14:25 – 23/09/10 – Sistemi Educativi a Confronto: Italia vs Cuba…

Italia – Secondo i dati pubblicati nel 2005 da una ricerca dell’Università di Castel Sant’Angelo dell’UNLA (Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo), quasi sei milioni di italiani sono totalmente analfabeti. Rappresentano il 12% della popolazione contro il 7,5% dei laureati. L’Italia è fanalino di coda fra i 30 Paesi più istruiti. Solo il Portogallo e il Messico hanno un tasso più elevato. La ricerca, intitolata La Croce del Sud – arretratezza e squilibri educativi nell’Italia di oggi, è stata condotta da Saverio Avveduto e pubblicata dall’Università di Castel Sant’Angelo dell’Unla. Senza alcun titolo di studio (o in possesso della sola licenza elementare) è invece il 36,52% della popolazione, circa 20 milioni sui 53 censiti nel 2001. Questa popolazione è considerata dalla ricerca come ana-alfabeta, cioè del tutto analfabeta o appena alfabeta. Questa situazione è stazionaria da 10 anni.

(Fonti Enhanced WikiPedia: Analfabetismo Diritti Umani a Cuba: Il Diritto all'Istruzione.)

Cuba – Il tasso di scolarizzazione attuale è del 100% fino agli 11 anni, e l’indice di analfabetismo si è attestato all’1,9% nella popolazione compresa tra i 10 e i 49 anni. Il dato assoluto della popolazione analfabeta è del 3,8%.

Su una popolazione di undici milioni di abitanti i giovani che frequentano i diversi livelli scolastici sono 2,5 milioni, mezzo milione sono i laureati universitari, uno ogni 15 abitanti.

A Cuba ci sono 2.111 centri di educazione e 46 centri universitari distribuiti in tutto il territorio. La spesa pubblica per l’istruzione si aggira intorno al 23,6% del PIL, che significa 92,9 dollari per abitante.

(Fonte: Il Sistema Educativo Cubano.)

Indagine: Come si Vive in Italia? (Università degli Studi di Firenze).

22:39 – 03/03/10 – Sicurezza nelle Scuole: la Politica dello scaricabarile

di Adele Dentice

La messa in sicurezza delle scuole è spesso assente nei dibattiti politici o televisivi se non in occasione di qualche tragico avvenimento come l'episodio di San Giuliano di Puglia; quando i riflettori e l'attenzione pubblica si spengono il problema continua ad essere sottovalutato e si continua a sostenere la politica dello scarica barile permessa dal caos normativo che caratterizza questa materia.

Per sciogliere questa ingarbugliata matassa bisogna partire dal recente testo Unico Sulla Sicurezza dlgs 81/08 che contraddice ciò che viene stabilito dalla l.626 (art.5) che, supportata dai D.M. 18 dicembre 1975, del 26 agosto del 1992 e la legge n.23/1996 e dall’art. 12 della legge n. 820 del 1971, determina il numero massimo di alunni che possono essere affidati a un solo insegnante e che non può essere superiore a 25: appare chiaro quindi che l'aumento del numero massimo porta ad una situazione di palese illegalità. La evidente condizione “contra legem” determinata dall’alto numero di studenti in spazi limitati, viene ulteriormente aggravata dalla presenza di alunni con disabilità, e dalla carenza di personale Ata, senza contare che soprattutto in mancanza di copertura nelle classi con supplenti, in caso di assenza dei titolari, la scuola non può garantire adeguatamente la sorveglianza dei minori. È più che evidente che, riducendo drasticamente le aree di transito, soprattutto nelle fasi di deflusso dalle aule in caso di emergenza, il livello di rischio aumenta notevolmente anche perché il processo di evacuazione si accompagna ad una condizione emotiva di forte agitazione e nervosismo.

In caso di malaugurato incidente la posizione del Dirigente scolastico, responsabile della sicurezza, viene alleggerita dal TU 81/08 che da la possibilità di andare in deroga al parametro di 26 persone in aula con una dichiarazione scritta( un' eventuale diffida può essere fatta solo entro luglio,per chi non è dell'ambiente è il mese in cui si decide dell' organico di fatto secondo una sentenza del TAR Veneto ad un ricorso dello SNALS).

Il Dirigente rimane però responsabile della razionalizzazione della spesa (comma 5 dell'art. 64 della legge 133) e del rispetto dei parametri relativi alla formazione delle classi conseguenti ai tagli (comma 6 dell'art.4 dello Schema di Regolamento), per cui nella logica della contrazione della spesa pubblica è legittimato a riempire come un uovo le classi, producendo un' efficace lavoro di vigilanza se poi qualcuno si fa “male”, la dichiarazione scritta lo tutela da ogni responsabilità civile e penale, oltre che di coscienza!

Merita attenzione anche come le aule stipate di persone possano avere una ricaduta negativa sulla salute dei bambini e dei giovani infatti il sovraffollamento delle classi abbassa la qualità dell’aria, scadente per carenza di ossigeno, a cui si somma la presenza di sostanze tossiche come la formaldeide presente nelle vernici e nelle suppellettili che spesso superano la soglia di sicurezza. L'inquinamento indoor, che non va confuso con l'aria viziata, è un misto di tossine che compromettono la salute dei giovani, i quali vivono molte ore in questi ambienti malsani. Le aule sovraffollate, quindi, oltre ad essere inigieniche ed insicure, causano negli alunni/utenti anche uno scarso rendimento scolastico e il quadro normativo è in merito molto generico e superficiale.

È prioritario in materia di sicurezza l'aspetto relativo alle strutture fatiscenti e pericolose che accolgono i nostri ragazzi, i dati ufficiali parlano di oltre 45.000 istituti scolastici a rischio di chiusura se si volessero applicare alla lettera tutte le normative sulla sicurezza. Il governo aveva garantito uno stanziamento di 300 milioni di euro per il 2008 con 100 milioni in più per il 2009 oltre un 5% del Fondo per le infrastrutture strategiche e 20 milioni di euro annui accantonati dai risparmi delle spese della politica. Una bella cifra se fosse vero, in realtà per il 2009 sono stati stanziati 77mln di euro per la messa in sicurezza degli edifici con un taglio di 23mln di euro rispetto alle previsioni, una misura ingiustificata se non fosse che la salute e la sicurezza sono considerati come un mero costo aggiuntivo che la legge impone.

All'ormai consueta riduzione dei finanziamenti, in particolare se si tratta di scuola, si accompagna una farraginosa burocrazia che parte dallo Stato e passando attraverso le Regioni fino alle province e ai Comuni (che hanno subito tagli considerevoli con le ultime leggi Finanziarie) arriva alle singole istituzioni scolastiche.

Gli obblighi maggiori sono dei comuni e delle province che in quanto proprietari degli istituti hanno il compito del monitoraggio, di accedere ai finanziamenti e di procedere con le gare di appalto per eseguire gli interventi di messa in sicurezza, lasciando alle scuole il compito di vigilanza. In caso di finanziamenti insufficienti sono le Amministrazioni che dovrebbero procedere alla denuncia per cui risulta evidente quindi che l'inadempienza e il rimbalzo delle responsabilità rende legittimo il sospetto di una volontà tesa a sostenere gli istituti dati in convenzione a strutture private e cooperative si attua così la politica dello scarica barile per privilegiare le strutture private.

19:26 – 26/02/10 – Asili nido comunali in Italia, tra caro rette e liste di attesa.

Asili Nido Comunali
Asili Nido Comunali
297 euro al mese che, considerando 10 mesi di utilizzo del servizio, portano la spesa annua a famiglia a circa 3.000€. Tanto costa mediamente in Italia mandare il proprio figlio all’asilo nido comunale, fra difficoltà di accesso, alti costi e disparità economiche tra aree del Paese difficili da giustificare: in una provincia, la spesa mensile media per il tempo pieno può avere costi anche tre volte superiori rispetto ad un’altra provincia, e doppi tra province nell’ambito di una stessa regione.

Ad esempio, a Lecco la spesa per la retta mensile, di 572€, è più che tripla rispetto a Cosenza (110€) o Roma (146€) e più che doppia rispetto a Milano (232€).  E ancora, in Liguria la retta più economica, in vigore a Savona (279€ mese per il tempo pieno) supera la più cara in Umbria (registrata a Perugia e pari a 271€, sempre per il tempo pieno).

On line su www.cittadinanzattiva.it l’indagine completa, dalla quale si evince come dal 2006 ad oggi la situazione degli asili nido in Italia non sia particolarmente cambiata: il dato di fondo resta sempre l’enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze. L’analisi, svolta dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva ha considerato una famiglia tipo di tre persone (genitori e figlio 0-3 anni) con reddito lordo annuo di 44.200€ e relativo Isee di 19.000€. I dati sulle rette sono elaborati a partire da fonti ufficiali (anni scolastici 2007/08 e 2008/09) delle Amministrazioni comunali interessate all’indagine (tutti i capoluoghi di provincia). Oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media, 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo ridotto (in media, 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana.

Tariffe in crescita
. Preoccupa l’incremento medio delle tariffe: +1,4% rispetto al 2007/08, in linea con l’anno prima (+1,8%), dopo che nel 2006/07 si era registrato un +0,7% rispetto al 2005/06. In particolare, nel 2008/09, ben 34 città hanno ritoccato all’insù le rette di frequenza, e 7 capoluoghi registrano incrementi a due cifre: Oristano (+51%), Ragusa (+29%), Catania (+20%), Viterbo (+18%), Trapani (+17%), Salerno (+14%), Pistoia (+11%). Rispetto ad un anno fa, gli aumenti medi principali si registrano al Sud (+3,2%) e al Centro (+2,7), a conferma di una preoccupante tendenza da parte delle città del Centro-Sud ad uniformarsi ai valori delle tariffe del Nord Italia.

Liste di attesa
. Dall’analisi di dati in possesso al Ministero degli Interni e relativi al 2007, emerge che il numero degli asili nido comunali sia cresciuto solo del 2,4% rispetto al 2006 (nel 2006 l’incremento fu del 3,3% rispetto al 2005): in media il 25% dei richiedenti rimane in lista d’attesa, un anno fa erano il 23%. La percentuale sale al 27% se consideriamo solo i capoluoghi di provincia. Il poco edificante record va alla Campania con il 42% di bimbi in lista di attesa, seguita da Lazio (36%) e Umbria (35%).

Il commento
.”In tema di asili nido comunali” commenta Antonio Gaudioso, vicesegretario generale e responsabile delle politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva, “l’Italia sconta un ritardo strutturale ormai conclamato, espressione di una attenzione alle esigenze delle giovani coppie vera solo sulla carta. In questi anni, infatti, molti amministratori hanno parlato di tutela della famiglia e di asili nido solo in campagna elettorale e pochissimi hanno fatto qualcosa. Ci aspettiamo che con queste amministrative i candidati prendano impegni concreti e misurabili. Federalismo, d’altra parte, vuol dire soprattutto questo: prendersi impegni e mantenerli. E quello degli asili nido è un modo concreto e non retorico di prendersi cura delle famiglie e dei loro bisogni”.

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