18:05 – 25/03/11 – Cara Gelmini ti Scrivo…

E più forte ti scriverò...
E più forte ti scriverò...

Di Adriana Bizzarri.

Oltre alle consuete domande che le vengono sottoposte normalmente e non avendo la possibilità di rivolgergliele direttamente, le vorremmo sottoporre alcune questioni estremamente concrete ma ancora irrisolte.

Aule sovraffollate sì, aule sovraffollate no?
Lo scorso 4ottobre ha dichiarato che il fenomeno delle classi sovraffollate sarebbe di modeste dimensioni in quanto rappresenterebbe solo lo 0,4% del totale delle classi e che quelle sovradimensionate, ovvero con 30 o più alunni, riguarderebbe soprattutto le scuole secondarie di secondo grado.
Ammesso e non concesso che sia così (perché i dati sono quelli resi noti dal Ministero e non c'è modo di verificarne la loro attendibilità) il Ministro sa che lo 0,4% delle classi corrisponde a 1.500 classi per un totale di 45.000 studenti circa? Anche se il numero delle classi in soprannumero non fosse maggiore di questo, rimane grave il fatto che 45.000 ragazzi debbano frequentare aule non a norma per la prevenzione degli incendi, invivibili e inadatte a garantire le condizioni minime di apprendimento. Per questo Cittadinanzattiva proseguirà la sua indagine annuale sugli edifici scolastici e, sulla base di segnalazioni di genitori e di insegnanti e dei dati raccolti, presenterà, forse, una realtà un po' diversa, addirittura più grave di quella sopradetta.

Fondi straordinari o fondi ordinari per la sicurezza delle scuole?
I fondi FAS già stanziati prevedono, complessivamente un miliardo di euro per interventi straordinari di messa in sicurezza nelle scuole suddivisi in più anni. Il primo stanziamento ha riguardato le scuole dell'Abruzzo (250 milioni), la seconda parte è stata ripartita su 1700 scuole in tutta Italia. Stanziamento, però, non significa erogazione effettiva ed esecuzione dei lavori. Quindi è anche possibile che laddove i fondi siano stanziati, le scuole non ne abbiano ancora usufruito. Manca, però, una parte di quello stanziamento. Per questo le chiediamo: quando sarà possibile utilizzare l'ultima parte dei fondi FAS per mettere in sicurezza le scuole più degradate? Secondo quali criteri? Le regioni del Sud avranno almeno in questo terzo stralcio la priorità, dal momento che le scuole peggiori si trovano nelle regioni meridionali e nelle isole e che questi fondi erano in origine ad esse destinati?
Perché non sono stati previsti neanche in questa finanziaria fondi ordinari per l'edilizia scolastica né per quest'anno, né per i prossimi? Non sarebbe ora di uscire dalla logica emergenziale per ripristinare, invece, una sana ed efficace programmazione pluriennale, che garantisca la messa in sicurezza di un numero significativo di edifici scolastici?
Ancora: molti Comuni, pur avendo fondi da spendere per le scuole non possono farlo per i limiti imposti dal patto di stabilità. Possibile che non si riesca ad escludere da questi vincoli alla spesa pubblica, pure necessari, gli investimenti sull'edilizia scolastica?

Anagrafe dell'edilizia scolastica? Cercasi
La legge n. 23 del 1996 aveva previsto anche l'istituzione dell'Anagrafe cioè la mappatura dello stato degli edifici scolastici. Molta acqua è passata sotto i ponti o, peggio, molte tragedie sono avvenute da allora: la scuola elementare di San Giuliano di Puglia, la classe del Liceo Darwin di Rivoli, la Casa dello studente de L'Aquila.
Eppure, nonostante tutte queste vittime, anche a causa della mancata collaborazione di alcuni enti locali, si è arrivati, come affermato ufficialmente da Lei, ministro Gelmini, e dal Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture Mantovani, al raggiungimento dell'80% dei dati dell'Anagrafe.
E allora ci permettiamo di chiedere: come è stato possibile mettere insieme dati così disomogenei come quelli dell'Anagrafe e della Mappatura avviata nel 2008, rilevati in periodi e con metodologie così diverse? Chi li terrà costantemente aggiornati? Se è vero che i dati sono disponibili per l'80% delle scuole, perché non renderli consultabili a tutti? I cittadini (famiglie insegnanti, studenti) hanno il diritto di sapere in che stato sono gli edifici che frequentano!

Bilanci delle scuole in rosso?
Si è chiesta come mai i Dirigenti scolastici non riescano più a fare fronte alle spese di funzionamento ordinarie e alle supplenze? Semplicemente perché con l'ennesima circolare proveniente (n.9537 del 2009) sono stati effettuati tagli del 25% sui bilanci di ciascuna scuola. Senza contare che i crediti maturati dalle scuole verso il Ministero sono risultati solo parzialmente riconosciuti e soltanto quelli per le supplenze. Parliamo di 1 miliardo di euro che le scuole hanno anticipato, che alle scuole servivano, oltre che per le supplenze, anche per le pulizie esterne, per gli esami, per i materiali di cancelleria, di pulizia, di igiene (sapone e carta igienica, tanto per capirci). Perché meravigliarsi se i Dirigenti scolastici sono costretti ad aumentare la richiesta dei contributi volontari alle famiglie per supplire a questa riduzione e ad usarli con destinazioni diverse da quelle previste per legge? Perché stupirsi delle continue richieste da parte delle scuole alle famiglie di contributi in natura cioè in carta, penne, carta igienica, saponi, ecc? Possiamo sapere se quei crediti saranno mai interamente riconosciuti e restituiti alle scuole? Dal momento che, Ministro, Lei invoca la qualità del servizio scolastico come motivazione ai tagli dovrebbe spiegarci in cosa consista la qualità di istituti scolastici dove manca di tutto e dove le famiglie sono chiamate a pagare per le necessità più urgenti?

Cittadinanza e Costituzione: materia virtuale?
Dopo tanta enfasi e tanti annunci sul ripristino dell'ora di educazione civica denominata Cittadinanza e Costituzione, riconosciuta materia curricolare con tanto di valutazione, dopo appena un anno di sperimentazione, con la Circolare n.86 dell'ottobre 2010 è stata cancellata ed è tornata ad essere materia fantasma, o meglio, trasversalema nei fatti, di nuovo la cenerentola del curricolo scolastico. Perché questo improvviso dietro – front? Forse perché sono state diminuite le ore di insegnamento delle scuole secondarie e non si sarebbe saputo a quali insegnanti affidare questa materia? Forse perché nessun docente disponeva delle competenze richieste? E lo sappiamo tutti quanto bisogno ci sia di offrire una formazione civica di base ai giovani!

Perché non decolla la valutazione degli insegnanti e degli istituti scolastici?
Se fossimo nei Suoi panni vedremmo con preoccupazione il rifiuto, per non parlare di vero e proprio boicottaggio, della sperimentazione della valutazione da parte delle scuole e degli insegnanti avviata dal Suo Ministero nelle scorse settimane. Che la valutazione nel mondo della scuola sia indispensabile non c'è alcun dubbio e che la scuola opporrà resistenze al riguardo, pure.
Ma ci chiediamo: quanto sono stati coinvolti gli insegnanti e i loro sindacati nel processo che si intende avviare, data la sua importanza? Possibile che i tanti rifiuti a collaborare siano spiegabili solo con le resistenze ad essere valutati da parte degli insegnanti? Non ci sarà il timore che i fondi destinati ai meritevoli saranno prelevati dal blocco degli scatti di anzianità dei docenti?
Come vede gli interrogativi sono tanti e non possono essere ricondotti esclusivamente al problema di quanti sono gli insegnanti e quanto costano. La situazione è oggettivamente complessa come poche ma un consiglio appassionato ci sentiamo di darle: girare di più nelle scuole italiane, ascoltare insegnanti, personale ATA, studenti, vedere con i propri occhi ciò che accade e le condizioni reali in cui si studia e si lavora. Questo sarebbe davvero un modo concreto e sincero di amare il proprio paese ed anche la scuola pubblica italiana.

Adriana Bizzarri, responsabile scuola di Cittadinanzattiva

19:15 – 17/03/10 – Assegnazione Classi di Concorso: È Caos…

Si è tenuto ieri l’incontro al Miur convocato su un ordine del giorno che prevedeva un’informativa sull’organico dei docenti e sui provvedimenti attuativi dei nuovi regolamenti della scuola secondaria, in particolare sull’assegnazione degli insegnamenti previsti per le nuove prime alle classi di concorso e sulla individuazione degli ambiti disciplinari su cui operare la riduzione oraria nelle classi successive alle prime a 32 ore degli istituti tecnici ed a 34 ore degli istituti professionali.

Sugli organici non è stata fornita nessuna nuova informazione rispetto a quanto già comunicato nell’incontro dello scorso 23 febbraio. L’unica cosa certa è che il prossimo anno saranno tagliati 25.600 posti di docenti e 15.256 ATA.

Per quanto riguarda i nuovi ordinamenti della scuola superiore, mentre i regolamenti sono tutt’altro che definitivi (manca ancora la firma del Presidente della Repubblica, il parere della Corte dei Conti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale), i provvedimenti successivi che dovrebbero attuare quei regolamenti sono ancora in alto mare.

Assegnazioni degli insegnamenti delle nuove prime alle classi di concorso

L’assegnazione degli insegnamenti delle prime del nuovo ordinamento alle classi di concorso è ancora in bozza e non è stato ancora deciso con quale atto sarà adottata. L’unica certezza è che saranno utilizzate le attuali classi di concorso, essendo stato rinviata la definizione delle nuove classi che dovrebbero quindi partire dall’a.s.2011/12.

Per molti insegnamenti saranno inizialmente previste numerose “atipicità”. Con le “atipicità” si assegna l’insegnamento di una stessa disciplina a più classi di concorso, e si lascia alle scuole l’onere di decidere a quale classe di concorso specifica, fra quelle indicate, vada assegnato, fermo restando l’obbligo ad assegnare queste ore al personale attualmente in servizio presso quella istituzione scolastica.

Le “atipicità” sono già state adottate negli scorsi anni per vari indirizzi sperimentali e spesso hanno determinato contenzioso e discrezionalità.

Riduzione di orario nelle classi successive dei tecnici e dei professionali

Per quanto riguarda la decurtazione delle ore nelle II, III e IV dei Tecnici e nelle II e III dei Professionali non è ancora disponibile alcun documento, vista la complessità della materia e delle diverse situazioni che nel corso degli anni si sono prodotte su impianti orari non esattamente omogenei, anche a fronte della stessa tipologia di indirizzo.

È stato ribadito che in ogni caso su questa materia la decisione spetta al Miur ed abbiamo quindi richiesto che il Miur stesso ribadisca tale principio a tutte le istituzioni scolastiche, con una nota ufficiale ed in tempi brevissimi, data la situazione di grande confusione e conflitto che si sta producendo in molte scuola, in cui sono stati convocati, inopportunamente, i collegi dei docenti per deliberare in merito.

Il Miur, condividendo la necessità di fermare questo incomprensibile, inutile ma dannoso processo si è impegnato in tal senso, dato che quelle diminuzioni vanno stabilite a livello nazionale per tutte le scuole e che quindi non è previsto alcuna delibera delle scuole stesse.

Confluenze automatiche e nuove denominazioni

Sulla gestione delle confluenze automatiche tra il vecchio e il nuovo ordinamento, per le sole classi prime, viste le numerose segnalazioni di anomalie e dimenticanze, abbiamo sollecitato la pubblicazione del quadro completo per provincia degli indirizzi/opzioni attivati nei vari istituti. L’attuale applicazione on-line del Miur non permette una visione complessiva del quadro dell’offerta formativa e la verifica della correttezza delle confluenze.

L’Amministrazione si è impegnata a fornirla a breve.

Licei musicali e coreutici

L’Amministrazione ha fornito l’elenco degli licei coreutici e musicali fino ad ora autorizzati: 28 licei musicali e 5 coreutici.

È stato specificato che sono stati autorizzati, non solo i percorsi sperimentali attivati con decreto ministeriale, così come previsto dalla bozza di Regolamento sui licei, ma anche quelli istituiti in convenzione con istituzioni AFAM e quelli presenti nelle delibere regionali sulla programmazione dell’offerta formativa per il 2010/11.

La FLC Cgil ha criticato i criteri assolutamente discrezionali con cui l’Amministrazione ha autorizzato i nuovi percorsi, tenuto conto che non dappertutto quei criteri sono stati coerentemente rispettati. Sarebbe alquanto opportuno che le istituzioni escluse, a questo punto, seppure in ritardo, facessero sentire la loro voce sia nei confronti dell’Amministrazione scolastica che degli enti locali.

Riguardo agli insegnamenti di indirizzo nei licei coreutici e musicali, l’Amministrazione ha dichiarato che per i primi, non esistendo attualmente una esperienza consolidata, si ricorrerà alle convenzioni con l’Accademia nazionale di danza per gli insegnamenti di indirizzo.

Per i licei musicali, dove invece c’è una maggiore esperienza ed una presenza più consolidata di personale, in fase transitoria saranno utilizzati prioritariamente i docenti in possesso dei titoli ora richiesti per l’insegnamento di strumento musicale nella scuola media e/o i docenti diplomati di conservatorio e abilitati per le classi di concorso A031 e A032.

L’insegnamento di Storia della musica sarà assegnato ai docenti della classe di concorso A031 , mentre nei licei musicali attualmente sperimentali, dovrebbero continuare ad insegnare i docenti ora utilizzati.

La riunione è stata quindi aggiornata al 31 marzo, data in cui dovrebbero esserci fornite maggiori informazioni sugli organici e sulla riduzione oraria nelle classi successive alle prime.

Fonte: CGIL Scuola Informa

18:26 – 06/10/09 – Come Difendersi dai Soprusi dell'Amministrazione Scolastica?

Difendersi dallamministrazione scolastica
Difendersi dall'amministrazione scolastica

Piccolo Manuale di autodifesa dai soprusi dell'amministrazione scolastica.

Galletto Attento
Galletto Attento
La classe è come un pollaio? Verificalo con la scheda sulla sicurezza scolastica!

16:15 – 13/07/09 – Libertá, fraternitá… diversitá?

Sociologia e Divisione in Classi in Occidente (audio mp3)

Il Dibattito

Per il colore della pelle, l'orientamento sessuale, l'appartenenza religiosa, interi strati sociali vengono tenuti in disparte dalla cittadinanza ordinaria, vittime di discriminazioni. In diversi paesi, esistono invece tratti culturali, un sentimento di appartenenza, legami di solidarietà che uniscono i membri di un gruppo ad una comune storia. Non si può dunque analizzare ogni società solo attraverso i rapporti di classe. Per citare un solo esempio, ricorderemo l'esperienza amara dei sandinisti, in Nicaragua, all'inizio degli anni '80: animati da idee nobili ma eccessivamente giacobine e centralistiche, ignorarono la cultura specifica degli indios Miskitos e iniziarono contro di loro un conflitto dalle conseguenze funeste – una guerra! D'altro canto, l'Obamamania dilagante in Francia ha restituito attualità al dibattito sull'invisibilità delle minoranze visibili e alla lunga marcia degli Obama francesi. Dopo la nomina di Rachida Dati, Rama Yade e Fadela Amara al governo, il presidente Nicolas Sarkozy ha annunciato il 17 dicembre l'arrivo di Yazid Sabeg alla funzione appena creata di commissario alla diversità e alle pari opportunità. La differenza viene dunque riconosciuta e valorizzata. E addirittura amplificata! Con il rischio di rafforzare un confinamento comunitario o religioso mentre, afferma Walter Benn Michaels, il problema principale è la ricerca dell'uguaglianza economica.
Walter Benn Michaels *
Nel 2001, la questione della diversità non si poneva nemmeno; oggi, il dibattito è aperto (1) L'osservazione del quotidiano Libération salutava l'aumento (ritenuto ancora timido) del numero dei candidati di sinistra cosiddetti della diversità alle elezioni municipali del marzo 2008. Ma la sinistra non ha il monopolio della riflessione sulla diversità, in Francia. Dopotutto, Nicolas Sarkozy, pochi mesi prima, aveva proposto di inserire questo valore nel preambolo della Costituzione; il capo dello stato intende infatti accelerare decisamente l'espressione della diversità etnica (2) all'interno delle élite.

Di fronte a questa dinamica francese, un americano può provare due sentimenti contraddittori. Innanzitutto, la sorpresa: da trent'anni, la diversità occupa un ruolo sempre più importante nella vita politica, sociale e, soprattutto, economica degli Stati uniti; come hanno potuto i francesi accumulare un tale ritardo? Poi, la delusione: perché mai la Francia ha deciso infine di recuperare questo ritardo? Questo libro non risponderà alla prima domanda, che in tutta evidenza rappresenta un argomento di studio per gli storici. Si dedica però alla seconda.

Lo schieramento dei sostenitori dichiarati della diversità – dagli indigeni della Repubblica (3) al capo dello stato – rappresenta, per le sue stesse dimensioni, un principio di risposta.

Se ne possono delineare meglio i contorni esaminando un quesito posto da un militante degli Indigeni della Repubblica non sulla diversità, ma sull'eguaglianza: Cosa significa concretamente la paradossale affermazione di un'eguaglianza tra ricchi e poveri, borghesi e proletari, imprenditori ed operai, padroni e servi, bianchi e non bianchi, uomini e donne, eterosessuali e omosessuali (4)? Ciò che conta è la forma stessa dell'interrogativo, e in particolare lo slittamento strutturale che si attua quando si mette su uno stesso piano l'opposizione tra padroni e servi, da un lato, e tra bianchi e non bianchi dall'altro.

Infatti, le diseguaglianze tra bianchi e non bianchi – e tra uomo e donna, eterosessuali e omosessuali… – derivano soprattutto da discriminazioni e pregiudizi. E poiché nascono dal razzismo e dal sessismo, per eliminarle basterà sradicare il razzismo e il sessismo.

Ma le diseguaglianze tra ricchi e poveri, imprenditori e operai non nascono dal razzismo né dal sessismo: esse derivano dai rapporti di proprietà e dal capitalismo. In materia di diseguaglianza economica, il razzismo e il sessismo funzionano come sistemi di smistamento: non generano la diseguaglianza in sé, ma ne distribuiscono gli effetti.

Ecco perché anche la più completa sconfitta di razzismo e sessismo non colmerebbe il divario tra ricchi e poveri; essa modificherebbe solo la sua ripartizione per sesso, inclinazione sessuale e colore della pelle. Una Francia in cui un maggior numero di neri fosse ricco non sarebbe automaticamente più egualitaria, ma solo un paese in cui il divario tra neri poveri e neri ricchi sarebbe maggiore.

Senza dubbio, la situazione francese presenta le sue peculiarità: dal dopoguerra fino alla fine degli anni '70, le correnti dominanti della sinistra si preoccupavano esclusivamente dell'uguaglianza economica.

Le questioni relative al femminismo, al razzismo, all'omosessualità ecc. erano relegate al rango di contraddizioni secondarie o semplicemente ignorate. Ma, in un quarto di secolo, la situazione è evoluta al punto da rovesciare l'ordine delle priorità: a partire dalla svolta liberale del 1983, la lotta contro le discriminazioni (illustrata in particolare da Sos-Racisme) ha preso il posto della fine del capitalismo, nella gerarchia degli obiettivi. Poiché esso si è spesso sostituito (invece di aggiungersi) alla lotta per l'eguaglianza, l'impegno in favore della diversità ha indebolito gli argini politici che contenevano la spinta liberale.

Un impegno tanto più consensuale in quanto non comporta alcuna redistribuzione di ricchezza La volontà di sconfiggere razzismo e sessismo si è rivelata compatibile con il liberismo economico, mentre la volontà di ridurre – non parliamo neppure di colmare – la distanza tra ricchi e poveri non lo è. Mentre esibiva il suo impegno in favore della diversità (combattendo i pregiudizi, ma anche celebrando le differenze), la classe dirigente francese ha accentuato la sua vocazione liberista. Questa tendenza, caratteristica della destra (cos'altro incarna Sarkozy?), si ritrova spesso nelle persone che si dichiarano di sinistra. In realtà, mentre la questione dell'identità nazionale rafforza il suo impatto sulla vita intellettuale francese – che la si celebri (il presidente della Repubblica) o che la si combatta (gli indigeni) – essa nasconde l'aumento delle disuguaglianze economiche che caratterizza il neoliberismo in tutto il mondo.

Non è certo mia intenzione sostenere che la discriminazione positiva (o l'impegno per la diversità in generale) aumenti le disuguaglianze.

Si tratta piuttosto di dimostrare che la concezione di giustizia sociale che sottintende la lotta per la diversità – i nostri problemi sociali fondamentali deriverebbero dalla discriminazione e dall'intolleranza piuttosto che dallo sfruttamento – si fondi anch'essa su una visione neoliberista. Si tratta, d'altro canto, di una parodia di giustizia sociale che ammette l'allargamento del divario economico tra ricchi e poveri finché tra i ricchi vi siano tanto (in proporzione) neri, bruni e gialli quanto bianchi, tanto donne quanto uomini, tanto omosessuali quanto eterosessuali. Una giustizia sociale che, in altri termini, accetta le ingiustizie generate dal capitalismo. E che ottimizza anche il sistema economico distribuendone le diseguaglianze senza distinzione di origine né di genere. La diversità non è un mezzo per instaurare eguaglianza; è un metodo di gestione della diseguaglianza.

Nonostante il loro tardivo avvicinamento alla causa della diversità e del neoliberismo, le classi dirigenti francesi imparano rapidamente.

Nel rapporto annuale 2006 dell'Alta Autorità nella lotta contro le discriminazioni e per l'eguaglianza (Halde), il presidente Louis Schweitzer espone la sua singolare visione di uguaglianza: Se si crede all'eguaglianza, l'assenza di diversità è il segno visibile di discriminazioni o di pari opportunità poco garantite (5). Insomma, se quelli che guadagnano più soldi di tutti sono solo bianchi e uomini, c'è un problema: se tra loro ci sono neri, scuri e donne, non c'è problema. Se la vostra origine o il vostro sesso vi priva delle possibilità di successo offerte agli altri, c'è un problema; se è la vostra povertà, va tutto bene.

Un certo numero di commentatori ritiene che la fonte stessa di tali riflessioni meriti cautela. D'altra parte, Schweitzer ha diretto a lungo la Renault, un'impresa condannata numerose volte per discriminazioni sindacali. In realtà, queste due obiezioni mancano il bersaglio.

Il problema della Halde non consiste nella scarsa diversità del comitato che la dirige. Se pure quest'istituzione rivaleggiasse in diversità con la squadra nazionale di Francia che fu campione del mondo di calcio nel 1998, la società francese non risulterebbe affatto meno diseguale, sul piano economico, per un goal segnato da Zinedine Zidane o da Lilian Thuram.

Il problema non è nemmeno che Schweitzer si sia reso responsabile di discriminazioni sindacali: non vi è alcuna ipocrisia nell'opporsi ai sindacati di sinistra mentre si sostiene la diversità. Analogamente, non vi è alcun conflitto tra la conservazione delle élite e la loro diversificazione: ci si sforza di diversificarle per legittimarle, non per eliminarle.

Da uomo d'affari navigato qual è, Schweitzer sa che l'impegno in favore della diversità rappresenta tanto una strategia manageriale quanto una posizione politica. La questione suscita d'altronde passioni altrettanto potenti nelle scuole di economia che tra gli Indigeni della Repubblica. Preoccupati di offrire ai futuri dirigenti di impresa una prospettiva “globale” dell'interculturalismo nel campo degli affari, Carlos e Javier Rabassó hanno pubblicato nel settembre 2007 una Introduzione al management interculturale. Per una gestione della diversità (6). Il saggio, che affianca nella stessa collana titoli come Marketing delle attività terziarie, Finanza di mercato, Strategia finanziaria e Il coaching in cinque tappe, riserva sorprese a chi si avventura all'interno dei capitoli dedicati alla diversità: praticamente ogni riga potrebbe essere stata scritta dagli estremisti di sinistra degli Indigeni della Repubblica.

Per esempio, la critica da parte di uno dei loro dirigenti, Sadri Khiari, nei confronti della sinistra unitaria (occuparsi della diversità culturale su scala mondiale ma non nella stessa Francia (7)) fa rima con quella dei fratelli Rabassó all'indirizzo dei governi europei, che sottintendono la diversità tranne che all'interno dei confini nazionali (p. 168). E così come gli Indigeni chiamano lo stato e la società a operare una riflessione critica sull'universalismo egualitario, affermato durante la Rivoluzione Francese (L'appello degli indigeni della Repubblica), i nostri due professori di marketing invocano una nuova “rivoluzione francese” fondata sui temi controversi della diversità, della discriminazione e dell'azione positiva (p.

194).

Cosa può significare il fatto che dei rappresentanti del mondo degli affari e dei discendenti dei nonni posti in schiavitù, colonizzati, animalizzati condividano la stessa visione del mondo? Che la diversità, nella sua accezione più ampia (origini etniche, sesso, handicap, età, orientamento sessuale) ha acquisito quello che il quotidiano finanziario Les Echos definisce uno status di imperativo economico (8) e che la sinistra si dimostra altrettanto pronta della destra a entusiasmarsi per questo nuovo imperativo.

In altri termini, che la logica secondo cui le questioni sociali fondamentali riguardano il rispetto delle differenze identitarie e non la riduzione delle differenze economiche comincia a diffondersi in Francia come già è avvenuto negli Stati uniti. Qui come laggiù, la destra neoliberista ha finalmente trovato una sinistra neoliberista che rivendica ciò che la destra è fin troppo felice di concederle.

E, quando si tratta di rendere il mercato del lavoro e il mercato finanziario più efficiente sviluppando la diversità in seno alle imprese (l'imperativo economico), questa sinistra rinnovata si mostra addirittura impaziente di svolgere un ruolo di avanguardia.

Parlare di convergenza tra destra neoliberista e sinistra neoliberista riguardo alla diversità può apparire sorprendente. Dopo tutto, Sarkozy non è stato eletto, nel 2007, sulla base di un programma che esaltava l'identità nazionale? Non ha forse, nel corso della campagna, conquistato gli intellettuali più conservatori, come Alain Finkielkraut? E una volta eletto non si è forse affrettato a instaurare un ministero dell'immigrazione e dell'identità nazionale? Tuttavia, poco dopo l'inaugurazione del ministero, Sarkozy dichiarava nel gennaio 2008: La diversità fa bene a tutti. Per poi annunciare che questa battaglia sarebbe stata al centro del suo mandato.

La sinistra neoliberista tuttavia continua ad attaccare spesso Sarkozy come se egli fosse davvero razzista. La spiegazione è allo stesso tempo semplice e logica: se la sinistra neoliberista non dipingesse la destra neoliberista come l'altra faccia della vecchia destra xenofoba, nulla permetterebbe di distinguere la prima dalla seconda. Così si spiega la felicità del direttore di Libération Laurent Joffrin non appena Sarkozy accenna il minimo borbottio preoccupante in tema di immigrazione e identità nazionale.

In verità, la sinistra neoliberista è essa stessa molto più vicina a Sarkozy di quanto quest'ultimo sia vicino a Jean-Marie Le Pen: entrambe sostengono il capitalismo (temperato), l'economia di mercato (regolata) e il libero scambio (ragionevole). Certo, il presidente francese ha un leggero vantaggio: se ne assume le responsabilità.

Il Partito socialista, invece – come nota lo stesso Joffrin con una certa malinconia – tenta sempre di dare alla parola “socialismo” una definizione che sia allo stesso tempo attuale e ben distinta dalle politiche dell'Ump [Union pour un mouvement populaire] (9).

L'obiettivo, in questo caso, consiste nel dichiararsi di sinistra senza mai adottare, nei fatti, alcuna posizione politica di sinistra – ben sapendo, ciò che facilità ulteriormente le cose, che la critica radicale del capitalismo non è considerata molto attuale. Ma noialtri americani abbiamo finalmente trovato la soluzione. Noi discutiamo all'infinito sull'identità, inventando distinzioni come: opporsi alla discriminazione positiva (poiché, sostengono i repubblicani, è discriminazione contro i bianchi!) sarebbe una posizione di destra, sostenere la discriminazione positiva (in quanto, replicano i democratici, è una riparazione che dobbiamo ai neri per gli anni di discriminazione che abbiamo imposto loro!) sarebbe di sinistra. Bene, noi ce ne occupiamo.

Basta confrontare i doveri legati alla diversità (tutti devono essere gentili con tutti) con quelli che comporta l'eguaglianza (qualcuno deve rinunciare alla propria ricchezza) per capire quanto l'impegno per la diversità abbia trasformato il progetto politico della sinistra americana in un programma il cui fine è che i ricchi di carnagione o di orientamento sessuale diverso si sentano più a loro agio senza toccare la materia che, tra tutte, li rende più a loro agio: i loro soldi.

Depotenziare la questione sociale riformulandola come problema di identità culturale Non è sempre stato così. Il militante dei diritti civili Bobby Seale, co-fondatore nel 1966 del partito delle Black Panther negli Stati uniti, ammoniva i suoi compagni: Chi spera di oscurare la nostra lotta anteponendo l'esistenza di differenze etniche aiuta la conservazione dello sfruttamento di massa: bianchi poveri, neri poveri, ispanici poveri, indiani, cinesi e giapponesi poveri. Per Seale, le cose erano chiare: Non combatteremo lo sfruttamento capitalistico grazie ad un capitalismo nero. Combatteremo il capitalismo grazie al socialismo (10). L'allontanamento da quest'ultima prospettiva doveva avere come corollario il riavvicinamento a un capitalismo nero?

Non contenti di sostenere che il nostro vero problema è la differenza culturale, e non la differenza economica, abbiamo cominciato a considerare quest'ultima come se essa stessa fosse una differenza culturale.

Ci si attende da noi, oggi, un maggior rispetto nei confronti dei poveri e che cessiamo di considerarli come vittime – in quanto trattarli da vittime significherebbe dimostrare commiserazione nei loro confronti, negare la loro individualità.

Ebbene, se riusciamo a convincerci che i poveri non sono persone che chiedono soldi ma che chiedono rispetto, allora il problema da risolvere è il nostro atteggiamento nei loro confronti, e non la loro povertà. Possiamo dunque concentrare i nostri sforzi riformatori non verso la soppressione delle classi, ma verso l'eliminazione di ciò che noi, gli americani, chiamiamo classismo. Il trucco, in altri termini, consiste nell'analizzare la diseguaglianza come una conseguenza dei nostri pregiudizi piuttosto che del nostro sistema sociale: si sostituisce così al progetto di creare una società più egualitaria quello di condurre gli individui (noi, e soprattutto gli altri) a rinunciare al loro razzismo, al loro sessismo, al loro classismo e alla loro omofobia.

Questa strategia può essere adottata anche dalla Francia. A tale proposito, l'interminabile dibattito suscitato dalla vicenda del velo nelle scuole può essere considerato una prova promettente.

In un certo senso, infatti, si trattava, come ha sottolineato Pierre Tévanian, di un falso dibattito – le poche ragazze che portavano il velo non rappresentavano alcuna minaccia per la Francia o per il sistema educativo francese, e il loro scopo non era mettere in discussione il principio stesso della laicità. Perché, dunque, questo dibattito ha raggiunto una simile ampiezza? Per Tévanian, la risposta dipende da un razzismo latente, che si ritrova in ogni ceto sociale e in tutte le famiglie politiche (11). Ma questa risposta è esatta solo parzialmente – si potrebbe dire sintomaticamente. Poiché il dibattito sul velo ha anche portato alla luce la forza di seduzione dell'antirazzismo degli uni, e d'altronde l'antisessismo degli altri.

Ridistribuire le diseguaglianze senza distinzione di origine e di sesso, o eliminarle?

Ogni parte politica ha potuto scatenarsi, l'una accusando l'altra di razzismo, mentre la seconda inscenava un processo per sessismo contro la prima – Voi siete contro il velo islamico perché disprezzate i diritti dei musulmani! Voi siete favorevoli solo perché disprezzate i diritti delle donne musulmane!. Ciò che alimentò il successo è il fatto che, come nella polemica sulla discriminazione positiva negli Stati uniti, tale dibattito non si allontanava mai dalla questione dell'identità.

Non mancheranno le occasioni di affrontare nuove tematiche per controversie di questo tipo; in effetti, la polemica intorno alla memoria e alla storia di Francia offre un modello riproducibile all'infinito. Mentre la sinistra movimentista deplora – attraverso la voce degli indigeni – che la Francia trascuri del tutto la riabilitazione e la promozione della nostra storia nello spazio pubblico (corsivo dell'autore), la destra conservatrice – con la voce di Finkielkraut e consorti – ritiene che gli Indigeni dovrebbero considerare la storia della Francia come la loro storia, o ricordarsi che hanno il diritto di partire (12).

E mentre Finkielkraut si mostra particolarmente duro nei confronti di chi reclama un pentimento francese per le malefatte e i crimini commessi in passato, i suoi allievi all'Ecole Polytechnique (che, una volta divenuti dirigenti d'azienda, non avranno alcun desiderio di vedere tutta questa manodopera a basso costo esercitare il suo diritto di partire) non tarderanno a imparare la lezione che i loro colleghi americani hanno assimilato dopo molto tempo: manifestare rispetto nei confronti delle persone – per la loro cultura, la loro storia, la loro sessualità, il loro abbigliamento, e così via – costa molto meno che versare loro un buon salario.

Coautore di un saggio su La diversité dans l'entreprise. Come realizzarla?

(Editions d'organisation, 2006), l'imprenditore milionario Yazid Sabeg ha lanciato nel novembre 2008 un manifesto coraggiosamente intitolato Oui, nous pouvons (13)!; il mese seguente, il capo dello stato lo nominava commissario alla diversità e alle pari opportunità.

L'America ha confermato la validità di un modello democratico fondato sull'equità e sulla diversità, proclama il manifesto, firmato da personalità di destra e di sinistra e sostenuto da Carla Bruni-Sarkozy.

La quale ritiene che bisogna aiutare le élite a cambiare. Non per mettere in discussione alcunché, ma per renderle più nere, più multiculturali, più femminili – il sogno americano.

Note:* Docente di letteratura all'università dell'Illinois di Chicago, autore di La Diversité contre l'égalité, in uscita il 19 febbraio per le edizioni Raisons d'agir (Parigi), di cui pubblichiamo l'introduzione.

(1) Libération, Parigi, 8-9 marzo 2008.

(2) Associated Press (Ap), 27 novembre 2008.

(3) Il Movimento degli Indigeni della Repubblica – Mouvement des Indigènes de la République (Mir) – è nato nel gennaio 2005 dopo la pubblicazione dell'Appel des Indigènes de la République. Il Mir combatte le disuguaglianze razziali che relegano i neri, gli arabi e i musulmani ad uno status analogo a quello degli indigeni nelle antiche colonie e lotta contro ogni forma di supremazia bianca su scala internazionale. Intende creare un partito politico. Cfr. www.indigenes-republique.fr.

(4) www.lmsi.net, ottobre 2005.

(5) www.halde.fr/rapport-annuel/2006.

(6) Carlos A e Javier Rabassó, Introduction au management interculturel.

Pour une gestion de la diversité, Ellipses, Parigi, 2007, p. 7.

(7) Sadri Khiari, www.indigenes-republique.org, 18 novembre 2006

(8) Mieux gèrer la diversité dans l'entreprise, Les Echos, Parigi, 22 febbraio 2008.

(9) Libération, 31 marzo 2008.

(10) Bobby Seale, Cogliere l'occasione? La storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Einaudi, Torino, 1971.

(11) Pierre Tévanian, Le Voile médiatique. Un faux débat: l'affaire du foulard islamique, Raisons d'agir, Parigi, 2005, p.

(12) Alain Finkielkraut, Quelle sorte de Français sont-ils? intervista con Dror Mishani e Aurelia Smotriez, Haaretz, Tel Aviv, 17 novembre 2005.

(13) Le Journal du dimanche, Parigi, 9 novembre 2008.

(Traduzione di A. D'A.)

Fonte: Le Monde Diplomatique