17:05 – 22/09/11 – Per ricostruire l'Italia si ricominci dalla Scuola…

Scuola Italiana
Scuola Italiana

Nuovo anno scolastico e va peggio di prima. Di nuovo aule sporche e insicure, aule ancora più affollate, tagli di bilancio che continuano ad infierire e che rendono difficile il sereno svolgimento delle attività scolastiche.

L'Italia investe poco sull'istruzione, è una constatazione confermata da tutte le rilevazioni statistiche. Il nostro Paese riserva alla scuola il 4,8% del Pil, mentre in media i paesi Ocse le garantiscono il 6,1%. I numeri mostrano un gap tra l'Italia e gli altri Paesi europei, non c'è niente da fare.

Il primo effetto di questo disinvestimento sulla scuola è il fenomeno della dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile. Infatti, secondo l'ISFOL sono quasi 120mila i dispersi tra i 14 e i 17 anni, il 5% il che significa che 117.429 ragazzi in questa fascia d'età abbandonano gli studi. Questi ragazzi fuoriescono da qualsiasi percorso formativo, con un forte divario tra Nord e Sud: oltre 71mila risiedono al sud e nelle isole, mentre al Nord, le percentuali sono del 4,5% nel nord ovest e dell'1,7% nel nord est.

La disoccupazione giovanile è in crescita: mai così tanto dal 2004. Lo rileva l'Istat nel primo trimestre di quest'anno, secondo cui il tasso di disoccupati degli italiani tra i 15 e i 24 anni è aumentato al 28,6. C'è un legame (ovvio) fra efficacia dei percorsi formativi e occupazione. Tanta manodopera priva di formazione non può competere, in tempi di globalizzazione, con economie emergenti che, tra l'altro, stanno creando un sistema di istruzione in grado di preparare giovani qualificati in numero tale da rifornire di tecnici e ingegneri anche parte dei paesi occidentali.

E, invece, la scuola ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo al risanamento dei conti pubblici e questo ben prima dell'ultima manovra e cioè a partire dalla legge 133 del luglio 2008. Anche se è sempre stato dichiarato dal Ministero dell'Istruzione che non si sarebbe avviata una riforma del sistema scolastico ma solo una sua razionalizzazione, nei fatti i cambiamenti che si registrano hanno avuto un effetto pari e superiore all'avvento di una riforma.

Tanti sono i punti dolenti causati dalla politica del governo. L'istituzione del maestro prevalente per la scuola primaria; il conseguente taglio di migliaia di posti di insegnanti e di personale ATA, con ripercussioni sul tempo pieno e sull'inserimento dei disabili; l'innalzamento progressivo del numero di alunni per aula fino all'esplosione del fenomeno delle classi scatola di sardine (circa 2.200 aule, con 66.000 studenti nel 2011); il ristabilimento dei voti al posto dei giudizi e del voto in condotta che incide sulla valutazione; la proposta di reinserimento dell'ora di educazione civica e dei grembiulini scolastici, poi, nei fatti, ritirate; la percentuale del 30% di alunni stranieri rispetto a quelli italiani; la riforma della scuola secondaria di II grado; il blocco degli scatti di anzianità per il personale. E, tra i più recenti: l'innalzamento del limite minimo di dimensione degli istituti comprensivi ad almeno 1.000 alunni (500 per quelli delle piccole isole, dei comuni montani); l'esclusione dei Dirigenti scolastici nelle istituzioni scolastiche con meno di 500 alunni (300 nelle piccole isole, nelle comunità montane, ecc.) con affidamento a reggenti; la riduzione del numero di Dirigenti scolastici; l'immissione in ruolo di 30.000 docenti precari e di personale ATA; la riduzione di fondi all'autonomia scolastica (da 127 milioni del 2010 a 79 milioni del 2011) che significa, tra l'altro, sforbiciate su tutte quelle attività previste dal Piano di Offerta Formativa e tanto amate dagli studenti (gite scolastiche, lingue straniere, corsi, ecc.). Il mancato rifinanziamento della legge ordinaria dell'edilizia scolastica, lo stanziamento di fondi straordinari (Fondi FAS, 1 miliardo di euro), con criteri e modalità di assegnazione discutibili e ancora in fase di implementazione per poco meno della metà; il mancato avvio della materia Cittadinanza e Costituzione. Tutto ciò rende la scuola più fragile e meno credibile.

Che la scuola per troppo tempo sia stata considerata alla stregua di un ammortizzatore sociale, che sia necessario apportare razionalizzazioni, per es. alla rete scolastica, che sia urgente eliminare fonti di spreco ed eccessivi squilibri, che sia indispensabile rivederne il sistema di governance: tutto ciò corrisponde al vero ma non giustifica un'operazione geometrico-quantitativa, come quella realizzata da tre anni a questa parte, che non è stata in grado di avviare alcuna politica legata al merito, non è stata in grado di elevare la qualità dell'istruzione e, tanto meno, di avviare una politica di investimento e di sviluppo.

Se la crisi in atto è anche e, forse, soprattutto crisi di un sistema di governo che ha puntato in maniera scellerata sull'egoismo e sull'individualismo esibendo, peraltro, esempi riprovevoli di comportamenti distruttivi di un'etica pubblica minima basata sul rispetto delle istituzioni, sulla cura degli interessi generali e sulla legalità, allora è incontestabile che il ruolo formativo della scuola torna ad essere un asset strategico per l'Italia.

Bisogna sperare che una nuova classe dirigente lo assuma come uno dei suoi impegni principali.

Adriana Bizzarri, Responsabile Scuola di Cittadinanza Attiva

Fonte www.civicolab.it

17:29 – 17/08/10 – Quei 117mila Ragazzi Dispersi…

Pubblicato qualche settimana fa il IXº rapporto di monitoraggio del diritto-dovere condotto dall’Isfol per conto del ministero del Lavoro.

Un’interessante fotografia che molto ci racconta sul tema della dispersione scolastica e si basa sulla redazione di rapporti regionali di monitoraggio: solo 14 regioni dispongono di un proprio sistema informativo e quello della mancanza di un’anagrafe nazionale continua ad essere un problema nella efficacia della lotta alla dispersione.

Un fenomeno che, al di là delle tragiche conseguenze sui destini individuali, rappresenta un problema per la collettività, producendo danni economici rilevanti e a lungo termine. Non a caso uno dei 5 obiettivi della strategia di Lisbona – fondata sull’idea grande di basare la costruzione dell’Europa sulla stabilizzazione di un’economia della conoscenza – fu proprio quello di dare risposte a questa piaga, limitandone l’incidenza nei Paesi membri. L’Italia (nonostante qualche miglioramento) continua a registrare un allarmante numero di abbandoni.

Oltre 117mila ragazzi tra i 14 e i 17 anni non hanno seguito, durante il 2008, alcun tipo di attività formative. Uno dei problemi è il malfunzionamento, o – talvolta – l’inesistenza, delle anagrafi regionali, che hanno individuato solo 31mila di questi dispersi. Nel 2008 erano iscritti ai percorsi triennali (organizzati presso gli istituti tecnici e professionali in compartecipazione con le agenzie formative, o unicamente dalle agenzie formative) 153mila ragazzi, più di 100mila presso le agenzie, 52mila presso le scuole. Si tratta di giovani avviati all’ottenimento di una qualifica professionale: derogando all’art. 33 della Costituzione, che prevede che il sistema scolastico sia costituito da scuola statali e paritarie, non da soggetti ulteriori come le agenzie formative, si definisce conseguimento dell’obbligo allo stesso modo l’aver frequentato un biennio di liceo, l’aver frequentato questo “sistema misto” e, da quest’anno, persino aver affiancato a un anno di scuola un anno di apprendistato.

La diversificazione dei percorsi di raggiungimento dell’obbligo di istruzione che, proprio in virtù di quanto ho detto in precedenza, non può chiamarsi “scolastico”, è fortemente sostanziata e marcata su base socio-economico-culturale.

È così che la scuola, rinunciando alla sua funzione di “ascensore sociale”, immobilizza destini e non rappresenta più uno strumento di emancipazione. I 117mila 14-17enni fuori dai percorsi formativi hanno certamente provenienze sociali svantaggiate: ce lo dimostreranno esplicitamente, come sempre, le evidenze delle ricerche che seguiranno, che ogni anno evidenziano lo stretto (e ovvio) rapporto tra origini sociali e insuccesso scolastico.

Inoltre, l’esame della disaggregazione territoriale dei dispersi mostra che la percentuale più elevata si trova al Sud e nelle isole. Oltre 71mila di loro sono meridionali, il che significa che solo in quella zona del Paese si trova oltre un disperso su 2.

Va sottolineato che tra il 2007 e il 2008 si è registrato un aumento delle iscrizioni ai percorsi di formazione professionale del 9.5%.

Se da una parte il dato può incoraggiare nell’individuare in questo sistema un’alternativa alla dispersione scolastica, dall’altra esso conferma la definitiva sconfitta della linea della scuola per tutte e per tutti senza se e senza ma.

Nonostante l’Europa sia andata in quella direzione (ricordo che l’Italia è il Paese con il più basso obbligo scolastico), continuiamo a preferire un percorso precocemente professionalizzante ad una dimensione interamente culturale.

Fonte: Il Fatto Quotidiano.