23:19 – 24/03/12 – I Licei perdono Appeal a favore dei Tecnici.

In un'epoca di incertezze le famiglie preferiscono titoli con accesso immediato al mondo del lavoro.

Luigi Carbone – Certe tendenze sono figlie dei tempi e questi che viviamo sono i tempi dell'incertezza. Già, perché stando agli ultimissimi dati, non ancora definitivi, relativi alle scuole superiori, calano le iscrizioni ai Licei e salgono le quotazioni di Tecnici e Professionali, in pratica ci sono più ragazzi (e famiglie) che optano per quelle scuole che danno diplomi spendibili subito o quasi sul mercato del lavoro. Che poi si debba comunque aspettare chissà quanto per iniziare, viene ritenuto un problema cronologicamente secondario. Meglio iniziare ad aspettare da diciotteni diplomati che da venticinquenni laureati, calcolo opinabilissimo ma parecchio diffuso. Del resto parlano chiaro i numeri arrivati al servizio del Miur “La Scuola in Chiaro” e pare, in attesa dei dati conclusivi, che anche la provincia di Cosenza segua il trend nazionale.

Certo i Licei fanno ancora la parte del leone con quasi il 48 per cento degli iscritti, ma la percentuale è scesa di due punti rispetto all'anno scorso. Gli iscritti agli Istituti Tecnici sfondano il muro del 31 per cento, salendo di oltre un punto percentuale. La vera novità sta nei Professionali, tradizionali cenerentole, che dopo anni di relativa stabilità al ribasso stavolta superano il venti per cento degli iscritti. Ad attrarre di più è il settore dei servizi, in particolare l'indirizzo alberghiero.

E se a Cosenza mantiene la sua solidità la tradizione dei Licei, in particolare degli Scientifici, nel resto della provincia sono ancora i Tecnici, tra indirizzi tradizionali e nuovi, a rastrellare il numero più consistente di iscritti. Sì, perché il dato provinciale piazza i Licei Scientifici al secondo posto, poi arrivano gli Istituti Professionali, seguiti dal Liceo Classico. Chiudono la classifica cosentina, nell'ordine, gli Istituti e le Scuole Magistrali, quindi gli Istituti d'Arte e i Licei Artistici. In gioco c'è parecchio, a cominciare dai livelli occupazionali del personale scolastico.

I posti di lavoro (ah, Lapalisse!) dipendono anche dal numero delle iscrizioni.

Nuove classi significano posti di lavoro, attivazione dei nuovi corsi e copertura delle cattedre.

Nel giro di quattro anni scolastici, dal 2006/2007 al 2009/2010, il calo complessivo è stato di 6.529 alunni tra scuola dell'infanzia e scuola superiore. E l'onda lunga continua a farsi sentire con la contrazione di cattedre per i docenti e posti per il personale Ata. La popolazione scolastica cala, in modo più o meno sensibile a seconda delle annate.

Intanto i lavoratori del mondo della scuola sono alle prese con la domanda di trasferimento, i cui termini scadono il 30 marzo. Da quest'anno tutte le istanze, sia di trasferimento sia di passaggio, riguardanti il personale docente di ogni ordine e grado, andranno fatte on-line, mentre la modalità cartacea resterà valida per il personale educativo e Ata.

Sul territorio della provincia bruzia l'anno scorso la mobilità ha riguardato 1.500 insegnanti, 200 dell'Infanzia, 350 delle Elementari, 450 delle Medie e 500 delle Superiori. Il nuovo contratto conferma sostanzialmente l'impianto di quello dello scorso anno, sul quale è stata effettuata una sorta di manutenzione, attraverso delle integrazioni e delle delucidazioni circa i punti che avevano creato difficoltà nell'applicazione.

Mantenuta e rafforzata, invece, la possibilità di riaprire il confronto per integrare il contratto. Il contratto ha pure appurato che le nuove disposizioni sul blocco quinquennale per i trasferimenti dei docenti e del personale educativo tra diverse province, riguarderanno solo le nomine con decorrenza 1 settembre 2011 e non quelle retrodatate al 1 settembre 2010 (per le quali vale le vecchia norma con blocco triennale), così come sono esclusi dal blocco i beneficiari delle precedenze previste da specifiche norme di legge.

Fonte: Gazzetta del Sud Online

10:18 – 22/07/10 – Ordinanza del TAR restituisce Cattedre in Istituti Tecnici e Professionali?

Fatta Sia Legge de Lo Regno...
Fatta Sia Legge de Lo Regno...

(ASCA) – Roma, 21 lug – Lo Snals-Confsal sottolinea ”l’effetto dirompente dell’ordinanza n. 3363 emessa dal Tar del Lazio mercoledì scorso, 19 luglio, su ricorso promosso dallo Snals-Confsal stesso. Sospendendo la riduzione degli orari curricolari, l’ordinanza comporta il ripristino delle ore di insegnamento e il diritto alla restituzione delle cattedre. In altre parole, molti insegnanti potranno non perdere il loro posto”. E’ quanto si legge in una nota del sindacato.

”Cosi’ – prosegue la nota – tutti gli insegnanti degli istituti tecnici e professionali che, a seguito dell’indebita riduzione delle ore di insegnamento nelle classi intermedie, abbiano perduto la cattedra di titolarita’, grazie alla citata ordinanza n. 3363, potranno agire per essere reintegrati nella sede di provenienza. Il provvedimento del Tar, pertanto, assume una valenza che va ben al di la’ della mera questione della durata piu’ o meno ampia dell’orario di insegnamento per diventare strumento di tutela di diritti. Lo Snals-Confsal auspica ora un gesto di responsabilita’ da parte del ministero dell’Istruzione”.

13:27 – 02/03/10 – Mozione Collegio Docenti ITIS 'G.B. Pininfarina' di Moncalieri (TO)

Altro esempio di boicottaggio: Mozione del Collegio Docenti dell’ITIS G.B. Pininfarina di Moncalieri (TO).

Al Ministero dell’Istruzione

All’Ufficio Scolastico Regionale

I docenti dell’ITIS, riuniti in collegio il giorno 3 febbraio 2010, a distanza di un anno tornano in questa sede ad esprimere il profondo allarme e la grave preoccupazione sulla situazione della scuola pubblica e in particolare dell’istruzione tecnica.

Le annunciate riduzioni di risorse economiche e di personale dello scorso anno scolastico si sono trasformate in realtà che stanno portando alla riduzione dell’offerta formativa e alla dequalificazione della scuola pubblica, senza nulla cogliere dalle osservazioni e dalla protesta di chi nella scuola vive e lavora.

Non può sfuggire la contraddizione nelle dichiarazioni propagandistiche ministeriali, che divulgano come miglioramento ed innovazione quelle misure di razionalizzazione contenute nei provvedimenti: la pesante riduzione del personale legata alle leggi 133/08 e 169/08; la riduzione con surrettizie alchimie contabili dei Fondi di Istituto necessari per la qualità dell’offerta formativa; l’azzeramento o quasi dei fondi per le supplenze e la diminuzione ai minimi termini delle risorse per il funzionamento delle scuole delineano in concreto una esclusiva volontà di risparmio.

Anche sulla riforma dell’istituto tecnico il Ministero dimostra di ritenere fondamentale il rispetto delle scadenze e del modello che si è prefissato, piuttosto che di cogliere l’importanza di un processo di confronto con il personale della scuola sui percorsi, sull’importanza delle attività laboratoriali, sui programmi e sugli orari.

Ancora una volta si risponde alla difficoltà di capire la fisionomia di un nuovo percorso di studi, peraltro non ancora ufficiale, con un vuoto slittamento delle iscrizioni oltre ragionevoli termini.

In questo clima di estrema incertezza, in cui si collocano anche i destini nebulosi dei corsi serali, si propone per giunta un disegno di legge nel quale l’attività di apprendistato varrebbe a tutti gli effetti come assolvimento dell’obbligo di istruzione.

L’elevamento dell’obbligo a 16 anni, oggi legge del Paese, è stato il raggiungimento di un obiettivo di grande civiltà, di uguaglianza sociale, ed anche l’innalzamento dei livelli di istruzione in conformità a quanto previsto dai trattati europei.

L’assolvimento dell’obbligo di istruzione al di fuori della scuola vanificherebbe ancora una volta il ruolo fondamentale di questa nella formazione di un cittadino responsabile e consapevole.

Il Collegio Docenti dell’ITIS “G.B. Pininfarina” ritiene che le azioni citate, alcune delle quali già operanti, non rispondano a criteri di miglioramento del sistema scolastico, ma hanno già avuto ed avranno ricadute sempre più negative per gli studenti, le famiglie e la scuola italiana nel suo complesso.

Per questi motivi invita il Ministro della Pubblica istruzione ad un riesame dei provvedimenti che preveda un confronto con i docenti e le organizzazioni rappresentative, sia culturali che sindacali, del mondo della scuola.

Il Collegio chiede, inoltre, che la proposta di riforma sia rielaborata nell’ottica di un reale potenziamento e rilancio dell’istruzione tecnica, che veda i docenti coinvolti da protagonisti e riaffermi il principio che soltanto l’investimento su cultura e formazione possa garantire al Paese un futuro democratico e pacifico. Approvata con voti: favorevoli 137, astenuti 10, contrari 3

Fonte: TerritorioScuola Collegio Docenti.

Vedi anche: Download fac-simile del documento del CdD (Pronto per la compilazione)

Mozione CdC ISI Caduti della Direttissima – Castiglion de’ Pepoli (BO)

15:26 – 28/02/10 – La riforma scolastica sempre più lontana..

di Ida Maffei

Spettabile Redazione di TerritorioScuola,

sono una madre ed un'insegnante. Guardo con preoccupazione al futuro dei miei figli e dei miei studenti, sulla base delle destabilizzanti dinamiche economiche, politiche, sociali, che quotidianamente si avvicendano. Guardo con preoccupazione alla riforma sulla scuola, che, invece di valorizzare l'istituzione come uno strumento culturale ed educativo indispensabile per rafforzare il senso di corresponsabilità sociale e l'autonomia di ragionamento, la delinea come un ricettacolo di sprechi e di privilegi, giustificando così le drastiche riduzioni dell'offerta e delle possibilità. I problemi sono tanti, ma una riforma impostata sull'astrazione delle direttive educative e culturali e sulla concretezza di indiscriminati tagli della spesa risolve le dolenti questioni trasformando la scuola in un servizio minimo di alfabetizzazione di massa, nonché di accudimento, più o meno sicuro, per i figli dei lavoratori.

Bisogna ragionarci ancora: è necessaria la riflessione sulle conseguenze che la riforma, aldilà delle autoreferenziali pubblicità, determinerà sulla qualificazione dell'istruzione pubblica, già messa in discussione, coinvolgendo chi vive nella scuola (lavoratori, studenti, famiglie). La partecipazione deve, però, essere stimolata sia, in verticale, dagli autori della riforma che interpellino direttamente gli interessati, sia, in orizzontale, attraverso la circolarità della comunicazione, con la collaborazione dei mass-media. Una progettualità tanto complessa e tanto significativa per il futuro necessita di un'analisi più rigorosa e non di provvedimenti frettolosi e frammentati: forse, in tal modo, riusciremo ad insegnare ad i nostri come evitare i nostri errori, indirizzandoli verso un domani lungamente sostenibile.

Vi invio, in allegato, alcune considerazioni più articolate sulla riforma della scuola, con la richiesta di renderle circolari.

Fiumi, mari, oceani di parole sono stati versati sulla scuola, sull'istruzione, sul futuro, hanno alimentato, trasportato, travolto speranze, destini, sistemi. Vi aggiungo un esile rigagnolo che forse svanirà nella vanità del superfluo, dell'ovvio, della rassegnazione. Ma se tutte le parole, tutti gli interrogativi, tutti i tentativi sono inutili, la nostra esistenza si priva di un'opportunità preziosa e rigenerante: partecipare alla storia del nostro tempo e sostenere i nostri figli nello scrivere la propria.

E forse, fra chi non crede più, chi non ha mai creduto, chi non sa credere, qualche parola potrà intrecciarsi.

LA RIFORMA TRA SCUOLA VIRTUALE E SCUOLA REALE. E LA SCUOLA VIRTUOSA?

1. Premessa sul virtuale.

Un definizione di riforma: Modifica volta a dare un nuovo e migliore assetto a qualcosa, in particolare in ambito politico, sociale, economico; il cambiamento stesso; rinnovamento, innovazione.

Le parole dei riformisti

Una riforma epocale, senza alcuna impronta ideologica. Così il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca Mariastella Gelmini ha definito la riforma degli istituti superiori che ha visto oggi il via libera definitivo da parte del Consiglio dei ministri. Una riforma epocale, ha evidenziato il ministro che ha visto un lavoro molto intenso e l'impegno di tante persone ha aggiunto ringraziando tutti coloro che hanno partecipato alla messa a punto di questa riforma. Una riforma che non ha assolutamente una impronta ideologica.

Per quanto riguarda i licei – ha spiegato il ministro – pur apportando emendamenti e alcune modifiche abbiamo utilizzato la riforma Moratti mentre per l'istruzione tecnica abbiamo cercato di mantenere quanto realizzato dal precedente governo.

Meno quantità, più qualità. – Il Parere del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione

– Estratto: Parere sullo schema di regolamento concernente il riordino dei licei Segreteria del Consiglio Nazionale della P.I. – Adunanza del 7 ottobre 2009.

La didattica laboratoriale. I laboratori manifestano un ampio ed articolato repertorio di spazi contrassegnati da finalità formative generali e da finalità formative specifiche. Sono generali le finalità che si identificano con le competenze di natura trasversale; sono specifiche quelle che coincidono con i linguaggi ed i codici disciplinari.

Nello schema di decreto in esame manca la previsione di laboratori con finalità generali, mentre solo nei licei artistici, musicali e tecnologici sono previsti quelli con finalità specifiche.

Eppure, il laboratorio, in quanto luogo di ricerca e di indagine critica, nel postulare la piena pariteticità dell'intera gamma dei codici della comunicazione, si propone quale centro propulsore per la diffusione e l'attuazione di modelli didattici funzionali ad un apprendimento per competenze.

Sarebbe, pertanto, quanto mai opportuno dotare le istituzioni scolastiche delle risorse professionali ed economiche necessarie per realizzare in laboratorio e con la metodologia della ricerca percorsi di studio centrati sulla flessibilità organizzativa, ed indirizzati sia alla ricostruzione, integrazione e conservazione delle conoscenze, sia all'osservazione ed alla scoperta di aspetti culturali, sia alla padronanza delle strutture sintattiche e logiche delle materie d'insegnamento.

In tale prospettiva, sarebbe oltremodo utile il potenziamento di insegnamenti come il diritto, la matematica, il latino e la storia che, per le interconnessioni che genererebbe sul piano dell'organizzazione razionale dei contenuti, consentirebbe di elevare il tasso di consapevolezza critica degli studenti.

Lo schema di regolamento si limita, invece, a generici impegni quale quello di assegnare alle istituzioni scolastiche un contingente di organico con il quale potenziare gli insegnamenti obbligatori e/o attivare ulteriori insegnamenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano dell'offerta formativa mediante la diversificazione e personalizzazione dei piani di studio, fermi restando gli obiettivi finanziari di cui all'art. 64 della legge n. 133 del 2008 e subordinatamente alla preventiva verifica da parte del Miur di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze circa la sussistenza di economie aggiuntive.

Di qui una chiara e netta discrasia tra le misure di accompagnamento e gli obiettivi di qualità fissati con il nuovo assetto ordinamentale dei licei, tanto più che alle istituzioni scolastiche autonome non si riconosce un organico d'istituto e si interviene, invece, sul tempo scuola riducendolo. Eppure, il tempo scuola è un fattore di 'qualità' dal momento che tempi più distesi nella didattica agevolano la progettazione formativa articolata e centrata sui bisogni dello studente, così come la compresenza di distinte figure professionali in laboratorio è una condizione essenziale per fondare sulla pratica del plurale il piacere della scoperta.

2. Considerazioni dal reale.

L'interpretazione che i protagonisti della riforma attribuiscono al proprio operato è esaltante, così come gli intenti dichiarati nelle linee programmatiche del Regolamento concernente il riordino dei licei. Ad esempio, si può leggere:

Il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei

I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali. (art. 2 comma 2 del regolamento recante Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei…).

Per raggiungere questi risultati occorre il concorso e la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del lavoro scolastico:

  • lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica;
  • la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari; l'esercizio di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, storici, scientifici, saggistici e di interpretazione di opere d'arte;
  • l'uso costante del laboratorio per l'insegnamento delle discipline scientifiche;
  • la pratica dell'argomentazione e del confronto;
  • la cura di una modalità espositiva scritta ed orale corretta, pertinente, efficace e personale;
  • l'uso degli strumenti multimediali a supporto dello studio e della ricerca.

Il profilo e le attività definite sono condivisibili e auspicabili nella necessaria riforma dell'organizzazione scolastica, che attualmente presenta palesi sfasature rispetto al contesto a cui è funzionale.

Ma, al di là delle buone intenzioni dichiarate e della bella vetrina adornata, bisogna porre almeno due basilari interrogativi:

1. Come è possibile realizzare una riforma epocale, senza oneri aggiuntivi per le spese dello stato, ma addirittura con significativi tagli sulle risorse finora attivate (o, meglio, sopravvissute alle precedenti potature)?

2. Qual è il quadro unitario della riforma , tanto epocale che deve essere promulgata a puntate da quasi due anni a questa parte, forse per evitare sconvolgimenti emozionali agli impreparati utenti?

3. Come è possibile realizzare una riforma epocale, senza oneri aggiuntivi per le spese dello stato, ma addirittura con significativi tagli sulle risorse finora attivate (o, meglio, sopravvissute alle precedenti potature)?

La riforma indica alle risorse umane della scuola (lavoratori, studenti, famiglie) cosa fare, cosa imparare, cosa attendere. Ma, purtroppo, non indica il come e affida, per sottointeso, il compito di realizzarne i complessi obiettivi esclusivamente a coloro che affrontano la quotidianità della prassi scolastica, senza averli coinvolti nel processo di elaborazione della riforma, se non per consultazioni relative ad ambiti applicativi (variazioni ai quadri orario o a modalità di insegnamento).

I problemi sono numerosi e gravi, ma non si risolvono in un'attività di progettazione fine a se stessa e pesantemente condizionata da una politica di riduzione della spesa pubblica; la scuola viene presentata come una voragine di sprechi, popolata da personale fannullone ed incompetente, perciò deve necessariamente venire ridimensionata nei suoi consumi, data la generale crisi economica.

E' opportuno avviare un ragionamento articolato, e partecipato, sulla questione, riportando almeno tre esempi di incongruenza fra le direttive della riforma e la pratica della realtà scolastica.

1. I tagli dei fondi destinati alle supplenze.

Senza negare sprechi dovuti a disfunzioni, disservizi ed abusi, bisogna, però, ricordare che fra i tagli ritenuti inevitabili, e già effettivi, rientra quello della retribuzione delle supplenze per periodi brevi, il cui onere è passato dallo Stato ai fondi del singolo Istituto, che, nella maggior parte dei casi, a stento riescono a coprire i costi dell'amministrazione ordinaria (materiali di cancelleria, manutenzione macchine, riparazioni strutture…), per cui se il Dirigente non può pagare il supplente e non ha personale interno disponibile, o suddivide gli alunni in più classi (scuole dell'infanzia e primarie) o le lascia scoperte. Naturalmente, il personale fannullone ed incompetente, non comprendendo che si tratta di sistemi innovativi per incentivare l'autonomia gestionale degli studenti e la resistenza psico-fisica di insegnanti che si trovano in classe anche 32 bambini, per partito preso, cerca solo pretesti per demolire una visione illuminata del risparmio.

2. I laboratori fra costi e necessità.

Un altro esempio di incongruenza fra virtuale e reale riguarda l'impiego costante del laboratorio e degli strumenti multimediali, che viene esplicitamente sollecitato dalla predetta riforma e presuppone:

  • l'allestimento e la manutenzione di strutture molto costose, in numero adeguato per scuole, che, a seguito della politica economica degli accorpamenti, tendono ad accogliere mediamente 900 alunni;
  • la formazione del personale tecnico e docente, che deve imparare e tenersi costantemente aggiornato.
    • Ma se, già allo stato attuale, mancano i fondi per attività didattiche e laboratoriali indicate come fondamentali, così come quelli per le supplenze, nella prospettiva delle ulteriori riduzioni previste dalla riforma, nessuno potrà realizzare i magnifici programmi, che rimangono la pubblicità delle belle intenzioni dei bravi legiferanti, incompresi e bistrattati da personale fannullone, incompetente e pure polemico.

      3. L'educazione all'analisi della società della telecomunicazione, delle immagini e del virtuale.

      Nel Profilo d'uscita, fra gli obiettivi del Liceo delle scienze umane viene indicato:

      “possedere gli strumenti necessari per utilizzare, in maniera consapevole e critica, le principali metodologie relazionali e comunicative, comprese quelle relative alla media education.”

      Il quadro orario generale non prevede discipline direttamente afferenti alla media-education (linguaggi non verbali e multimediali, previsto nel Liceo delle scienze sociali, scompare); tale apprendimento viene destinato agli insegnamenti facoltativi o opzionali? Ma non dovrebbe essere più caratterizzante?

      La società contemporanea è dominata dalle tecnologie informatiche e della telecomunicazione, nonché dalla trascuratezza nei confronti dell'analisi e della conoscenza di strumenti e linguaggi ormai fortemente presenti e condizionanti la realtà; tali tecnologie possono attivare modelli relazionali alternativi, o addirittura antagonisti, a quelli della scuola e, per la loro vastissima diffusione nell'immaginario degli adolescenti, dovrebbero essere materia di studio e conoscenza, non solo per il liceo delle scienze umane.

      Sino a qualche anno fa, la problematica caratterizzante l'espressione scritta era quella che gli studenti scrivevano come parlavano, adesso è quella che scrivono come vedono, ovvero con una costruzione sintattica e logica frammentata e inconclusa: riproducono il linguaggio analogico delle immagini nell'ambito della scrittura. Il fenomeno potrebbe costituire interessante, e pragmatico, ambito di indagine per i sociologi, ma, nel contempo, pone una problema nuovo agli insegnanti, in quanto non si risolve con la correzione e il consolidamento di competenze espressive già strutturate, seppur instabilmente.

      La questione, di cui la scuola riflette solo alcuni dei suoi aspetti, si inquadra nelle analisi che, nella scala evolutiva dell'uomo, intravedono la definizione di una vera e propria forma mentis, in cui, a causa della sovraesposizione a stimoli visivi, le competenze logico-analitiche stanno involvendo, mentre le aree ancestrali della percezione sono caricate a dismisura da flussi emozionali disordinati, scomposti e violenti. Le competenze che si stanno perdendo sono proprio quelle sui cui la scuola principalmente istruisce la sua attività. L'obiettivo è incommensurabile: arginare la repentina, e sembra inarrestabile, regressione di abilità sedimentatesi nel corso di millenni e, almeno finora, indicative del livello di progressione della razza umana.

      La decodifica della realtà, ormai, passa attraverso competenze relative a tipologie di testi non solo verbali, la cui analisi sarebbe pertinente all'insegnamento della media-education, che viene, però, intesa dai riformisti come una metodologia e, quindi, non come disciplina. Pertanto, non definendo una professionalità autonoma, sarà spalmata nei programmi dell'insegnamento di materie affini (italiano, psicologia, sociologia, filosofia, storia, ma anche geografia, latino, lingue straniere, musica, arte e, (perché no?), matematica, che contempla l'informatica), accrescendo il capitale umano di tuttologia mediante tempestivi corsi di formazione, possibilmente on-line, perfezionando così, in economia, le competenze richieste.

      La cabina di regia della riforma, data l'esperienza dei suoi componenti, è consapevole della questione e delle conseguenze che, nel corso degli anni, mano mano che le attuali giovani generazioni assumeranno nella società responsabilità dirette (minime o massime che siano), incideranno sempre più pragmaticamente sulla capacità di organizzazione e di esecuzione dei compiti e dei lavori, nel vissuto individuale e collettivo. Ma allora perché i riformisti non possono cedere rispetto alla definizione della media-education come una professionalità specifica di insegnamento? Per coerenza con la visione illuminata del risparmio, stroncando così le altre analoghe, prevedibili richieste di proliferazioni disciplinari, considerate superflue, dispersive e dispendiose? Per convinzione che l'istruzione e la formazione degli studenti così contemplata siano coerentemente funzionali al quadro futuro della società? Per la sensazione di smarrimento e di impotenza rispetto a problematiche così complesse in una generale situazione di crisi? Per quale altro ipotizzabile motivo?

      L'amministrazione statale ribadisce che le spese per la scuola sono eccessive e che bisogna coraggiosamente avviare la vera politica del risparmio, per evitare di incorrere in situazioni insostenibili; viene considerato irrinunciabile tagliare gli investimenti sulla formazione delle giovani generazioni – ovvero i nostri figli, gli eredi delle magnifiche e progressive sorti del futuro – che già pongono condizioni molto problematiche per la scuola.

      Ma quale credibilità, quale autorevolezza può avere una fonte, che proclama la necessità di sacrificare le risorse per la scuola, a vantaggio di urgenze sociali più pressanti, ma non interviene, ad esempio, nei confronti delle cassa-integrazioni concesse ad aziende che chiudono in Italia, per aprire all'estero?

      Quale credibilità, quale autorevolezza rispetto a richieste di risparmio che considerano sacrificabili gli apprendimenti e la formazione delle giovani generazioni, dei nostri figli, rispetto, ad esempio, alle spese profuse per opere faraoniche irrealizzate e, forse, irrealizzabili, per i sistemi di appalto delle grandi opere pubbliche perennemente sotto indagini della magistratura, per l'uso privato di aerei di stato, per i contributi stanziati per le vacanze di giovani ed anziani?

      Sicuramente la scuola non può riqualificarsi con una politica di ulteriori tagli sulle risorse che rappresentano gli investimenti per il futuro, né senza mettere in discussione, in un quadro unitario di riforma, anche i problemi concreti, quali l'ingestibilità di istituti o contesti drammaticamente svantaggiati, ove la scuola diventa un contenitore o una discarica di tensioni psico-sociali e non luogo di cultura, o le questioni aperte, quali la valutazione e l'autovalutazione dei processi di apprendimento, compresa l'efficacia del lavoro dei docenti.

      Si tratta di fatti ed argomenti disturbanti, che alimentano scontri impopolari, ma rappresentano alcuni dei veri problemi della scuola, rimandati ad altri imprecisati momenti di analisi ed evidentemente non considerati parte integrante di un quadro di riforma complessivo, presentato in forma discontinua.

      4. Qual è il quadro unitario della riforma, tanto epocale che deve essere promulgata a puntate da quasi due anni a questa parte, forse per evitare sconvolgimenti emozionali agli impreparati utenti?

      La riforma viene trasmessa a puntate. Nel febbraio 2010, periodo di iscrizioni per le scuole superiori, sono stati appena resi noti i profili in uscita dei licei e i quadri orario, mesi dopo la pubblicazione del Regolamento; ancora misteriosi rimangono i programmi, la definizione delle classi di concorso per gli insegnamenti sulla base delle mutazioni disciplinari o degli indirizzi di scuola, alcune attribuzioni dei percorsi di studio agli istituti, le modalità di formazione e reclutamento dei docenti. L'orientamento per le famiglie sarà necessariamente approssimativo. E' inevitabile chiedersi perché la riforma non è stata varata, dopo aver sviluppato e chiarito tutte le sue implicazioni.

      Si tratta di ineluttabili necessità logistiche di bruciare le tappe, perché senza la riforma adesso il sistema scuola è talmente compromesso da poter crollare nell'imminenza?

      Si tratta di una precisa scelta di presentare un pezzo per volta dell'intero impianto, perché i riformisti vogliono proprio presentarlo in maniera frammentata o perché non sono riusciti ancora a completarlo?

      Se il fine primo della riforma è la riqualificazione della scuola, e non solo una politica di tagli, non avrebbe, a rigor di logica, dovuto essere pubblicizzata una volta completa in tutte le sue componenti?

      Interrogativi, dubbi, perplessità non vogliono ostacolare, per spirito di contraddizione, l'impegno dei riformisti a potenziare la qualità della scuola pubblica, ma mettere in evidenza il profondo scollamento fra le linee programmatiche delle menti legiferanti (la cabina di regina della riforma), sicuramente animate dai più nobili proponimenti, e la concretezza delle problematiche e delle risorse, sicuramente controverse e disarticolate.

      Assicurare agli studenti profili in uscita del qualificante livello ipotizzato nella riforma prevede competenze del magico e del soprannaturale per gli addetti ai lavori, soprattutto perché i profili in entrata sono, sempre più spesso, definiti su caratteri diametralmente opposti.

      La scuola rispecchia la società: stimoli, distonie, dissesti. Motivo per cui, senza una linea programmatica elaborata sull'analisi delle dinamiche reali che coinvolgono – ma, ahimè, anche sconvolgono, involvono – i partecipanti della scuola, nessuna riforma potrà avere un'incidenza pragmaticamente qualificante, nessuna riforma potrà garantire la piena funzionalità della scuola a formare persone in grado di sostenere un futuro prevedibilmente destabilizzante. Manca, cioè, una teoria programmatica, credibile sulla base di analisi del concreto, su cui impostare le strategie operative.

      Bisogna avvicinare la scuola virtuale a quella reale, ascoltando la viva voce di tutte le risorse della scuola: non sono sufficienti gli ineccepibili curricula dei registi della riforma. Gli organi collegiali (personale, studenti, famiglie) devono essere consultati relativamente alla loro esperienza e alla loro valutazione sul presente e alle loro aspettative sul futuro della scuola; ogni istituto, anche in forma di rappresentanze significative di realtà socio-territoriali caratterizzanti, dovrebbe essere invitato ad esprimersi, sulla base di modalità e parametri incentrati sui nodi focali comuni, che i dirigenti ministeriali, votati all'efficientismo aziendale, saprebbero indubbiamente elaborare su criteri di essenzialità, praticità ed economicità.

      D'altronde, sulla base del quadro emergente dall'analisi, anche le componenti della scuola devono mettersi in discussione, soprattutto rispetto al ginepraio della questione (auto) valutazione, che rappresenta l'essenza stessa della scuola ed una questione destinata, per sua natura, a rimanere sempre aperta, sempre in discussione:

      • sapere, capire se ha istruito e formato persone in grado di interagire propositivamente nel contesto di inserimento;
      • monitorare e rielaborare interventi e strumenti sulla base dei risultati, della risposte e delle modificazioni del contesto di cui è funzione.

        Ad esempio, un artigiano può valutare il prodotto del suo lavoro sulla base di parametri oggettivamente e rapidamente misurabili, quali la funzionalità, la resistenza, il gradimento del mercato, mentre valutare l'apprendimento e le competenze di persone in formazione, in particolare rispetto alle capacità e ai metodi impiegati, è difficilissimo: lo stesso insegnante può misurare risultati diversissimi nella stessa materia per la stessa classe. E' un processo che, per la complessità delle sue implicazioni, non trova una risoluzione definitiva in parametri immutabili ed infallibili, ma sicuramente incoerenze e disfunzioni manifeste possono essere corrette; le risorse della scuola devono prendersene l'impegno e la responsabilità.

      A tutti sta a cuore l'istruzione dei giovani, studenti e figli, perché essi rappresentano il futuro e il loro futuro passa attraverso gli insegnamenti della scuola, un'istituzione antichissima, che accompagna l'evolversi della civiltà umana, fin dal suo definirsi nella forme via via più complesse.

      Quello che caratterizza la riforma è, di fatto, un'ulteriore riduzione degli investimenti, che non può assolutamente migliorare la qualità dell'istruzione, già ampiamente messa in discussione nell'immaginario collettivo, come nell'esempio dei due articoli di seguito riportati. Senza investimenti, non c'è sviluppo; l'opportunità di tagli così gravosi dovrebbe essere inequivocabilmente motivata alla luce di un piano di risparmio – a quanto si dice inevitabile – che non lasci adito a dubbi sulle priorità attribuite all'interesse pubblico.

      Infine, se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, vuol dire che considerate seriamente la questione e forse desiderate avere qualche informazione in più sulla scuola reale.

      Vi indico due articoli: La scuola in saldo e la riforma che non c'è. di Pietro Ratto (Fonte: La Stampa, 5/2/2010 )

      Metà studenti da bocciare in italiano. L'Invalsi: nei temi della maturità errori di ortografia e periodi senza senso. L'indagine compiuta assieme all'Accademia della Crusca. Analizzate 6 mila prove dell'esame del 2007. di Benedetti Giulio (Fonte: Corriere della Sera, pagina 25, 20 gennaio 2010).

      Ida Maffei, una madre e lavoratrice nella scuola

      Poi, ciascuno può osservare, riflettere, considerare, obiettare, approvare, rassegnare…

19:41 – 05/02/10 – Scuola superiore: un riordino che riporta indietro il Paese.

Emma Colonna – C.I.D.I. Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti.

Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato, in seconda lettura, i regolamenti per il riordino di licei, tecnici, professionali, che così concludono il loro iter e, dopo la registrazione della Corte dei Conti e la firma del Presidente della Repubblica, diventeranno definitivi.
Saranno così introdotti cambiamenti significativi nel sistema scolastico italiano che peggioreranno drasticamente la qualità degli apprendimenti di tutti gli studenti, e renderanno la scuola superiore più povera e più rigida, sottraendo speranza e futuro al paese.
Il testo che segue è una lettera aperta del Cidi ai colleghi della scuola superiore.

Cari colleghi,

siamo in prossimità di quella che viene mediaticamente definita una grande riforma ma che rischia di rivelarsi un clamoroso passo indietro dell’attuale assetto della secondaria di secondo grado. Riteniamo per questo necessario richiamare la vostra attenzione su alcune questioni-chiave, attorno alle quali si giocherà, nei prossimi anni, la capacità della scuola pubblica di adempiere al mandato assegnatole dall’art. 3, comma2, della Costituzione.

Oggi più che mai la rimozione degli ostacoli che impediscono ilieno esercizio della cittadinanza non può che configurarsi come la priorità assoluta per ogni comunità professionale di docenti e dirigenti scolastici.

Il ruolo della scuola, infatti, si gioca sul terreno della cittadinanza, cioè sulla capacità di formare donne e uomini capaci di governare la propria esistenza. Il che vuol dire, educare al rispetto delle regole e delle persone, alla consapevolezza dei propri diritti, a interpretare i processi sociali, economici e scientifici in atto, ad usare, in contesti diversi dalla scuola, le conoscenze e le competenze apprese a scuola.

Formare mentalità critiche, capaci di risolvere problemi, abituare al dubbio, all’imprevisto, alla curiosità e, contemporaneamente, sviluppare un pensiero razionale e scientifico, capace di confrontarsi con la dimensione storica e con ogni aspetto dell’espressività umana, è compito fondamentale della scuola, tenuta a far acquisire quei saperi cosiddetti di cittadinanza indispensabili oggi per vivere, lavorare, continuare a studiare.

Siamo però dell’avviso che si sia pericolosamente rinunciato a dibattere e a confrontarsi sulle finalità del nostro sistema scolastico, sulla sua organizzazione, su che cosa sia utile insegnare e sui modi per insegnarlo. E che si sia rinunciato a trovare le soluzioni più opportune per combattere dispersione e abbandoni, oltre che per innalzare i livelli di apprendimento di bambini e ragazzi.

I regolamenti di riordino della secondaria superiore – o, più precisamente, delle secondarie – irrompono nella scuola al di fuori di un progetto culturale-educativo condiviso, capace di rimettere la scuola stessa in sinergia con le grandi questioni del mondo contemporaneo. L’universalizzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie, lo sviluppo della società dell’informazione e della comunicazione, moltiplicano per gli individui le occasioni di accesso al sapere. Cambiano contemporaneamente le competenze per accedere al sapere, così come cambiano continuamente i contenuti del sapere.

Ne consegue che è necessario apprendere di più e meglio a ogni livello ed età e che è necessario ripensare profondamente alle conoscenze che servono alla scuola. Sicuramente serve più cultura scientifica e tecnologica, ma anche un sistema efficace di educazione per adulti, perché ognuno possa tornare in formazione nell’arco della propria vita.

Ma per ritornare più volte a scuola nel corso della propria esistenza, per acquisire le competenze richieste dalla celerità con cui si trasformano i saperi in tutti i campi disciplinari, è necessario aver acquisito conoscenze e competenze molto solide nella prima fase della vita.

Serve, dunque, un percorso scolastico obbligatorio che comprenda il primo biennio della secondaria superiore. È, infatti, solo tra i 14 e i 16 anni che si possono acquisire, in tutta la loro valenza, alcune fondamentali conoscenze: è solo in prossimità di quella età e non prima, che i saperi si consolidano per persistere per la vita, diventando propedeutici ad altri nuovi saperi.

Alla luce di queste istanze culturali e sociali, la scuola superiore avrebbe dovuto vedere una riforma complessiva e organica di tutto il suo assetto ordinamentale, con una nuova articolazione del suo impianto culturale, il rinnovamento dei modi di insegnare e apprendere, alcune nuove finalità educative, un biennio obbligatorio, unitario e orientativo. Con l’obiettivo di costruire percorsi culturali di equivalente valenza educativa per porre finalmente termine alla gerarchizzazione tra le varie tipologie di istituti.

In altre parole l’iscrizione a un Tecnico o a un Professionale non dovrebbe più rappresentare una scelta di ripiego, connotata socialmente, ma un’opzione consapevole, determinata da interessi e competenze che trovano in quelle scuole risposte e valorizzazione personale.

Sarebbe stato quindi doveroso e utile un dibattito preliminare sui nodi di fondo, una convergenza di intenti e propositi nelle soluzioni da adottare che invece sono stati del tutto assenti.

Che cosa vuol dire oggi cultura disinteressata? Qual è la cultura che serve a formare cittadini consapevoli? Quali conoscenze sono fondamentali? Che cosa comporta in termini di impegno morale e professionale l’innalzamento dell’obbligo di istruzione? Quali materie devono far parte dell’area comune? Con quali politiche sociali e territoriali si possono contrastare dispersione e abbandoni? Come accogliere e integrare bambini e ragazzi non italiani? Quali investimenti, quali risorse umane ed economiche servono alla scuola?

Le scelte del governo purtroppo sono state fatte senza confronto alcuno, senza verificare le esperienze positive delle scuole, senza pensare alla sostenibilità delle soluzioni che stanno per essere adottate. In pochi a decidere il destino di tanti. Nessun confronto parlamentare. Nessun confronto con il mondo della scuola. Nessun dibattito nel Paese. Mortificato il ruolo degli Enti locali e delle Regioni. Dissolta l’autonomia delle Istituzioni scolastiche. Non si è dato neppure ascolto alla ragionevole e insistente richiesta di rinviare di un anno la messa a regime del nuovo ordinamento per consentire almeno a studenti e famiglie di compiere le scelte in piena consapevolezza.

Ci troviamo di fronte a cambiamenti che hanno come prevalente obiettivo il drastico risparmio di spesa. Come se la cittadinanza e la democrazia fossero diventate un costo insostenibile per il nostro Paese.

Ma non c’è solo questo: c’è in gioco anche un disegno volto a riproporre una cultura a compartimenti stagni, che segnerà profonde divisioni tra cittadini pensanti e cittadini consumatori. Funzionale a una simile prospettiva è, infatti, una scuola strutturata gerarchicamente, dove la separazione fra culture, tra sapere e saper fare, è il caposaldo su cui poggerà l’impalcatura culturale e organizzativa del riordinato sistema scolastico.

Come se, in un quadro di saperi e competenze di cittadinanza, fosse oggi possibile pensare a una istruzione che si fondi su una cultura solo linguistico-letteraria o solo scientifica e tecnica o solo ‘professionale’, a spendibilità immediata. Un tale impianto è poco adatto alle sfide che la complessità pone alla scuola e al Paese.

Eppure i regolamenti ripropongono un ordinamento scolastico che vede, dopo la terza media, da una parte i Licei destinati ai ragazzi più bravi, con famiglie in grado di sostenere la scelta di studi prolungati (il Liceo Classico in testa), dall’altra gli Istituti Tecnici per i cosiddetti quadri intermedi; infine i Professionali per chi svolgerà attività puramente esecutive, scelta residuale per i ragazzi più deboli, culturalmente e socialmente.
Non basta: il comma 4 bis dell’articolo 64 della legge 133/08 recita: L’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale. E ora un emendamento approvato dalla Commissione Lavoro della Camera consentirebbe a regime a tanti quindicenni, considerati un fastidioso e costoso ingombro per la scuola, di assolvere l’obbligo di istruzione persino nell’apprendistato. Una scelta sbagliata e ingiusta che ha l’obiettivo di smistare i più deboli verso un canale privo di contenuto culturale e di dubbia efficacia formativa.

L’idea è sempre la stessa: selezionare ed escludere prima che si può, senza offrire alcuna possibilità di rimotivazione allo studio e di recupero scolastico agli alunni che più ne hanno bisogno.

Per questa strada, che canalizza precocemente e rigidamente i percorsi di istruzione e formazione, il Paese è destinato al declino: civile, culturale e democratico; a restare fanalino di coda nelle sfide internazionali, nello sviluppo produttivo, nella ricerca e nella innovazione.

E mentre l’Unione Europea, l’Ocse e Bankitalia dicono che bisogna investire di più in conoscenza, l’Italia fa il percorso inverso: taglia drasticamente risorse, tempo scuola, insegnanti, torna indietro sull’età dell’obbligo di istruzione e prepara un sistema di istruzione che per l’organizzazione didattica e le indicazioni di contenuti che propone, abbasserà il profilo culturale della popolazione. Non solo: proprio perché chiude gli occhi sul futuro di tanti ragazzi, proprio perché canalizza e separa precocemente contribuirà a dividere ulteriormente la società, creando nuove e più forti disuguaglianze.

Per questo è urgente che la scuola superiore si riappropri della sua funzione di emancipazione culturale e sociale. Tutte le esperienze didattiche caratterizzate da spirito di inclusione, da innovazione metodologica e didattica e da cooperazione professionale devono essere rimesse sapientemente in campo, sfruttando ogni possibile spazio di autonomia scolastica.

La democrazia di un Paese si misura anche dalla qualità del suo sistema di istruzione e formazione.

Oggi in Italia sta pericolosamente circolando l’idea che la qualità sia favorita dal taglio di risorse. Non è accettabile.

A una scuola secondo Costituzione occorrono invece elaborazione e pensiero, finalità e obiettivi condivisi, investimenti a lungo raggio: sull’edilizia scolastica, sul diritto allo studio, sulla professionalità docente, sull’organico funzionale, sull’autonomia didattica e organizzativa, sulla ricerca e sperimentazione. Elaborazione e investimenti capaci di restituire alla scuola pubblica le finalità e i compiti che le sono attribuiti dalla nostra Carta costituzionale. Con l’auspicio che tutti gli insegnanti italiani si riapproprino del protagonismo professionale e culturale necessario per alzare la testa e far sentire la loro voce in questo momento così difficile per la vita della scuola e del Paese.

08:00 – 17/10/09 – Cambiano gli Indirizzi Scolastici: si torna al passato…

La scure della “riforma Gelmini” intende tagliare 131.900 teste nel prossimo triennio, tra bidelli, docenti e personale di segreteria, secondo il programma fissato dal Ministero dell’Economia a giugno dello scorso anno (DL 112/08). Già allora, quando non c’era alcun segnale di crisi economica, si era deciso di destinare “la torta” di 8 miliardi di euro sottratti alla scuola ad altri scopi: offrire un’Alitalia senza debiti ai soci CAI, comprare nuovi cacciabombardieri, o per finanziare un ambizioso ponte che non vedrà mai la luce. Scuole elementari, “medie” e superiori sono state chiamate ad offrire il proprio terzo di “torta”,suddivisa in parti pressoché uguali. È chiaro che il governo intende raggiungere l’obiettivo di fare cassa a spese dell’istruzione pubblica lontano dai riflettori, o fingendo di perseguire altro. A questo scopo, in particolare la “Riforma delle superiori”, prevede una realizzazione in tre tempi: un oggi, un domani (in vigore dal settembre 2009) e un dopodomani (dal 2010).

Proviamo ad analizzare i tre tempi.

1. OGGI. Si approva e si rende operativo con effetti immediati la parte di manovra che si vuole pubblicamente visibile: una operazione di facciata che si può definire “per una scuola seria”, ottima dal punto propagandistico perché, posta in questi termini, non può che essere unanimemente condivisibile, malgrado sia a costo zero. Si afferma con grande enfasi che si vuole premiare il merito, anche se dietro la facciata non c’è assolutamente nulla, perché non si vede quali leggi e quali articoli ne parlano, ossia come, dove e il merito di chi. Un obiettivo tanto più paradossale se si pensa che tanto più alte sono le invocazioni al merito quanto minori sono i meriti di chi invoca…

Si afferma ancora che si intende promuovere una scuola più severa e in questo caso si dà sostanza all’affermazione approvando, ad esempio, le nuove norme sull’ammissione all’Esame di Stato del prossimo 25 giugno. Ad inizio anno vigevano le norme stabilite dal precedente ministro (DM 42 del 22/5/2007), poi, il 13 marzo, il Consiglio dei ministri stabilisce che, per l’ammissione, è necessario almeno il 6 in condotta ed in tutte le materie, in ultimo, l’8 aprile, il ministro ci ripensa ed emette la circolare n.40: è ammesso all’esame di Stato chi ottiene la media del 6!

L’ansia di apparire efficienti e inflessibili, cambiando continuamente le norme ad anno scolastico in corso, aumenta forse la popolarità dei “giustizieri”, ma genera grande confusione non solo tra studenti e docenti, ma anche tra gli stessi dirigenti, costretti a recepire circolari ogni giorno diverse.

La tanto propagandata campagna per la bocciatura con il 5 in condotta è, da questo punto di vista, ancora più “esemplare”. Viene sbandierata con grande clamore, viene approvata con la legge 169 del 30/10/2008 e se ne specificano i contenuti con il DM 5 del 16/1/2009. Qui si spiega che il 5 in condotta “deve scaturire […] esclusivamente in presenza di comportamenti di particolare gravità […] che comportino l’allontanamento temporaneo dello studente dalla scuola per periodi superiori a 15 giorni”. Lo schema di regolamento approvato il 13/03/2009, però, stabilisce che il 5 in condotta si applica anche nei casi di mancanze ai seguenti doveri: “…frequentare regolarmente i corsi e assolvere assiduamente agli impegni di studio …avere nei confronti del personale tutto della scuola e dei compagni lo stesso rispetto, anche formale, che si chiede per se stessi …utilizzare correttamente le strutture, i macchinari e i sussidi didattici e non arrecare danni al patrimonio della scuola…” insomma la casistica diventa vastissima e, di pari passo, diventa enorme il potere discrezionale dei docenti. Non a caso la norma ha trovato buoni difensori all’interno delle scuole, tra quei docenti che hanno visto negli ultimi anni venir meno la propria autorevolezza. Molti sembrano trascurare che l’inasprimento degli strumenti repressivi non è di per sé garanzia nell’ottenimento di una maggiore “disciplina”. Una norma cambiata ad anno in corso, inoltre, offrirà il fianco ai ricorsi dei genitori che riterranno i propri figli ingiustamente danneggiati, con ottime possibilità di successo, se potranno permettersi le spese legali.

A questo si aggiunga pure che modelli scolastici come quello anglosassone, che da anni si distingue per una maggiore severità, non sembra ottenere migliori successi in fatto di rispetto delle regole e delle persone da parte degli studenti. I “nostri ragazzi” saranno forse meno bravi dei loro coetanei d’oltralpe nel mettere crocette su un questionario prestampato, ma mai ad oggi sono entrati in una scuola con un fucile, sono significativamente meno inclini al suicidio e raramente aggrediscono i loro docenti con pugni o armi. Se realmente si vuole un maggior rispetto, inoltre, meglio farebbero i docenti a pretenderlo dai mezzi di informazione e dagli stessi ministri, perché le dicerie sui professori ignoranti e scansafatiche sono state negli ultimi anni artatamente calato dall’alto, erodendone “il prestigio”.

Sull’oggi vale la pena di aggiungere che molte scuole sono in forte “sofferenza economica” perché costrette ad anticipare le somme per il pagamento dell’ordinaria amministrazione, delle visite fiscali rese obbligatorie anche per un solo giorno d’assenza e delle supplenze. Questi Istituti vedono crescere a dismisura il credito vantato nei confronti di uno Stato che da mesi non eroga quanto dovuto e hanno dovuto rinunciare a corsi di recupero per studenti in difficoltà, risparmiare sulla carta igienica e lasciare “scoperte” le classi con docenti in malattia.

2. DOMANI. Se ne parla poco o niente, ma le bozze di regolamento divenute legge il 27 febbraio contengono un taglio del personale scolastico delle “superiori” nell’ordine delle diverse migliaia già a partire dal settembre 2009. Si tratta di quel terzo di “non docenti” (personale ATA) che “salterà” già dal prossimo anno (circa un terzo di 15.167) al quale si aggiungono più di 11.000 docenti. Questi saranno tagliati principalmente per effetto di due misure: la riconduzione delle cattedre a 18 ore e l’innalzamento del rapporto alunni/classe. La prima delle due misure equivale a far sì che nessun docente abbia “ore a disposizione”, secondo alcuni utilizzate sino ad oggi per fare shopping o per far pascolare il chihuahua. In realtà queste ore, molto rare e presenti solo in alcune discipline, vengono utilizzate, ad esempio, per coprire le “assenze brevi”, per l’alternativa all’insegnamento della religione o per progetti di recupero e potenziamento. Eliminare queste ore cancellerà uno spazio di flessibilità rivelatosi prezioso per rimodellare l’offerta formativa sulla base di mutevoli esigenze.

L’aumento del rapporto alunni/classe, poi, promette di avere effetti ancora più gravi per il futuro delle scuole superiori. Le “norme per la riorganizzazione della rete scolastica”, in vigore dal 27/2/2009, prevedono infatti un numero minimo per la costituzione delle classi prime pari a 27 alunni e un massimo di 30, con una possibile oscillazione del 10%. Ciò equivale a dire che dal prossimo anno dovranno esserci dai 25 ai 33 alunni per classe, con conseguenze immaginabili sulla didattica, perché chiunque abbia provato ad insegnare sa che non è possibile svolgere una lezione decente in una classe affollata. Mai come in questo caso si rilevano i danni enormi che, per i ragazzi e la loro formazione, può produrre una “riforma” pensata e scritta da persone che mai si sono avvicinate ad una cattedra.

A questo si aggiunga che un’aula gremita è un’aula potenzialmente pericolosa. Il Ministero lo sa, per cui ha promesso di emanare un elenco delle scuole che, per carenze strutturali, potranno conservare i parametri preesistenti. Questo elenco, però, tarda ad arrivare, perché nessuna o quasi delle nostre scuole può garantire la sicurezza con classi di 27 o 33 alunni. Non a caso negli anni una serie di norme hanno cercato di fissare criteri che non dovrebbero essere ignorati, per affrontare possibili incendi e calamità naturali. In particolare il punto 5 del decreto 26/8/1992 del Ministero dell’Interno: “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, pone un limite massimo di 26 persone (25 alunni) per classe. Il D.M. 18/12/1975 indica inoltre “gli spazi minimi vitali per garantire la funzionalità dei locali scolastici”, pari a 1,96mq per alunno. Non è un caso se molti moderni edifici scolastici hanno aule di 52mq, perché contengano non oltre le 26 persone. Le leggi richiamate sono ancora vigenti e ad esse si aggiunge oggi il DLGS 81 del 2008″ DLgs 81/08 (TU della sicurezza sul lavoro) che definisce la scuola “luogo privilegiato per promuovere la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”. In questo luogo “privilegiato” si vogliono inscatolare un numero tale di alunni che già il minimo (27) è superiore al massimo consentito dalle norme anti-incendio. È prevedibile che, qualora domani si verificasse una disgrazia in un’aula sovraffollata, i nostri ministri, dimentichi del calcolo criminale fatto oggi, incolperanno l’onnipresente fatalità o quei presidi ai quali si chiede oggi di mettere da parte ogni residuo di dignità e di essere fedeli esecutori di ordini: affollando aule, sperimentando riforme a scatola chiusa o denunciando clandestini!

3. DOPODOMANI. Le classi prime che si costituiranno nel settembre 2010 dovranno fare i conti con la “revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei Licei” e “degli Istituti tecnici”. Essi hanno in comune il notevole taglio al monte ore settimanale e costituiscono la parte “strutturale della riforma”, quella si propone di modificare scopi e contenuti didattici dei nostri Istituti superiori. Si disegnano due canali ben distinti e separati, con 6 indirizzi liceali sempre meno professionalizzanti (pensati per chi dovrà iscriversi all’università) e 11 istituti tecnici più poveri di contenuti culturali e sempre più legati al mondo delle aziende (che farà il suo ingresso “paritetico” negli organismi decisionali). Si cancellano tutte le sperimentazioni e tutti quegli indirizzi, come il liceo scientifico-tecnologico, che potevano costituire “un ponte” tra i due canali.

Di pari passo si intende far viaggiare la regionalizzazione dell’Istruzione e Formazione professionale e in tal senso appare indicativo il protocollo d’intesa firmato da Gelmini e Formigoni il 16 marzo 2009.

Si discute in Parlamento poi la “Proposta di legge Aprea” n. 953, che intende trasformare le nostre scuole in fondazioni (Art.2) con partner pubblici e privati. Queste saranno strutturate secondo un rigido modello piramidale (Art.3) con il dirigente al vertice e, più in basso, il suo vice, il “Consiglio di amministrazione” che sostituisce quello di Istituto (Art.5 e 6) e il Collegio dei docenti. Tra questi verrà stabilita una gerarchia (art.17) con docenti “esperti” (quei baroni che, lungi dall’essere cancellati dalle università, vengono proposti anche alle superiori), docenti “ordinari” e, buoni ultimi, quelli “iniziali”, sottopagati e continuamente ricattabili, perché soggetti a controlli periodici, come la caldaia.

Tutti gli importanti e articolati programmi per il “dopodomani” meriterebbero però uno specifico approfondimento, perché non si limitano a perseguire l’obiettivo del risparmio di cassa, ma intendono evidentemente modificare volto e sostanza delle nostre scuole superiori. È quantomeno anomalo che tali svolte “epocali” vangano concepite in segreto e maturino in assenza di un dialogo con le parti direttamente coinvolte, quelli che in classe entrano ogni giorno: gli studenti e i loro docenti.

Studenti, genitori e lavoratori della scuola, il governo e le finte opposizioni ci costringono oggi ad una scelta: difendere il futuro della scuola statale o stare alla finestra in attesa che la smantellino!

Fonte: tagicon