tengano i costi sotto controllo.

Fonte: FLC CGIL

Scarica il documento ufficiale in lingua italiana di “Uno sguardo sull’educazione 2009”

11:56 – 04/07/09 – L'OCSE boccia la scuola italiana: ma è una bufala.

di Girolamo De Michelebaro.jpg

Il fatto: martedì 17 giugno sono stati presentati i risultati di due ricerche, TALIS 2008 e Economics Survey of Italy. Con un curioso intermezzo (vedi qui): ai presenti è stata prima distribuita, e poi ritirata una cartelletta contenente le sintesi e degli abbozzi di traduzione delle ricerche. Un comunicato del Ministero, e un articolo sul Corriere della Sera con ampi virgolettati (un pelino più distaccato quello su La Stampa), ci informano che con queste ricerche l’OCSE ha bocciato la scuola italiana, valutando positivamente l’operato del Ministro. Altri giornali, su carta e on line, grandi piccoli, piccolissimi riprendono – addirittura con taglia-e-incolla spudorati – la notizia.

Che però è falsa.
In sintesi: il Ministro spaccia per nuovi dati che sono vecchi, confonde il primo rapporto col secondo, e il secondo con uno ancora da stilare. E fornisce dati non veritieri. Che però i giornalisti italiani, in barba alla deontologia professionale e al controllo rigorosa delle fonti, prendono per veri: se lo dice il Ministro…
Bene: la verifica l’abbiamo fatta noi. Quello che segue è l’esito della nostra verifica dei poteri. Con, in Appendice tutti i link per chi volesse verificare come stanno le cose.

Di cosa si tratta?
Di due distinte ricerche. E di una terza che ancora non esiste.

L’OCSE, intanto: un organismo di ricerca e sviluppo. Che non è un istituto di ricerca e analisi didattica o pedagogica. Se l’OCSE deve scegliere tra due parametri, quello cognitivo e quello economico, non ha dubbi: all’OCSE non interessa la maggiore istruzione possibile, ma la più fruttuosa (su standard economici) al minor costo.gioco_prestigio.jpg E i dati OCSE sono spesso coerenti con precisi orientamenti politici, grazie a un sapiente uso dei parametri. Ad esempio, l’OCSE, in base ai propri parametri, valuta negativamente il sistema previdenziale italiano, il cui saldo è invece positivo, cioè in attivo (cfr. qui).
Teniamolo presente.
L’OCSE produce un certo numero di rapporti, analizzando dati rilevati in proprio su un numero piuttosto alto di paesi. Non solo dell’Unione Europea: l’insieme dei paesi dell’area OCSE è, su certi temi, piuttosto disomogeneo, mettendo insieme buona parte dell’Europa, Brasile, Stati Uniti, alcuni paesi asiatici. Il risultato è che i dati OCSE non coincidono con i dati dell’Unione Europea.
Teniamo presente anche questo.
Sul sistema dell’istruzione, l’OCSE ha un proprio rapporto, Education at Glance. Ma EaG 2009 non è ancora stato elaborato.

Cosa è stato presentato il 17 giugno? Un rapporto economico che contiene un capitolo sull’educazione, basato su vecchie cifre, e un nuovo rapporto, TALIS 2008.
Cos’è TALIS 2008? Un rapporto che indaga i metodi, le aspettative, le percezioni di sé degli insegnanti: non del sistema scolastico, degli insegnanti. In modo più esplicito: «Talis non misura l’efficacia degli insegnanti o delle diverse pratiche d’insegnamento. L’inchiesta mette invece in rilievo le differenze tra i profili delle pratiche d’insegnamento, le attitudini e le convinzione nei diversi paesi partecipanti» [«TALIS will not measure the effectiveness of teachers or of different teaching practices. Rather, it will contrast profiles of teaching practices, attitudes and beliefs among the participating countries», Summary, p. 3]. TALIS 2008 non fornisce i dati che il Ministro presenta come nuovi, e che dovrebbero supportare le affermazioni dell’OCSE nel cap. 4 di Economics Survey of Italy. Questi nuovi dati potrebbero essere contenuti nel prossimo EaG 2009, ma al momento non esistono: il Ministro lo lascia credere (e i giornalisti italiani ci credono) con un accorto giro di carte sul tavolino.

E così due rapporti (reali) + uno (virtuale) diventano “Il rapporto OCSE”.
Tre rapporti, tre carte: venghino, signori, venghino, guardino le tre carte, dov’è il rapporto sulla scuola, sotto la uno, sotto la due, sotto la tre?

Chiarito questo, vediamo, punto per punto, cosa sostiene il Ministro muovendo
…… le carte con consumato mestiere.

1. Il “Rapporto OCSE” attesta le cattive performance della scuola italiana: «per esempio, gli studenti italiani di 15 anni sono indietro di 2/3 di anno scolastico nelle scienze rispetto alla media europea».

Cattive performance della scuola italiana? Parliamone.
In primo luogo, teniamo presente che le pagelle OCSE «sono notificate con accertamenti tramite test (quiz): come le olimpiadi della memoria di Conti e Scotti nei loro giochi serali» (Franco Frabboni, Sognando una scuola normale, Palermo, Sellerio, 2009, p. 114).

Ciò premesso, entriamo nel merito. L’OCSE non tiene conto delle numerose indagini internazionali sull’apprendimento, ma utilizza un proprio sistema di valutazione, il PISA. La cui attenzione non si focalizza tanto sulla padronanza di determinati contenuti curricolari, ma piuttosto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzare competenze acquisite durante gli anni di scuola per affrontare e risolvere problemi e compiti che si incontrano nella vita quotidiana e per continuare ad apprendere [da Cos’è il PISA?]: il PISA valuta non tanto il sistema scolastico, quanto l’humus culturale e sociale della società in cui si vive. Si noti che i dati PISA riguardano gli studenti quindicenni, indipendentemente dall’ordine di studi seguito; ma in molti paesi OCSE a 15 anni si è a 2 anni dalla fine del ciclo di studi, non a 3, come in Italia: l’esempio citato dal Ministro sulle scienze è particolarmente infelice. E si noti che il punteggio negativo ottenuto dall’Italia è un dato statistico: se esaminiamo le singole regioni, notiamo che la maggioranza delle regioni italiane sono al di sopra degli indici OCSE (sulle competenze scientifiche, ad esempio, 7 su 12). A conferma che i risultati negativi dipendono non dal sistema scolastico in sé, ma dai diversi contesti ambientali, come lo stesso rapporto Economics Survey of Italy riconosce in apertura del cap. 4: large differences in pupils’ performance between regions, which may reflect socio-economic conditions rather than regional differences in school efficiency.

Ma soprattutto, l’OCSE e il Ministro non tengono conto di ben altre rilevazioni sugli apprendimenti, che danno risultati buoni, e talvolta lusinghieri: come il PIRLS 2006 (Progress in International Reading Literacy Study), che colloca la scuola elementare in posizione di eccellenza nel mondo; come il TIMSS 2008 (Trends in International Mathematics and Science Study), che sulle specifiche competenze scientifiche e matematiche conferma i risultati del PIRLS nella scuola primaria. Ad esempio, nelle competenze scientifiche gli studenti italiani sono secondi, in Europa, alla sola Ungheria.
OCSE e Ministro utilizzano un singolo dato, lo decontestualizzano e lo generalizzano su tutta la scuola, senza distinzione di ordine di studi e realtà locale. E la stampa italiana ripete in coro: l’OCSE boccia la scuola italiana.

2. Il Rapporto OCSE ci dà ragione

Così dice il Ministro. Che in questo modo fa passare per un’idea dell’OCSE la propria anticostituzionale idea di sottrarre fondi allascuola pubblicap er finanziare la scuola privata. Ignorando forse che l’OCSE stesso definisce la peggiore d’Europa e una delle peggiori del mondo, con buona pace del Ministro. Che è stato messo lì per eseguire il programma di tagli ideato dall’OCSE e vidimato dal Ministro Tremonti.
faccia_culo.jpgImmaginate un allenatore di calcio, poniamo del Milan, messo lì al posto del precedente per mandare in campo la formazione scritta dal Presidente; il quale ha provveduto a vendere un giocatore, poniamo Kakà, la cui presenza toglieva spazio al di lui pupillo Ronaldinho. Immaginate questo Presidente dichiarare ad agosto, senza alcun riscontro concreto, che il Milan con Ronaldinho in campo è senz’altro più forte rispetto al passato. E adesso immaginate l’allenatore dichiarare: sono felice, perché il Presidente mi dà ragione. E immaginate una stampa servile riportare questa affermazione con titoli a tutta pagina.
Credete sia possibile? Se pensate di sì, siete in Italia.

3. Il Rapporto OCSE parte dalla constatazione che l’assenza di chiare informazioni sulla valutazione degli studenti e dell’intero sistema, dai docenti all’amministrazione centrale, è stata la causa principale delle cattive performance”

Peccato che questo virgolettato non corrisponda all’apertura del cap. 4 di Economics Survey of Italy. Il rapporto sostiene infatti una cosa diversa: che i dati potrebbero essere incoerenti rispetto alla maggior parte delle nazioni dell’area OCSE a causa di una differente o non uniforme rilevazione [«Either the national examinations assess very different aspects of achievement from PISA, or the national assessment system is not applied uniformly»]. Dopo di che il rapporto OCSE sostiene che un sistema di rilevazione obbligatorio, e non facoltativo, agganciato a meccanismi premiali o punitivi potrebbe avere effetti positivi sul sistema dell’istruzione italiano, mentre attualmente there are no consequences for either teachers or schools attached to the degree of success in meeting the objectives. In punta di logica, è persino banale notare che non si può dedurre da un’ipotesi (è probabile che un sistema di incentivi e punizioni…) un fatto, né un antecedente da una conseguenza.

Ma non è il caso di fare accademia: i fatti hanno il vizio di avere la testa dura. Il sistema di valutazione è facoltativo anche in quei livelli e ordini scolastici che eccellono per competenze non solo in Europa, ma nel mondo: cosa che non potrebbe darsi, se il falso sillogismo ministeriale fosse fondato.

4. Il Rapporto OCSE dimostra che «il costo più elevato dell’istruzione italiana è ampiamente dovuto al rapporto insegnante per studente, che è del 50% più alto (9,6 insegnanti ogni 100 studenti in Italia, rispetto a 6,5 insegnanti nell’area OCSE)

mandrake.gifDomanda: perché il costo dell’istruzione dev’essere misurato sul rapporto insegnanti-studenti, e non su quanto si spende effettivamente?
Risposta: perché in questo modo apparirebbe chiaro che l’Italia è uno dei paesi che meno spende per l’istruzione. Ma prima, vediamo come stanno le cose sulla presunta eccedenza di insegnanti nella scuola italiana.

Intanto: 6.5 nell’area OCSE, ma 7.5 circa nell’Unione Europea (nei 19 paesi che ne facevano parte nel 2007). E di nuovo: perché il paragone dev’essere fatto con un’area disomogenea come l’OCSE, e non la più congrua e coerente (anche in termini di progettazione e obiettivi) area UE? Mah…
Vediamo adesso qual è davvero il rapporto insegnanti-studenti. Non si capisce da dove il Ministro estrae questo 9.6 che permette di denunciare un tondo «50% più alto».
Gli studenti italiani nel 2008-2009 [fonte: il rapporto del Ministero La scuola statale: sintesi dei dati 2009]) sono 7.768.071, i docenti di ruolo 725.173. Ma in Italia si considerano docenti anche gli insegnanti di sostegno (87.190), perché sono pagati dal Ministero dell’Istruzione, mentre in Europa no, perché pagati dai ministeri della sanità. E dunque correttezza vuole che, se non vengono conteggiati nei dati OCSE, non devono esserlo neanche nei dati italiani. Non inventiamo niente: ogni serio studio, dal ministeriale Quaderno bianco sull’istruzione 2007 al Rapporto sulla scuola in Italia 2009 della Fondazione Giovanni Agnelli (Bari, Laterza, 2009), compie questa sottrazione. E lo stesso deve valer per gli insegnanti di religione (25.931), una peculiarità tutta italiana (che fino al 2005 non erano conteggiati perché non pagati dal Ministero dell’Istruzione). I docenti di ruolo comparabili con i loro omologhi di altri sistemi scolastici scendono così a 612.032, con un rapporto insegnante-studente pari a 7.8: quasi in linea con il 7.5 della media europea.

Se non ché, in molti paesi dell’UE e dell’OCSE esiste un sistema d’istruzione post-secondario non universitario, che in Italia non c’è: il sistema italiano distribuisce i suoi insegnanti su 3 livelli scolastici, i paesi dell’area OCSE su 4. Per riprendere il paragone calcistico, è come comparare una squadra che gioca col 4-4-2 con una che gioca col 4-3-1-2, e sostenere che la prima ha troppo giocatori, perché ne impiega 10, contro gli 8 dell’altra: bizzarro davvero, un Ministro che si straccia le vesti sulle cattive competenze matematiche degli studenti, e poi dà prova di scarsa competenza nella lettura dei dati.

E adesso vediamo quanti sono effettivamente i soldi spesi per la scuola. Emanuele Barbieri, già dirigente del Ministero dell’Istruzione, in Tagli e pretesti, un’utile sintesi del rapporto ministeriale La scuola in cifre 2007, comparando dati del Ministero, dell’ISTAT, del Bilancio dello Stato e dell’OCSE, conclude che «dal 1990 al 2007 la quota di risorse destinate al MPI o al MIUR per l’istruzione è passata dal 3,9% al 2,8% del PIL (-1,1% pari 16,9 miliardi di euro). Negli ultimi 10 anni la riduzione è stata pari allo 0,2% (3,07 miliardi di euro)» (per il dettaglio rimandiamo ai grafici 1 e 2 del rapporto). E la stessa OCSE, in Education at Glance 2008 (Tabella B3.3, p. 254) rileva che lo share di spesa pubblica per l’istruzione dell’Italia (69.6% nel 2005: nel 1995 era 82.9%) è inferiore tanto alla media OCSE (73.8%), quanto a quella dell’UE (81.2%).

5. Il “Rapporto OCSE” dimostra che «le principali cause di disturbo alle lezioni sarebbero le intimidazioni o le aggressioni verbali verso altri studenti (30%), seguono le aggressioni fisiche tra studenti (12,7%), le aggressioni agli insegnanti (10,4%), ma anche i furti (9,1%) e per ultimo il problema della diffusione di droghe e alcol (4,5%)»

tototruffa.jpgEbbene sì: non poteva mancare un implicito richiamo al virus del bullismo che starebbe devastando la scuola italiana, con buona pace delle ricerche che dimostrano il contrario.
Peccato che, di nuovo il rapporto TALIS 2008 non dica questo. Intanto, i dati si riferiscono alla «percentuale di docenti della scuola secondaria inferiore che lavorano in scuole i cui dirigenti riferiscono che le principali cause di disturbo sarebbero determinati comportamenti degli studenti» [«Percentage of teachers of lower secondary education whose school principal considered the following student behaviours to hinder instruction “a lot” or “to some extent” in their school»]: questi dati rilevano quindi la percezione dei dirigenti, non fatti appurati.
Ma soprattutto, si omette il dato medio dell’area OCSE, il cui confronto consente di dire se il clima scolastico (percepito dai dirigenti scolastici) nella scuola italiana è migliore o peggiore. Bene, ecco i dati [Tabella 2.8, pag. 46 di TALIS 2008]:

furti: Italia 9.1%, media OCSE 15.3%;
intimidazioni o le aggressioni verbali verso altri studenti: Italia 30%, media OCSE 34.3%;
aggressioni agli insegnanti: Italia 10.4%, media OCSE 16.8%;

aggressioni fisiche tra studenti: Italia 12.7%, media OCSE 15.9%;
diffusione di droghe e alcol: Italia 4.5%, media OCSE 10.7%.

E se invece della percezione dei dirigenti scolastici prendiamo in esame la percezione dei genitori? Per non sbagliare, usiamo ancora una fonte OCSE, tanto gradita al Ministro: Education at Glance 2008 [tabelle A6.2b. e A6.2C. pp. 130-131].

Percentuale dei genitori italiani che si dichiarano soddisfatti o molto soddisfatti della disciplina scolastica [«satisfied with the disciplinary atmosphere in the school»]?
80.9%: inferiore in Europa al solo Lussemburgo, e nell’area OCSE solo a Nuova Zelanda e Turchia.
Percentuale dei genitori italiani che ritengono che la scuola svolga un buon lavoro educativo [«The school does a good job in educating students»]?
92.1%: al vertice dell’intera area OCSE alla pari con la Nuova Zelanda.

Come vede chiunque si prenda la briga di verificare i dati forniti, i fattori di disturbo e gli episodi riconducibili al fenomeno del bullismo sono sensibilmente più bassi della media.

E allora, di cosa stiamo parlando?
Di un Ministro che non è all’altezza del proprio programma, ma il cui programma è all’altezza del proprio cognome?
Di giornalisti la cui faccia è all’altezza del Ministro, ma non del proprio specchio?

Appendice: Link dei rapporti citati (in pdf)enterogelmini.jpg

TALIS 2008
Economics Survey of Italy
Education at Glance 2008
La scuola statale: sintesi dei dati 2009
Tagli e pretesti
Quaderno bianco sull’Istruzione 2007
PIRLS 2006
TIMSS 2008