10:53 – 21/09/11 – Cittadinanzattiva, in Italia la scuola cade a pezzi..

O quasi. I tagli hanno aumentato il numero di allievi per classe e impediscono la manutenzione degli edifici. Ecco il IX Rapporto di Cittadinanzattiva, “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici”

Cittadinanzattiva ha presentato oggi a Roma il IX Rapporto “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici”, nato dall’indagine su 88 scuole appartenenti a 13 Province di 12 Regioni italiane: Piemonte, Lombardia, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

La fotografia delle aule del Belpaese le mostra malmesse, degradate, e negli anni sempre più sovraffollate, insomma da bocciare per i numerosi distacchi di intonaco (rilevati nel 18% delle classi), la presenza di altri segni di fatiscenza (30%), le finestre rotte (23%), l’assenza di tapparelle o persiane (56%), i pavimenti sconnessi (21%), banchi e sedie rotte (rispettivamente nel 13% e nel18% dei casi), la presenza di barriere architettoniche (9%). Un vero pericolo. Il 28% degli edifici scolastici, inoltre, è del tutto fuorilegge, perchè privo delle certificazioni e dei requisiti di base previsti dalla legge sulla sicurezza (81/08, ex 626/96).

A questi dati si aggiunge l’aumento del numero di studenti per aula (dovuto ai tagli della riforma Gelmini) che non fa che aggravare la situazione. Dal Rapporto emerge che le classi con più di 30 alunni sono 21 su un totale di 1234, ossia l’1,7%. E ancora la riforma è all’inizio, riguarda cioè solo le classi del biennio delle scuole superiori secondaria, i tagli (comprensivi dell’aumento di allievi per classe) continueranno.

Il Ministero dell’Istruzione ha dichiarato che, quest’anno, il numero di classi oltre i parametri stabiliti è pari a circa lo 0,6% delle aule. In percentuale il dato non colpisce più di tanto, ma trasformato in valore assoluto su circa 370.000 aule quelle con più di 30 alunni ammonterebbero a 2.220, per un totale dunque di oltre 66mila studenti!
In tante scuole gli alunni sono stipati in aula come sardine, con effetti deleteri sulla vivibilità, sulla didattica ed anche sulla sicurezza. Come emerge da questa indagine, infatti, l’88% delle aule non ha porte antipanico e le scale di sicurezza risultano assenti, in tutto o in parte, nel 22% delle scuole a più piani. Ci preoccupa, dunque, quello che potrebbe accadere se da queste scuole fosse necessario uscire in fretta in caso di emergenza.

SENZA CERTIFICAZIONI, SENZA MANUTENZIONE: LA SICUREZZA NON ABITA A SCUOLA

Distacchi di intonaco, mancanza di certificazioni, scarsa manutenzione. Gli edifici scolastici sono in pessimo stato.

Partiamo dalle certificazioni: meno di 1 scuola su 2 fra quelle monitorate possiede il certificato di agibilità statica (41%). A rendere più grave la situazione il fatto che il 42% delle scuole del campione si trova in zona sismica e che lo stato della manutenzione lasci piuttosto a desiderare. La percentuale è quasi la stessa nel caso della certificazione igienico- sanitaria, presente solo nel 40% dei casi.

Il dato più grave è quello relativo alla certificazione di prevenzione incendi: ne è provvista soltanto poco più di una scuola su 4 (28%). Sulla base dei dati del Ministero, emerge che Calabria e Lazio sono i due fanalini di coda nel possesso delle certificazioni: nel Lazio solo il 25% delle scuole possiede il certificato di agibilità statica, il 16,7% quello di agibilità igienico-sanitaria, il 22,2% quello di prevenzione incendi. In Calabria ad essere in regola con la certificazione di agibilità statica è il 35,1% delle scuole; con la certificazione igienico-sanitaria il 33,9% e con quella di prevenzione incendi solo il 10,4%.
Ritornando ai dati del IX Rapporto di Cittadinanzattiva, in ben 17 scuole sono state rilevate lesioni strutturali. I distacchi di intonaco interessano invece principalmente corridoi ed ingressi (24%), aule e laboratori scientifici (18%), palestre e segreterie (17%), mense e sale professori (15%), bagni (13%), aule computer e biblioteche (5%).

L’indagine sottolinea, inoltre, il deficit di manutenzione (34% delle scuole) e la necessità di interventi manutentivi ordinari (89% dei casi) e di manutenzione straordinaria (31%). Questa situazione è determinata anche dall’età avanzata degli edifici scolastici: il 70% del nostro campione risale a prima del 1974. La percentuale nazionale supera il 50%.
La situazione si aggrava ulteriormente perché gli enti proprietari non riescono ad intervenire in tempi accettabili. I Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione intervistati hanno risposto che, in caso di richiesta di interventi urgenti, una volta su tre l’Ente proprietario non è mai intervenuto.

POCA TUTELA PER GLI ALUNNI DISABILI
L’insicurezza delle scuole si ripercuote sugli alunni disabili, come più volte hanno affermato ad alta voce le associazioni dei portatori di handicap.
Alcuni dati del IX Rapporto: su 29.128 studenti, 545 sono disabili. Il numero degli insegnanti di sostegno è pari a 270 su un totale di 3.248 docenti, con un rapporto tra alunni disabili ed insegnanti pari al 2,1 al Nord, 2,7 al Centro e 1,5 al Sud ed isole, sostanzialmente in linea con i dati del Ministero che, per il 2010, indicano un rapporto di 2,21 al Nord Ovest, 2,09 nel Nord Est, 2,23 al Centro, 1,79 al Sud e 1,76 nelle Isole.
Nel 13% delle scuole esaminate da Cittadinanzattiva, esistono barriere architettoniche che rendono impossibile lo spostamento dei disabili in vari luoghi dell’edificio: i cortili (17%), le palestre (15%), l’ingresso (13%), seguiti dai laboratori scientifici, le mense, le segreterie, le aule degli studenti ed i bagni, tutti con il 9%. Chiudono la classifica le aule computer (4%), la sala professori e la biblioteca con il 3%. Soltanto l’11% delle scuole dispone di un’apposita entrata priva di ostacoli. Gli edifici situati a piano terra sono l’8% dei casi; quelle che dispongono di ascensore sono il 61% ma nel 7% dei casi l’ascensore non è funzionante.

TAGLIO AI BILANCI? BAGNI SEMPRE PIÙ SPORCHI

La circolare emanata dal MIUR nel dicembre 2009 (n. 9537) continua a provocare grossi problemi sul pagamento delle supplenze, il regolare svolgimento degli esami, l’acquisto della cancelleria, e ha comportato anche una riduzione del 25% delle spese per personale addetto alle pulizie delle scuole.
Inoltre, il taglio del bilancio di ciascuna scuola incide in modo consistente sull’acquisto di prodotti come il sapone, gli asciugamani, la carta igienica che già prima della Circolare erano assenti in gran parte delle scuole.
Particolarmente deficitaria la situazione dei bagni, al vertice della hit degli ambienti più sporchi: nel 32% manca la carta igienica, nel 42% è assente il sapone, il 63% è sprovvisto di asciugamani.

LE PALESTRE, COSÌ POCHE, COSÌ MAL MESSE
Come ogni anno, registriamo dati negativi sul tema delle palestre. Ben 31 scuole sulle 88 monitorate, dunque il 35%, non dispone di una propria palestra.
Laddove presenti all’interno dell’edificio scolastico, le palestre rivelano condizioni di insicurezza e invivibilità: segni di fatiscenza (22%), mancanza della cassetta di pronto soccorso (sempre nel 22% dei casi), distacchi di intonaco (17%), attrezzature danneggiate o altre fonti di pericolo (16%).

CONTESTO AMBIENTALE A RISCHIO. E GLI INCIDENTI AUMENTANO
Il 10% delle scuole è stato interessato da episodi di criminalità nei pressi dell’edificio, il 5% addirittura al proprio interno; l’8% da fenomeni di bullismo e il 39% da atti vandalici. Questi dati ci sono stati forniti dal Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione o dal Dirigente Scolastico e dunque immaginiamo che ben più elevato sarà il numero di episodi dovuti a comportamenti violenti di diversa gravità che si consumano spesso di nascosto o che vengono occultati e minimizzati.

Alcuni dati, correlati a questo, fanno riflettere: è vero che il 90% delle scuole monitorate adotta sistemi di vigilanza all’ingresso dell’edificio, ma oltre la metà (60%) non adotta lo strumento più semplice che è quello di chiudere i cancelli anche durante l’orario scolastico.
Il numero degli incidenti a scuola è in aumento rispetto allo scorso anno, come denunciano i dati INAIL: nel 2010 hanno coinvolto 98.429 studenti, (nel 2009 erano 92.060) e 14.735 insegnanti (nel 2009 erano 14.239).
Anche dal IX Rapporto di Cittadinanzattiva emergono dati allarmanti: i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione di 55 scuole hanno segnalato 445 incidenti, di cui 396 accorsi a studenti. Tra le cause più importanti, in ordine di frequenza: le cadute durante le attività sportive, le cadute accidentali, malori improvvisi o legati a patologie, le cattive condizioni di arredi e mobili, le cattive condizioni degli infissi, l’uso improprio o scorretto delle attrezzature.
A proposito di incidenti, l’indagine rivela, tra l’altro, che le scuole non sempre sono attrezzate per rispondere alla prima emergenza: il 24% dei laboratori scientifici e il 22% delle palestre è sprovvisto delle elementari cassette di pronto soccorso.

OK LA PREVENZIONE, DA ESTENDERE ANCHE ALLE FAMIGLIE
É uno dei dati migliori del Rapporto 2011. Le prove di evacuazione vengono realizzate con regolarità nel 95% dei casi, un dato in costante aumento rispetto agli anni precedenti.
Le attività di prevenzione, tuttavia, vanno estese alle famiglie coinvolgendole nella conoscenza e nella formazione rispetto ai rischi (naturali e non) presenti sul proprio territorio. Infatti, dall’indagine risulta ancora assai limitato il coinvolgimento delle famiglie nei diversi percorsi riguardanti la sicurezza: solo nel 44% dei casi la scuola, per esempio, fornisce informazioni sulle procedure di sicurezza e di primo soccorso.
Per questo si è scelto di dedicare la IX Giornata nazionale della sicurezza nelle scuole (25 novembre 2011) ai “Genitori a scuola di sicurezza”. Oltre alle attività di informazione e formazione sul tema della sicurezza, con la Giornata del prossimo 25 novembre si punterà a coinvolgere anche le famiglie.

COSA CHIEDE Cittadinanzattiva: ANAGRAFE, REGOLAMENTO ATTUATIVO DELLA LEGGE, FONDI
Anagrafe subito. L’Anagrafe dell’edilizia scolastica va resa nota subito. Senza una completa e aggiornata mappatura dello stato degli edifici scolastici italiani, è impossibile passare dall’emergenza ad una vera programmazione degli interventi.
Regolamento attuativo della legge 81/08. Va rimesso mano ad un regolamento attuativo della legge 81/08, che prenda in considerazione quegli aspetti della legge che non tengono conto delle peculiarità degli ambienti scolastici, non considerabili alla stessa stregua degli altri ambienti lavorativi. In particolare, il regolamento attuativo dovrebbe indicare con chiarezza, competenze, obblighi, funzioni e responsabilità dei diversi soggetti coinvolti in materia di sicurezza scolastica; inserire l’obbligo, per l’ente/soggetto proprietario, di aggiornare in maniera costante i dati relativi alle condizioni strutturali e non degli edifici scolastici; individuare un referente degli studenti per la sicurezza; omologare gli studenti ai lavoratori non soltanto quando si fanno ”uso di laboratori, attrezzature di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici ivi comprese le apparecchiature fornite di video terminali”, al fine di garantirne adeguata tutela nel caso di incidenti a scuola.
Fondi. E’ urgente definire l’effettiva entità dei finanziamenti necessari per l’edilizia scolastica ed occorre dare organicità e stabilità nel tempo ai finanziamenti stessi attraverso un piano quinquennale basato, anzitutto ma non esclusivamente, sui fondi ordinari. Innazitutto vanno utilizzati quelli già disponibili (circa 420 milioni di euro dei Fondi FAS, circa 220 milioni di euro dei Fondi strutturali Europei).
Chiediamo inoltre, in nome della autonomia scolastica, l’affido dei fondi e delle funzioni legati alla manutenzione ordinaria, direttamente alle scuole. Crediamo, infine, che l’apertura ai soggetti privati, senza una deriva verso la vecchia proposta del Governo di creare una ‘Scuola Spa’, sia un terreno nuovo, sul quale occorre sperimentare, alla ricerca di soluzioni innovative.

Scarica il IX° RAPPORTO – Sicurezza qualità e comfort degli edifici scolastici – 2011

Scarica i Video sulla Sicurezza Scolastica.

12:32 – 20/06/11 – La Valutazione dei Docenti Italiani (Rapporto OCSE-TALIS)

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

[Sintesi del documento] Le ricerche condotte dall’OCSE – PISA sono note a tutti. I risultati di tali indagini sugli apprendimenti hanno spesso come effetto una grande diffusione e il successivo alternarsi di punti di vista, di prese di posizione, di proposte e contro-proposte.

L’OCSE ha condotto anche la ricerca TALIS i cui risultati, ai fini dell’analisi comparativa dei diversi sistemi di istruzione, rivestono uguale importanza. Eppure ai risultati di questa indagine non si è voluto attribuire uguale rilievo. Anche il Miur, che ha aderito al progetto e partecipato alle spese, non ha ritenuto di dare ampia diffusione ai risultati della ricerca che è rimasta dunque ignota ai più.

TALIS è una ricerca che parte da un preciso punto di vista quello dei docenti: “in che modo gli insegnanti percepiscono la propria professione?” I risultati sono stati raccolti in un database, la Uil Scuola ha scelto di esaminarne alcuni.

OCSE —TALIS


Teachers And Learning International Survey


Indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento


Sintesi della ricerca

L’indagine Ocse Talis, rappresenta in primo tentativo di analizzare, parametrandole, le dichiarazioni dei docenti in relazione al lavoro svolto a scuola. Non un’indagine su dati, quindi ma sullo ‘status’.

Quella che viene esaminata è la percezione che gli insegnanti hanno della loro professione.

Un approccio nuovo, per una indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento condotta in 23 paesi del mondo, Italia inclusa, che ha messo in un data base le dichiarazioni di un campione significativo di insegnanti e presidi di scuola superiore di primo grado.

La prossima edizione della ricerca sarà nel 2013 e opererà anche sui dati dell’indagine Pisa 2012 con i risultati degli studenti. L’ufficio studi e ricerche della Uil scuola ne ha messo a confronto i dati.

Misurare la ‘soddisfazione’:

Gli italiani al primo posto.

Sono gli insegnanti italiani quelli più soddisfatti del lavoro svolto in classe. Il 95% dei docenti di scuola media dichiara, infatti, di essere appagato del proprio lavoro anche in relazione al clima disciplinare in aula e al rapporto con gli studenti. Nella classifica internazionale gli italiani registrano 6 punti percentuali in più rispetto alla media (89,6%) seguiti dai colleghi sloveni, belgi, messicani, bulgari e austriaci.

Ad essere i meno soddisfatti sono gli australiani (82,4%) e poi gli ungheresi, i turchi, i brasiliani e i portoghesi.

Misurare il ‘tempo’:

In Italia troppa burocrazia e più tempo per tenere l’ordine in classe.

I docenti italiani lamentano di dover utilizzare il 14% del tempo per mantenere l’ordine in classe.

Più alto della media dei 23 paesi è anche il tempo che è sottratto all’insegnamento per espletare troppi adempimenti burocratici (8,8%). Una situazione che accomuna gli insegnanti italiani a quelli spagnoli.

Sono gli insegnanti brasiliani a faticare di più per mantenere l’ordine (17,8% del tempo passato in classe).

In Estonia, Lituania e Polonia ci vuole invece meno tempo: il 9% circa.

Il maggior peso negli adempimenti burocratici tocca agli insegnanti messicani con un carico di pratiche pari al 16,5% del tempo, quasi il doppio rispetto alla grande maggioranza degli altri paesi.

Misurare l’’efficacia’.

Sono i norvegesi a sentirsi ‘più bravi’. Italiani al secondo posto.

L’indagine TALIS ha interrogato i docenti sulla percezione che loro hanno dell’ efficacia personale in relazione all’attività educativa con i propri studenti. Sotto la lente di ingrandimento sono state messe una serie di variabili relative al lavoro d’aula, non sotto il profilo delle materie insegnate, ma su quello relazionale.

I docenti sono stati invitati ad esprimersi sulla loro personale percezione che:

l’insegnamento produce significativi cambiamenti nella vita dei propri studenti;

si riesce a far progredire anche gli studenti più difficili e non motivati;

si ha successo con gli studenti nella propria classe;

si riesce a mettersi in relazione con gli studenti;

si crea una piacevole atmosfera di apprendimento;

non si deve perdere molto tempo all’inizio della lezione, per avere degli studenti “tranquilli”;

non si perde tempo a causa di studenti che interrompono la lezione.

L’analisi comparata dei dati mostra che è appannaggio dei docenti norvegesi la più positiva percezione complessiva circa l’efficacia del loro lavoro, al secondo posto gli italiani mentre, all’estremo opposto, si situano i professori coreani e quelli spagnoli.

Misurare la ‘crescita’.

attività di sviluppo professionale: sono ancora in pochi a seguirle ma sono tante le giornate impegnate

Tra i temi affrontati nella ricerca c’è anche quello della partecipazione ad attività di sviluppo professionale: si va dai corsi / seminari alle conferenze o seminari di formazione, dai programmi di qualificazione (ad esempio un corso di laurea) alle visite di osservazione in altre scuole, dalla partecipazione ad una rete di docenti alla ricerca individuale, fino alle esperienze di tutoraggio, osservazione ed esercitazione con colleghi, come parte di un sistema di formazione formale, alla lettura di testi professionali, al dialogo fra colleghi.

E’ stato quindi chiesto agli insegnanti se hanno partecipato a tali attività negli ultimi 18 mesi e per quanti giorni: il risultatoˆ è che, in tutti i Paesi, la partecipazione a questo genere di attività è piuttosto ampia.

L’Italia si colloca sotto la media per numero di insegnanti coinvolti.

Per quanto attiene invece al numero medio delle giornate impegnate in tali attività, si va da un minimo di 5,6 giorni dell’Irlanda ad un massimo di 34 giorni del Messico, attestandosi la media di tutti i Paesi a 15,3 giorni medi nel periodo dei 18 mesi considerati. I docenti italiani, al quarto posto, si situano abbondantemente al di sopra della media con 26,6 giornate medie.

I risultati mostrano quindi che è ancora basso, rispetto al dato medio, il numero di insegnanti coinvolti in attività di sviluppo professionale. La durata di queste attività, per chi le svolge, è invece ben al di sopra del dato medio degli altri paesi.

Misurare i ‘bisogni’.

Forte e al passo con i tempi in Italia la domanda di formazione in servizio.

L’inchiesta TALIS non si limita a registrare le dichiarazioni dei docenti circa le attività ma domanda anche quale siano le loro necessità d aggiornamento.

Tra i settori nei quali gli insegnanti dichiarano di avere maggiore bisogno di aggiornamento ci sono l’insegnamento a studenti con bisogni speciali di apprendimento (31,3%) e lo sviluppo di competenze nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, TIC, (24,7%).

I docenti italiani esprimono una diffusa domanda di formazione, superiore di 10 punti alla media dei colleghi delle altre nazioni. Per loro rappresentano delle priorità: l’insegnamento a studenti con bisogni speciali (35,3%), l’esigenza di migliorare la pratica didattica (34,9%), l’accrescimento delle competenze nel proprio ambito disciplinare (34%).

Misurare il ‘lavoro’.

Ancora pochi gli insegnanti coinvolti nei processi di valutazione.

Una parte dell’indagine Talis è dedicata alla valutazione degli insegnanti. Ricerca condotta non in modo ‘generico’ ma basata sulla richiesta di ‘precise’ esperienze di valutazione, sia interna che esterna, che i docenti hanno avuto negli ultimi cinque anni.

Il 13,8% dei docenti dei 23 paesi esaminati dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di valutazione.

Per gli italiani questa percentuale è del 20%. Sono gli spagnoli, i danesi, i portoghesi, gli austriaci e gli irlandesi i meno valutati. Coreani, ungheresi, slovacchi e turchi sono quasi tutti sottoposti a processi di valutazione.

Per quanto riguarda la valutazione interna quasi la metà degli insegnanti italiani è impegnata almeno una volta l’anno nelle pratiche di autovalutazione della scuola, livello simile alla media degli altri paesi.

Per quanto attiene alla valutazione esterna oltre il 60% dei nostri insegnanti non è mai stato coinvolto (negli altri paesi il livello di quanti non hanno ricevuto mai una valutazione è mediamente intorno al 30%).

L’11, 3% è stato coinvolto una volta, il 14,6% da due a quattro volte, il 12,3 % una volta all’anno, solo l’1% più di una volta all’anno.

Misurare il ‘merito’

E’ un ‘grazie’ il riconoscimento più diffuso in Italia. Niente soldi né bonus.

Un ulteriore aspetto di osservazione della ricerca riguarda le ricadute della valutazione sulla vita professionale dei docenti: variazioni di retribuzione, bonus economico o altra forma di premio economico, cambiamento nelle prospettive di carriera, riconoscimento pubblico del preside e / o dei loro colleghi, opportunità di aggiornamento, cambiamenti nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente, acquisizione di un ruolo nelle iniziative di aggiornamento o formazione.

L’incremento della retribuzione è assolutamente marginale per la media dei Paesi: si verifica nel 9,1% dei casi, mentre in Italia è dichiarato nel 2% (probabilmente riferibile alla conferma in ruolo dopo il periodo di prova e alla conseguente ricostruzione di carriera). Gli altri Paesi dell’Europa occidentale, con l’eccezione della Norvegia, si situano su percentuali analoghe o addirittura minori.

Altri premi di natura economica o bonus sono mediamente attribuiti all’11% dei docenti, mentre la gratificazione — immateriale – per il pubblico riconoscimento del preside e dei colleghi che riguarda il 36,4% degli insegnanti dei paesi presi in considerazione sale al 46,4% nel caso dell’Italia.

Altre forme di riscontro nel nostro paese sono: il coinvolgimento attivo nelle iniziative di aggiornamento e/o di formazione dei colleghi (38,3%, la media degli altri paesi è 29,6) e il cambiamento nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente (27,1%, la media degli altri paesi è 26,7%).

Che cosa pensano gli insegnanti di ciò che accade dopo la valutazione sulla propria scuola? L’indagine si occupa anche di questo: il 70% dei professori italiani pensa che la valutazione porti ad ‘azioni di aggiornamento o formazione affinché i docenti migliorino il proprio lavoro’. Il 40% sostiene che nella ‘scuola la revisione del lavoro dei docenti ha scarso impatto sul modo in cui i docenti insegnano in classe’. Il 33% pensa che la valutazione venga fatta ‘soprattutto per finalità amministrative’. Poco meno di un terzo (28%) è convinto che ‘il persistente scarso rendimento di un docente sarebbe tollerato dagli altri’.

E’ questo il quadro di insieme tracciato dall’insieme delle opinioni degli insegnanti italiani rispetto ai processi di valutazione. Una serie di dati che fotografa ciò che succede realmente: spesso la gratificazione è rappresentata solo da un riconoscimento pubblico, da un elogio. A questo sono abituati gli insegnanti italiani. A riconoscimenti ‘immateriali’ e pochi soldi. E questo vale non solo in relazione alla valutazione ma sembra — per l’Italia — restare ‘ancorato’, connaturato alla funzione docente.

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

14:09 – 16/12/10 – Indagine Conoscitiva 2010 su Infanzia e Adolescenza. (EURISPES)

Roma, 16 dicembre 2010 – I ragazzi percepiscono le difficoltà economiche, parlano poco in famiglia e vivono sempre di più in una Rete dove la capacità di difendersi dai pericoli è spesso ridotta.
In particolare, 1 adolescente su 4 dichiara che la propria famiglia è stata colpita dalla crisi economica. Il dato diviene drammatico quando si chiede ai ragazzi di illustrare la condizione di amici, parenti o conoscenti: il 52% degli adolescenti dice di conoscere altre famiglie che hanno risentito dalla congiuntura economica negativa. Gli effetti della crisi vengono misurati nella vita quotidiana: per 1 ragazzo su 3 cresce l’attenzione nelle spese per cibo e vestiario, mentre la percentuale sale al 46% per le spese extra relative al tempo libero. Il 16% degli adolescenti, infine, testimonia difficoltà della famiglia ad arrivare alla fine del mese.

Dall’indagine emerge che il clima familiare è peggiorato e i ragazzi ne risentono in prima persona: il 20% dei bambini riferisce che nell’ultimo periodo i genitori hanno litigato più spesso di prima, mentre il 25% degli adolescenti dichiara di aver notato un maggior nervosismo dei genitori e di litigare più spesso con loro (29%). Oltre il 20% dei bambini e il 40% degli adolescenti dichiarano di essere diventati più ansiosi.

«All’interno delle famiglie e nella percezione dei ragazzi stessi la crisi mostra più facce, – afferma il Presidente di Telefono Azzurro, Prof. Ernesto Caffo».

In famiglia il dialogo sulle emozioni sembra essere molto limitato. Il 72% dei bambini racconta ai genitori solo episodi relativi alla vita scolastica, ma non parla delle proprie paure (35%) o aspirazioni (38%), comportamento che costituisce la regola in adolescenza ma che a questa età è più comprensibile.

Il dato è preoccupante se incrociato con le risposte degli adolescenti rispetto all’eventualità della fuga: 1 adolescente su 3 prende in considerazione la possibilità di fuggire da casa, mostrando di non credere alla possibilità di risolvere i conflitti all’interno del contesto familiare.

Sul versante del consumo di media e tecnologie,il telefonino sembra sempre più diventare oggetto di addiction per gli adolescenti: il 25% di loro trascorre al cellulare oltre 4 ore. Cresce l’utilizzodi videogiochi e Internet da parte dei bambini. Tra i social network, Facebook continua a raccogliere la maggior parte delle preferenze: se nel 2009 il 71% dichiarava di aver aperto un profilo, nel 2010 questa percentuale sale all’84%. Aumentano anche i bambini che guardano filmati su YouTube: la percentuale passa dal 55% nel 2009 al 68% nel 2010, con 1 intervistato su 5 che dichiara di cercare video con scene forti (incidenti, violenza, sesso, etc.).

Non sorprende dunque come i bambini spendano la propria paghetta per lo più in videogiochi, giochi e ricariche telefoniche. A fronte della crisi economica, spendono significative somme di denaro ed hanno un crescente potere di acquisto; le pubblicità, come nel caso dei servizi telefonici, sempre più spesso si rivolgono a loro.

La cultura del consumo – in assenza di senso critico e di famiglie capaci di filtrare questi messaggi – può influenzare negativamente lo sviluppo dei bambini causando, tra gli altri effetti, obesità e un sempre più precoce consumo di alcol e fumo.

Se la vita relazionale di bambini e adolescenti, dunque, sembra sempre più transitare attraverso la Rete, in essa si affermano nuovi codici di comportamento. Così, emerge che il 60% dei ragazzi giudica positivamente la possibilità di utilizzare Internet per incontri sentimentali, e al 17% degli adolescenti è capitato di innamorarsi di una persona conosciuta in Internet.

Circa il 40% degli adolescenti ritiene che sia positivo o accettabile incontrare dal vivo una persona conosciuta on line. Percentuali significative ritengono positivo, o accettabile lasciare il proprio indirizzo (23%) e il numero del proprio cellulare su Internet (38%). Similmente e per un adolescente su dieci spogliarsi in Internet è accettabile o positivo.

Ma sono in grado di difendersi dai pericoli che possono nascondersi dietro gli incontri dal vivo o l’invio di foto che li ritraggono senza vestiti a persone di cui a volte conoscono solo il nickname? Sulla base di quali criteri decidono di potersi fidare dell’interlocutore virtuale? Sebbene il 52% degli adolescenti riconosca il rischio costituito dalla possibilità di finzione che caratterizza gli incontri sul web, ed il 39% affermi che “ci si può fidare di una persona solo se la si incontra dal vivo”, è preoccupante che 1 adolescente su 10 ritenga di potersi fidare di una persona conosciuta in rete semplicemente “ponendo alcune domande”, o che per fidarsi sia sufficiente “seguire il proprio istinto”.

Solo lavorando alla valorizzazione delle differenze culturali, amalgamandole e facendole convivere armoniosamente, potrà esistere un’Italia realmente multiculturale, in cui le diversità sono una ricchezza e non causa di divisioni e dissidi».

Scarica il rapporto 2010 su Infanzia e Adolescenza.

18:22 – 15/07/10 – Indagine 2010 sulla Sicurezza in Italia. (EURISPES)

[Sintesi elettronica di TerritorioScuola Server] – Data l'ipotesi di equivalenza del costo medio di un infortunio sul lavoro a livello territoriale (area geografica e regione), il primato per numero di infortuni verificatisi nel corso del 2008 e per costi economici e sociali ad essi attribuibili, appartiene al Nord-Est (282.803 infortuni pari al 32,3% del totale nazionale, costi per 12,5 miliardi di euro), seguito dal Nord-Ovest (250.166 infortuni pari al 28,6% del totale nazionale, costi per 12,5 miliardi di euro), dal Centro (174.545 infortuni pari al 19,9% del totale nazionale, costi per 8,7 miliardi di euro), dal Sud (113.870 infortuni pari al 13% del totale nazionale, costi per 5,7 miliardi di euro) e dalle Isole (53.556 infortuni pari al 6,1% del totale nazionale, costi per 2,6 miliardi di euro).

…Il maggior numero di incidenti stradali si è verificato nel Nord-Ovest (64.708 casi, 29,6% del totale), seguito dal Centro (56.769 casi, 25,9% del totale), dal Nord-Est (46.312 casi, 21,2% del totale), dal Sud e dalle Isole (rispettivamente 32.419 e 18.755 casi, con un incidenza del 14,8% e dell'8,6% sul totale nazionale), mentre a livello regionale il primato spetta alla Lombardia, al Lazio e all'Emilia Romagna (rispettivamente 41.827, 27.735 e 21.744 incidenti, che cumulativamente corrispondono al 50% del totale nazionale).

…- 4,2 miliardi di euro per incidenti stradali nel Sud (14,8% del totale nazionale, con costi economici e sociali a livello regionale compresi tra 1,5 miliardi di euro in Puglia e 75,9 milioni di euro in Molise) e 2,4 miliardi di euro per incidenti stradali nelle Isole (8,1% del totale nazionale, con un costo economico e sociale in Sicilia notevolmente più elevato rispetto alla Sardegna).

L'incidenza del costo economico e sociale degli incidenti stradali sul Pil, che a livello nazionale è pari all'1,83%, è molto variabile in funzione del diverso numero di incidenti, sia a livello di area geografica (con valori compresi tra il 2,19% del Centro e l'1,7% del Sud e del Nord-Ovest) sia, soprattutto, a livello regionale (con valori compresi tra il 2,8% della Liguria e lo 0,9% della Valle d'Aosta).

…Dato il numero medio di interruzioni subite da ciascun cliente in bassa tensione nel corso del 2007 (2,16) e il numero di clienti finali allacciati alla rete di distribuzione che hanno subìto tali interruzioni (35,8 milioni circa), è possibile stimare il numero complessivo di interruzioni di corrente senza preavviso e lunghe, in oltre 77 milioni (di cui il 33,1% al Sud, il 23,2% nelle Isole, il 17,1% al Centro, il 15,3% nel Nord-Ovest e l'11,3% nel Nord-Est), con un numero massimo di interruzioni di corrente in Sicilia, Campania, Lazio e Puglia (rispettivamente 14,6, 12,1, 7,4 e 6,5 milioni di interruzioni) e un numero di interruzioni inferiore ad un milione in Umbria, Friuli Venezia Giulia, Basilicata, Molise e Valle d'Aosta.

…Il numero complessivo di imprese attive in Italia nel macro-settore infrastruttura (ottenuto aggregando i dati di alcune attività direttamente riconducibili allo sviluppo delle infrastrutture) è, basandosi sull'analisi degli ultimi dati disponibili a livello europeo (anno 2006), di 311.167 unità (in flessione del 5,7% rispetto al 2000, quando il numero di imprese attive era di 330.144 unità), in grado di assicurare l'occupazione di 2,2 milioni di addetti (80.000 circa in più rispetto al 2000) e di generare una produzione il cui valore supera i 616 miliardi di euro (+64,2% rispetto al 2000)

…. Il numero di imprese del macro-settore infrastruttura attive in Francia nell'anno 2006 è pari 193.621 unità ed è sostanzialmente invariato rispetto al valore registrano nel 2000, mentre è aumentato il numero dei dipendenti, pari a circa 2,8 milioni nel 2006 (+5% rispetto al 2000) ed il valore della produzione, 35% rispetto all'anno 2000 e circa 591 miliardi di euro nel 2006.

…Il settore dei trasporti, che comprende il trasporto terrestre, aereo, marittimo e le attività ausiliarie e di supporto, ha registrato, tra il 2000 e il 2006, un ridimensionamento del numero di imprese attive in Italia (da 161.862 a 151.409, -6,5%), mentre il valore della produzione e il numero di occupati è cresciuto, rispettivamente, da 101,3 a 139,2 miliardi di euro (+37,4%) e da 884.180 a 968.491 addetti (+9,5%), determinando un incremento sia del valore medio della produzione per impresa (da 626.000 a 919.000 euro), sia del numero medio di occupati (da 5,5 a 6,4)

…. Nonostante il minor incremento del numero di imprese, il Regno Unito ha consolidato il proprio primato rispetto agli altri Paesi relativamente al valore complessivo della produzione del settore dei trasporti (215 miliardi di euro nel 2006, +15,9% rispetto al 2000) e al valore della produzione medio per impresa (1,7 milioni di euro nel 2006), mentre in Italia il valore complessivo della produzione è superiore al dato della Spagna (73,2 miliardi di euro nel 2006) ma inferiore a quello della Germania, della Francia (rispettivamente 146,5 e 166,4 miliardi di euro nel 2006) e del Regno Unito.

Un elemento che accomuna il settore dei trasporti italiano a quello spagnolo, è il numero di occupati inferiore al milione di unità (rispettivamente 968.491 e 888.270 nel 2006) e le dimensioni medio-piccole delle imprese attive, con un numero medio di occupati per impresa pari, rispettivamente, a 6,4 e 4 addetti (contro 12,2 in Francia, 15,4 in Germania e 16,6 nel Regno Unito)

…. Nonostante l'elevato numero di imprese attive, il valore della produzione del settore delle costruzioni in Italia è inferiore a quello degli altri Paesi europei presi in esame, non tanto in valore assoluto (250 miliardi di euro nel 2006 contro 199,2 miliardi di euro in Francia e 148,8 miliardi di euro in Germania), quanto in valore medio per impresa attiva (421.000 euro nel 2006 contro 485.000 euro in Francia, 710.000 euro in Germania, 726.000 euro in Spagna e 1,1 milioni di euro nel Regno Unito). Così come nel settore dei trasporti, anche nel settore delle costruzioni è, inoltre, evidente come le dimensioni delle imprese siano generalmente medio-piccole, con un numero medio di 3,1 occupati per ciascuna impresa attiva, inferiore rispetto alla Francia (4,1 occupati per ciascuna impresa attiva) e, soprattutto, al Regno Unito, alla Spagna e alla Germania (rispettivamente 6,1, 6,5 e 7,4 occupati per ciascuna impresa attiva).

…Anche gli altri Paesi europei, ad eccezione della Germania, hanno registrato un incremento del numero di imprese attive (con una crescita tra il 2000 e il 2006 compresa tra il 15,1% del Regno Unito e il 30,6% della Spagna), nonostante il quale l'Italia mantiene il proprio primato, in particolare rispetto al Regno Unito e alla Germania (dove nel 2006 risultano attive, rispettivamente, 294.755 e 288.275 imprese).

Una seconda differenza piuttosto significativa a livello europeo, riguarda il valore complessivo della produzione (compreso tra i 290,3 miliardi di euro della Germania e i 471,5 miliardi di euro del Regno Unito) e il valore medio della produzione per singola impresa attiva, relativamente al quale l'Italia ha fatto segnare nel 2006 un importo inferiore rispetto a Francia e Spagna (rispettivamente 522.000 e 590.000 euro) e, soprattutto, Germania e Regno Unito (rispettivamente 1 e 1,5 milioni di euro).

Oltre ad essere il Paese con il maggior numero di imprese attive nel settore delle comunicazioni e dell'informatica e con il minore valore medio della produzione per singola impresa attiva, l'Italia si conferma tra le realtà europee in cui le imprese di medie-piccole dimensioni sono più diffuse, con un numero medio di 3,8 occupati per impresa, contro un numero medio registrato negli altri Paesi compreso tra i 5,5 occupati per impresa in Francia e i 9,8 occupati per impresa in Germania.

Il settore della produzione e distribuzione di energia è, tra quelli considerati, il settore nel quale opera il minor numero di imprese in Italia (2.875 nel 2006, +30% rispetto al 2000), con un valore complessivo della produzione di poco superiore ai 112 miliardi di euro (valore medio della produzione per impresa attiva di 40,4 milioni di euro) e 114.856 occupati (valore medio di 41,3 occupati per impresa attiva).

Download versione integrale del documento: PREVENZIONE E SICUREZZA tra crescita economica e qualità della vita

17:51 – 14/12/09 – TFR addio: come ti finanzio la finanziaria..

Il TFR del Professore ma non solo…

Tremorti è arrivato all’ammazzacaffè del TFR dopo la frutta dello Scudo Fiscale e il dolce dei prelievi dai “conti dormienti”.

Tremorti userà 3,1 miliardi di euro del TFR depositati presso l’INPS a copertura di un terzo della Finanziaria. I risparmi di una vita vengono sottratti senza nessun consenso.

E’ la finanza creativa di uno Stato prossimo al default, l’azione disperata di Tremorti, un curatore fallimentare che non sa più che pesci pigliare.

Quale sarà la prossima mossa? Il quinto dello stipendio? La diminuzione delle pensioni? Il congelamento dei BOT? Il prelievo forzoso di una percentuale a piacere dai conti correnti?

Il TFR una volta serviva per garantire ai lavoratori una vecchiaia dignitosa. Oggi garantisce il buco dello Stato.

Fonte: Blog di Beppe Grillo.

20:07 – 17/11/09 – Xº Rapporto Nazionale Infanzia e Adolescenza – EURISPES

Infanzia e Adolescenza
Infanzia e Adolescenza

[Sintesi elettronica di TerritorioScuola Server] – I dieci volumi realizzati dal 2000 al 2009 segnalano le mutazioni intervenute, nel corso di questi anni, come si sono evolute le opinioni dei bambini e degli adolescenti, quali temi hanno caratterizzato la vita quotidiana e le esperienze dei minori, quali problematiche hanno acquistato nel tempo maggiore centralità. Eurispes e Telefono Azzurro sono riusciti a segnalare con largo anticipo i fenomeni emergenti, seguendone la crescita e l’evoluzione, hanno portato in primo piano i problemi più urgenti e si sono impegnati a tenere alta la sensibilità e la consapevolezza della pubblica opinione su quelli che rischiavano di cadere nel dimenticatoio.

…I Rapporti hanno anche concorso a rompere il silenzio su alcuni dei temi più rilevanti relativi all’universo dei minori, dall’abuso alla pedofilia, dalle politiche di welfare familiare alla devianza, fino al rapporto con media e tecnologie..

…. Ed è proprio la prospettiva dei minori quella che Eurispes e Telefono Azzurro hanno sempre scelto di adottare in questi anni, affinché i bambini e gli adolescenti non fossero soltanto raccontati dagli adulti con sguardo adulto, ma avessero l’opportunità concreta di parlare direttamente con la propria voce, di descrivere il loro mondo attraverso i propri occhi.

…Il volume approfondisce infatti i temi relativi all’abuso, il disagio e la devianza, alla salute dei minori, alla famiglia ed all’educazione, alla cultura ed al tempo libero, al rapporto con i media. Le 40 schede di ricerca offrono un ritratto realistico della condizione minorile in Italia, soffermandosi sulle emergenze e le criticità senza però trascurare i segnali positivi, le nuove tendenze e le passioni che oggi caratterizzano l’universo giovanile….

È il caso dei minori la cui vita è incrinata dall’abuso e dallo sfruttamento sessuale, ma anche di quelli che smarriscono la strada cadendo nella devianza e di quelli ai quali la sorte non ha mai concesso il diritto ad un futuro: si pensi, ad esempio, ai giovanissimi, italiani e stranieri, arruolati dalla criminalità organizzata, o a quelli costretti a vivere in condizioni di estrema povertà.

…La ricerca ritualizzata di uno sballo autodistruttivo, il ricorso al doping nello sport, la condotta irresponsabile alla guida, i comportamenti antisociali come il bullismo, il vandalismo e la formazione di baby gang, il vizio del gioco d’azzardo, soprattutto on-line, sono tutti indicatori di una tendenza ormai diffusa, tra i giovani, a fare cattivo uso della loro vita….

Nella maggior parte dei casi sembra che i ragazzi vogliano adeguarsi a “quello che fanno tutti”, a “quello che sono tutti”, piuttosto che seguire le proprie personali inclinazioni nel costruire il proprio percorso di vita.

…Questo si manifesta infatti come una forma antisociale fine a se stessa che conferma come la presenza, a scuola o in un contesto sociale, di ragazzi in qualche modo “diversi” non viene quasi mai concepita come opportunità di confronto ed arricchimento, ma fatta oggetto o di indifferenza o di vere e proprie persecuzioni, in un rifiuto che non perdona la non omogeneità (per natura) o la non omologazione (per scelta).

…La nostra indagine, non a caso, rivela che i bambini e gli adolescenti, pur recependo le attese dei genitori e pur manifestando aspettative personali nel complesso convenzionali, considerano arduo il raggiungimento degli obiettivi di vita tradizionali come la laurea, un lavoro in linea con le loro vocazioni, il matrimonio ed i figli….

Il numero di messaggi inviati quotidianamente, il numero di foto scattate col cellulare, la sinfonia di suonerie udibile in qualunque contesto evidenziano come, spesso, l’sms, la foto o la chiamata vengano effettuate soprattutto perché è disponibile uno strumento che le rende facilmente praticabili, più che per uno scopo preciso.

…In questo senso proprio Facebook, uno dei maggiori fenomeni degli ultimi anni (vi partecipa il 71,1% degli adolescenti), rappresenta un ulteriore esempio emblematico delle potenzialità spesso sprecate dei nuovi media. I nuovi mezzi di comunicazione troppo spesso amplificano i comportamenti devianti, come denunciato dalle bravate e dagli atti di bullismo ripresi col telefonino e messi on-line o dal cattivo uso che alcuni fanno dei social network e delle chat….

Questo senso generale di sfiducia ed estraneità nei confronti dei rappresentanti delle Istituzioni e della politica stessa, che talvolta sfocia chiaramente in disprezzo, blocca in anticipo nei ragazzi ogni desiderio di partecipare attivamente alla vita sociale, e di divenire quindi protagonisti ed attori di una parte del loro futuro.

…Di fronte a questa parziale esclusione, che mina in modo preoccupante la speranza dei giovani nel futuro, è allora auspicabile il recupero di un approccio – quello che ha caratterizzato ad esempio i ragazzi di alcune generazioni precedenti – che spinga, di fronte ad un contesto difficile ed incerto, non alla rassegnazione ma all’impegno per l’affermazione dei propri ideali e dei propri valori.

…Oltre a presentare una fotografia dei bambini e degli adolescenti di oggi, dei loro comportamenti a rischio come delle loro potenzialità, il presente volume si propone di indagare la famiglia, la scuola e la società, quali contesti educativi in cui i giovani sono immersi, che da un lato presentano innumerevoli fattori di rischio per il loro sviluppo, e dall’altro sono responsabili della loro tutela.

Scarica il volume completo del Xº Rapporto Nazionale Infanzia e Adolescenza – EURISPES (84 pagine)

17:48 – 12/10/09 – Uno Sguardo sull'Educazione 2009

Uno Sguardo sullEducazione 2009
Uno Sguardo sull'Educazione 2009

Come accade ogni anno, la pubblicazione del rapporto dell’OCSE “Uno Sguardo sull'Educazione 2009” desta attenzione soprattutto per i dati statistici ivi contenuti e l’inevitabile graduatoria dei paesi virtuosi e di quelli da mettere dietro la lavagna. Ben più raramente l’attenzione si sofferma sulle indicazioni e i suggerimenti che l’OCSE offre sulla base dell’analisi dei dati raccolti. Vale, invece, la pena di soffermarsi su questi aspetti per la loro, non sempre positiva, influenza sulle politiche educative di vari paesi.

Livelli educativi e benefici economici

Innanzitutto anche l’edizione del 2009 conferma il legame virtuoso tra alti livelli d’istruzione e benefici individuali, soprattutto in termini salariali e della maggiore richiesta del mercato del lavoro. Un’affermazione, la cui validità andrebbe, però, attualmente verificata, perché i dati si fermano al 2007, quindi al periodo precedente il tracollo della finanziaria mondiale e la crisi economica. Inoltre, come d’abitudine, l’OCSE evidenzia una visione ristretta del valore dell’educazione, limitata ai benefici per i singoli (di genere maschile) e non per la società nel suo complesso. Un aspetto, quello dei benefici educazione/livelli salariali, di cui, però, non sembrano beneficiare granché gli insegnanti. Secondo i dati elaborati poco tempo fa dall’Internazionale dell’Educazione, in numerosi paesi – soprattutto nell’Europa Centrale e dell’Est- sono stati operati tagli ai salari dei docenti, con situazioni drammatiche come quelle della Lettonia dove i docenti hanno subito una decurtazione dei salari fino al 50%.

La ricerca conferma anche le maggiori difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro per le persone scarsamente qualificate: il 42% delle persone dei paesi membri dell’OCSE con un livello educativo inferiore alla scuola secondaria superiore sono disoccupati e quelli che perdono il lavoro hanno una probabilità molto più alta di rimanere disoccupati per lungo tempo. Di conseguenza il rapporto sollecita un’ulteriore espansione dell’accesso all’istruzione superiore e un incremento a livello globale dei laureati. Ancora una volta, però, l’OCSE compila una mera classifica dei paesi, presentandoli nelle loro posizione relative, senza considerare che cosa c’è alle spalle di tali esiti: per esempio, la scelta d’investire risorse per garantire l’accesso all’istruzione superiore per tutti, a prescindere dal background socio economico. Infine, il rapporto invita a equilibrare maggiormente il rapporto fondi pubblici e privati nel settore educativo, con grave rischio, nei casi in cui si chiede di ridurre i fondi pubblici a favore di quelli privati, di aumentare gli aspetti di commercializzazione e di privatizzazione dell’università e della ricerca.

La mancanza di uguaglianza delle opportunità nell’educazione e formazione continua

Il rapporto conferma – ancora una volta – che i programmi di educazione e formazione continua difficilmente raggiungono le persone con qualifiche e livelli di studio bassi, mentre continuano ad aumentare le opportunità formative per chi ha fatto studi medio-alti. Inoltre, i dati di partecipazione sono ancora bassi: meno del 6% della popolazione tra 30-39 anni dei paesi OCSE. Dati ancora inferiori per quanto riguarda la popolazione quarantenne. “Uno sguardo sull’educazione” assegna una particolare attenzione alla formazione sul lavoro, invitando i paesi membri a migliorare i sistemi di apprendimento permanente, rendendoli più adeguati ai bisogni dei lavoratori adulti con basse qualifiche.

L’influenza dei fattori socio-economico sul successo scolastico

Nell’analizzare i fattori che stanno alla base del successo tra i paesi con i migliori esiti nell’indagine Pisa 2006, l’OCSE ammette che il background socio-economico è un fattore cruciale In tutti i paesi i cui dati sono confrontabili, gli studenti che hanno gli esiti più alti vengono da famiglie con un buon retroterra socio-economico. Il peso della situazione socio economico sul successo scolastico varia, inoltre, da paese a paese. Il rapporto afferma che esistono delle lezioni da apprendere dai paesi che riescono a coniugare qualità ed equità (Austria, Finlandia, Giappone, Hong Kong), senza però dare ulteriori informazioni.

La partecipazione all’educazione della prima infanzia

Il rapporto sottolinea l’espansione significativa dell’educazione della prima infanzia: dal 41% di bambini di 3/ 4 anni iscritti in istituti educativi nel 1996 si è passati al 71% del 2007… Si tratta, a parere dell’OCSE, di un elemento importante per garantire il successo scolastico, che però richiede, educatori ben formati in grado di rispondere all’aumento delle iscrizioni, ma anche alla qualità del servizio prestato.

I livelli educativi favoriscono la salute ed altri elementi sociali

Per la prima volta “Uno sguardo sull’educazione 2009” indaga sull’impatto dei livelli educativi su fattori quali la salute, l’interesse verso la politica e la fiducia tra le persone., dimostrando una stretta relazione tra elevati livelli d’istruzione e la salute, nonché maggior fiducia in se stessi e nell’ambiente in cui si vive. In pratica, l’educazione, come già dimostrato da altre ricerche a livello internazionale, si rivela un fattore dirimente per più vasti benefici non solo a livello individuale, ma anche sociale ed economico.

Occorre controllare la spesa pubblica e delle famiglie per l’educazione

Malgrado i benefici a tutti i livelli di una buona educazione, l’OCSE manifesta, ancora una volta, tutte le sue preoccupazioni per l’eccessiva spesa pubblica destinata all’educazione. I paesi dell’OCSE spendono in media il 6,1% del PIL in educazione, il 13.3% della spesa pubblica totale. Il rapporto evidenzia che la spesa per studente della scuola primaria e secondaria è cresciuta del 35% dal 1995 al 2006 (un periodo di relativa stabilità del numero degli studenti), mentre nell’istruzione superiore l’aumento dal 2000 al 2006 è stato di soli 11 punti in percentuale e in un terzo dei paesi dell’OECD è addirittura diminuita, malgrado l’aumento delle iscrizioni. A parere dei ricercatori, i maggiori costi dovuti all’aumento delle iscrizioni nella scuola della prima infanzia e a livello dell’istruzione terziaria devono spingere i governi a cercare nuove alleanze per acquisire risorse aggiuntive e cercare di più l’intervento dei finanziamenti privati. Attualmente tali settori ricevono – media OCSE – rispettivamente il 19% e il 27% dei finanziamenti da fonti private, soprattutto dalle famiglie. Ovviamente l’OCSE promuove la presenza delle tasse universitarie, accompagnate, però, da misure di equità. Vale la pena di segnalare che tra i 7 paesi con il più alto tasso di iscrizioni agli istituti superiori ci sono Finlandia, Norvegia e Svezia dove anche l’istruzione terziaria è gratuita e in cui la spesa pubblica viene compensata dai benefici a livello sociale economico e culturale.

L’educazione una soluzione alla crisi?

L’OCSE argomenta che in tempo di crisi l’educazione deve dimostrare di essere un valore per la produzione di ricchezza (intesa esclusivamente in senso monetario) al fine di giustificare le spese sempre crescenti. I parametri scelti per la solita graduatoria tra paesi sono le risorse alla scuola primaria e secondaria, come le ore trascorse in classe dagli studenti, il numero delle ore d’insegnamento, la dimensione delle classi, il costo salariale dei docenti per studente e la percentuale del loro tempo di lavoro dedicata all’insegnamento. In pratica, però, i livelli di spesa dei singoli paesi mascherano politiche e scelte assai differenti, su cui il rapporto dell’OCSE non interviene, lasciando l’impressione che tutte le combinazioni possano andare bene, purché si tengano i costi sotto controllo.

Fonte: FLC CGIL

Scarica il documento ufficiale in lingua italiana di “Uno sguardo sull’educazione 2009”