10:53 – 21/09/11 – Cittadinanzattiva, in Italia la scuola cade a pezzi..

O quasi. I tagli hanno aumentato il numero di allievi per classe e impediscono la manutenzione degli edifici. Ecco il IX Rapporto di Cittadinanzattiva, “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici”

Cittadinanzattiva ha presentato oggi a Roma il IX Rapporto “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici”, nato dall’indagine su 88 scuole appartenenti a 13 Province di 12 Regioni italiane: Piemonte, Lombardia, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

La fotografia delle aule del Belpaese le mostra malmesse, degradate, e negli anni sempre più sovraffollate, insomma da bocciare per i numerosi distacchi di intonaco (rilevati nel 18% delle classi), la presenza di altri segni di fatiscenza (30%), le finestre rotte (23%), l’assenza di tapparelle o persiane (56%), i pavimenti sconnessi (21%), banchi e sedie rotte (rispettivamente nel 13% e nel18% dei casi), la presenza di barriere architettoniche (9%). Un vero pericolo. Il 28% degli edifici scolastici, inoltre, è del tutto fuorilegge, perchè privo delle certificazioni e dei requisiti di base previsti dalla legge sulla sicurezza (81/08, ex 626/96).

A questi dati si aggiunge l’aumento del numero di studenti per aula (dovuto ai tagli della riforma Gelmini) che non fa che aggravare la situazione. Dal Rapporto emerge che le classi con più di 30 alunni sono 21 su un totale di 1234, ossia l’1,7%. E ancora la riforma è all’inizio, riguarda cioè solo le classi del biennio delle scuole superiori secondaria, i tagli (comprensivi dell’aumento di allievi per classe) continueranno.

Il Ministero dell’Istruzione ha dichiarato che, quest’anno, il numero di classi oltre i parametri stabiliti è pari a circa lo 0,6% delle aule. In percentuale il dato non colpisce più di tanto, ma trasformato in valore assoluto su circa 370.000 aule quelle con più di 30 alunni ammonterebbero a 2.220, per un totale dunque di oltre 66mila studenti!
In tante scuole gli alunni sono stipati in aula come sardine, con effetti deleteri sulla vivibilità, sulla didattica ed anche sulla sicurezza. Come emerge da questa indagine, infatti, l’88% delle aule non ha porte antipanico e le scale di sicurezza risultano assenti, in tutto o in parte, nel 22% delle scuole a più piani. Ci preoccupa, dunque, quello che potrebbe accadere se da queste scuole fosse necessario uscire in fretta in caso di emergenza.

SENZA CERTIFICAZIONI, SENZA MANUTENZIONE: LA SICUREZZA NON ABITA A SCUOLA

Distacchi di intonaco, mancanza di certificazioni, scarsa manutenzione. Gli edifici scolastici sono in pessimo stato.

Partiamo dalle certificazioni: meno di 1 scuola su 2 fra quelle monitorate possiede il certificato di agibilità statica (41%). A rendere più grave la situazione il fatto che il 42% delle scuole del campione si trova in zona sismica e che lo stato della manutenzione lasci piuttosto a desiderare. La percentuale è quasi la stessa nel caso della certificazione igienico- sanitaria, presente solo nel 40% dei casi.

Il dato più grave è quello relativo alla certificazione di prevenzione incendi: ne è provvista soltanto poco più di una scuola su 4 (28%). Sulla base dei dati del Ministero, emerge che Calabria e Lazio sono i due fanalini di coda nel possesso delle certificazioni: nel Lazio solo il 25% delle scuole possiede il certificato di agibilità statica, il 16,7% quello di agibilità igienico-sanitaria, il 22,2% quello di prevenzione incendi. In Calabria ad essere in regola con la certificazione di agibilità statica è il 35,1% delle scuole; con la certificazione igienico-sanitaria il 33,9% e con quella di prevenzione incendi solo il 10,4%.
Ritornando ai dati del IX Rapporto di Cittadinanzattiva, in ben 17 scuole sono state rilevate lesioni strutturali. I distacchi di intonaco interessano invece principalmente corridoi ed ingressi (24%), aule e laboratori scientifici (18%), palestre e segreterie (17%), mense e sale professori (15%), bagni (13%), aule computer e biblioteche (5%).

L’indagine sottolinea, inoltre, il deficit di manutenzione (34% delle scuole) e la necessità di interventi manutentivi ordinari (89% dei casi) e di manutenzione straordinaria (31%). Questa situazione è determinata anche dall’età avanzata degli edifici scolastici: il 70% del nostro campione risale a prima del 1974. La percentuale nazionale supera il 50%.
La situazione si aggrava ulteriormente perché gli enti proprietari non riescono ad intervenire in tempi accettabili. I Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione intervistati hanno risposto che, in caso di richiesta di interventi urgenti, una volta su tre l’Ente proprietario non è mai intervenuto.

POCA TUTELA PER GLI ALUNNI DISABILI
L’insicurezza delle scuole si ripercuote sugli alunni disabili, come più volte hanno affermato ad alta voce le associazioni dei portatori di handicap.
Alcuni dati del IX Rapporto: su 29.128 studenti, 545 sono disabili. Il numero degli insegnanti di sostegno è pari a 270 su un totale di 3.248 docenti, con un rapporto tra alunni disabili ed insegnanti pari al 2,1 al Nord, 2,7 al Centro e 1,5 al Sud ed isole, sostanzialmente in linea con i dati del Ministero che, per il 2010, indicano un rapporto di 2,21 al Nord Ovest, 2,09 nel Nord Est, 2,23 al Centro, 1,79 al Sud e 1,76 nelle Isole.
Nel 13% delle scuole esaminate da Cittadinanzattiva, esistono barriere architettoniche che rendono impossibile lo spostamento dei disabili in vari luoghi dell’edificio: i cortili (17%), le palestre (15%), l’ingresso (13%), seguiti dai laboratori scientifici, le mense, le segreterie, le aule degli studenti ed i bagni, tutti con il 9%. Chiudono la classifica le aule computer (4%), la sala professori e la biblioteca con il 3%. Soltanto l’11% delle scuole dispone di un’apposita entrata priva di ostacoli. Gli edifici situati a piano terra sono l’8% dei casi; quelle che dispongono di ascensore sono il 61% ma nel 7% dei casi l’ascensore non è funzionante.

TAGLIO AI BILANCI? BAGNI SEMPRE PIÙ SPORCHI

La circolare emanata dal MIUR nel dicembre 2009 (n. 9537) continua a provocare grossi problemi sul pagamento delle supplenze, il regolare svolgimento degli esami, l’acquisto della cancelleria, e ha comportato anche una riduzione del 25% delle spese per personale addetto alle pulizie delle scuole.
Inoltre, il taglio del bilancio di ciascuna scuola incide in modo consistente sull’acquisto di prodotti come il sapone, gli asciugamani, la carta igienica che già prima della Circolare erano assenti in gran parte delle scuole.
Particolarmente deficitaria la situazione dei bagni, al vertice della hit degli ambienti più sporchi: nel 32% manca la carta igienica, nel 42% è assente il sapone, il 63% è sprovvisto di asciugamani.

LE PALESTRE, COSÌ POCHE, COSÌ MAL MESSE
Come ogni anno, registriamo dati negativi sul tema delle palestre. Ben 31 scuole sulle 88 monitorate, dunque il 35%, non dispone di una propria palestra.
Laddove presenti all’interno dell’edificio scolastico, le palestre rivelano condizioni di insicurezza e invivibilità: segni di fatiscenza (22%), mancanza della cassetta di pronto soccorso (sempre nel 22% dei casi), distacchi di intonaco (17%), attrezzature danneggiate o altre fonti di pericolo (16%).

CONTESTO AMBIENTALE A RISCHIO. E GLI INCIDENTI AUMENTANO
Il 10% delle scuole è stato interessato da episodi di criminalità nei pressi dell’edificio, il 5% addirittura al proprio interno; l’8% da fenomeni di bullismo e il 39% da atti vandalici. Questi dati ci sono stati forniti dal Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione o dal Dirigente Scolastico e dunque immaginiamo che ben più elevato sarà il numero di episodi dovuti a comportamenti violenti di diversa gravità che si consumano spesso di nascosto o che vengono occultati e minimizzati.

Alcuni dati, correlati a questo, fanno riflettere: è vero che il 90% delle scuole monitorate adotta sistemi di vigilanza all’ingresso dell’edificio, ma oltre la metà (60%) non adotta lo strumento più semplice che è quello di chiudere i cancelli anche durante l’orario scolastico.
Il numero degli incidenti a scuola è in aumento rispetto allo scorso anno, come denunciano i dati INAIL: nel 2010 hanno coinvolto 98.429 studenti, (nel 2009 erano 92.060) e 14.735 insegnanti (nel 2009 erano 14.239).
Anche dal IX Rapporto di Cittadinanzattiva emergono dati allarmanti: i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione di 55 scuole hanno segnalato 445 incidenti, di cui 396 accorsi a studenti. Tra le cause più importanti, in ordine di frequenza: le cadute durante le attività sportive, le cadute accidentali, malori improvvisi o legati a patologie, le cattive condizioni di arredi e mobili, le cattive condizioni degli infissi, l’uso improprio o scorretto delle attrezzature.
A proposito di incidenti, l’indagine rivela, tra l’altro, che le scuole non sempre sono attrezzate per rispondere alla prima emergenza: il 24% dei laboratori scientifici e il 22% delle palestre è sprovvisto delle elementari cassette di pronto soccorso.

OK LA PREVENZIONE, DA ESTENDERE ANCHE ALLE FAMIGLIE
É uno dei dati migliori del Rapporto 2011. Le prove di evacuazione vengono realizzate con regolarità nel 95% dei casi, un dato in costante aumento rispetto agli anni precedenti.
Le attività di prevenzione, tuttavia, vanno estese alle famiglie coinvolgendole nella conoscenza e nella formazione rispetto ai rischi (naturali e non) presenti sul proprio territorio. Infatti, dall’indagine risulta ancora assai limitato il coinvolgimento delle famiglie nei diversi percorsi riguardanti la sicurezza: solo nel 44% dei casi la scuola, per esempio, fornisce informazioni sulle procedure di sicurezza e di primo soccorso.
Per questo si è scelto di dedicare la IX Giornata nazionale della sicurezza nelle scuole (25 novembre 2011) ai “Genitori a scuola di sicurezza”. Oltre alle attività di informazione e formazione sul tema della sicurezza, con la Giornata del prossimo 25 novembre si punterà a coinvolgere anche le famiglie.

COSA CHIEDE Cittadinanzattiva: ANAGRAFE, REGOLAMENTO ATTUATIVO DELLA LEGGE, FONDI
Anagrafe subito. L’Anagrafe dell’edilizia scolastica va resa nota subito. Senza una completa e aggiornata mappatura dello stato degli edifici scolastici italiani, è impossibile passare dall’emergenza ad una vera programmazione degli interventi.
Regolamento attuativo della legge 81/08. Va rimesso mano ad un regolamento attuativo della legge 81/08, che prenda in considerazione quegli aspetti della legge che non tengono conto delle peculiarità degli ambienti scolastici, non considerabili alla stessa stregua degli altri ambienti lavorativi. In particolare, il regolamento attuativo dovrebbe indicare con chiarezza, competenze, obblighi, funzioni e responsabilità dei diversi soggetti coinvolti in materia di sicurezza scolastica; inserire l’obbligo, per l’ente/soggetto proprietario, di aggiornare in maniera costante i dati relativi alle condizioni strutturali e non degli edifici scolastici; individuare un referente degli studenti per la sicurezza; omologare gli studenti ai lavoratori non soltanto quando si fanno ”uso di laboratori, attrezzature di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici ivi comprese le apparecchiature fornite di video terminali”, al fine di garantirne adeguata tutela nel caso di incidenti a scuola.
Fondi. E’ urgente definire l’effettiva entità dei finanziamenti necessari per l’edilizia scolastica ed occorre dare organicità e stabilità nel tempo ai finanziamenti stessi attraverso un piano quinquennale basato, anzitutto ma non esclusivamente, sui fondi ordinari. Innazitutto vanno utilizzati quelli già disponibili (circa 420 milioni di euro dei Fondi FAS, circa 220 milioni di euro dei Fondi strutturali Europei).
Chiediamo inoltre, in nome della autonomia scolastica, l’affido dei fondi e delle funzioni legati alla manutenzione ordinaria, direttamente alle scuole. Crediamo, infine, che l’apertura ai soggetti privati, senza una deriva verso la vecchia proposta del Governo di creare una ‘Scuola Spa’, sia un terreno nuovo, sul quale occorre sperimentare, alla ricerca di soluzioni innovative.

Scarica il IX° RAPPORTO – Sicurezza qualità e comfort degli edifici scolastici – 2011

Scarica i Video sulla Sicurezza Scolastica.

12:32 – 20/06/11 – La Valutazione dei Docenti Italiani (Rapporto OCSE-TALIS)

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

[Sintesi del documento] Le ricerche condotte dall’OCSE – PISA sono note a tutti. I risultati di tali indagini sugli apprendimenti hanno spesso come effetto una grande diffusione e il successivo alternarsi di punti di vista, di prese di posizione, di proposte e contro-proposte.

L’OCSE ha condotto anche la ricerca TALIS i cui risultati, ai fini dell’analisi comparativa dei diversi sistemi di istruzione, rivestono uguale importanza. Eppure ai risultati di questa indagine non si è voluto attribuire uguale rilievo. Anche il Miur, che ha aderito al progetto e partecipato alle spese, non ha ritenuto di dare ampia diffusione ai risultati della ricerca che è rimasta dunque ignota ai più.

TALIS è una ricerca che parte da un preciso punto di vista quello dei docenti: “in che modo gli insegnanti percepiscono la propria professione?” I risultati sono stati raccolti in un database, la Uil Scuola ha scelto di esaminarne alcuni.

OCSE —TALIS


Teachers And Learning International Survey


Indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento


Sintesi della ricerca

L’indagine Ocse Talis, rappresenta in primo tentativo di analizzare, parametrandole, le dichiarazioni dei docenti in relazione al lavoro svolto a scuola. Non un’indagine su dati, quindi ma sullo ‘status’.

Quella che viene esaminata è la percezione che gli insegnanti hanno della loro professione.

Un approccio nuovo, per una indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento condotta in 23 paesi del mondo, Italia inclusa, che ha messo in un data base le dichiarazioni di un campione significativo di insegnanti e presidi di scuola superiore di primo grado.

La prossima edizione della ricerca sarà nel 2013 e opererà anche sui dati dell’indagine Pisa 2012 con i risultati degli studenti. L’ufficio studi e ricerche della Uil scuola ne ha messo a confronto i dati.

Misurare la ‘soddisfazione’:

Gli italiani al primo posto.

Sono gli insegnanti italiani quelli più soddisfatti del lavoro svolto in classe. Il 95% dei docenti di scuola media dichiara, infatti, di essere appagato del proprio lavoro anche in relazione al clima disciplinare in aula e al rapporto con gli studenti. Nella classifica internazionale gli italiani registrano 6 punti percentuali in più rispetto alla media (89,6%) seguiti dai colleghi sloveni, belgi, messicani, bulgari e austriaci.

Ad essere i meno soddisfatti sono gli australiani (82,4%) e poi gli ungheresi, i turchi, i brasiliani e i portoghesi.

Misurare il ‘tempo’:

In Italia troppa burocrazia e più tempo per tenere l’ordine in classe.

I docenti italiani lamentano di dover utilizzare il 14% del tempo per mantenere l’ordine in classe.

Più alto della media dei 23 paesi è anche il tempo che è sottratto all’insegnamento per espletare troppi adempimenti burocratici (8,8%). Una situazione che accomuna gli insegnanti italiani a quelli spagnoli.

Sono gli insegnanti brasiliani a faticare di più per mantenere l’ordine (17,8% del tempo passato in classe).

In Estonia, Lituania e Polonia ci vuole invece meno tempo: il 9% circa.

Il maggior peso negli adempimenti burocratici tocca agli insegnanti messicani con un carico di pratiche pari al 16,5% del tempo, quasi il doppio rispetto alla grande maggioranza degli altri paesi.

Misurare l’’efficacia’.

Sono i norvegesi a sentirsi ‘più bravi’. Italiani al secondo posto.

L’indagine TALIS ha interrogato i docenti sulla percezione che loro hanno dell’ efficacia personale in relazione all’attività educativa con i propri studenti. Sotto la lente di ingrandimento sono state messe una serie di variabili relative al lavoro d’aula, non sotto il profilo delle materie insegnate, ma su quello relazionale.

I docenti sono stati invitati ad esprimersi sulla loro personale percezione che:

l’insegnamento produce significativi cambiamenti nella vita dei propri studenti;

si riesce a far progredire anche gli studenti più difficili e non motivati;

si ha successo con gli studenti nella propria classe;

si riesce a mettersi in relazione con gli studenti;

si crea una piacevole atmosfera di apprendimento;

non si deve perdere molto tempo all’inizio della lezione, per avere degli studenti “tranquilli”;

non si perde tempo a causa di studenti che interrompono la lezione.

L’analisi comparata dei dati mostra che è appannaggio dei docenti norvegesi la più positiva percezione complessiva circa l’efficacia del loro lavoro, al secondo posto gli italiani mentre, all’estremo opposto, si situano i professori coreani e quelli spagnoli.

Misurare la ‘crescita’.

attività di sviluppo professionale: sono ancora in pochi a seguirle ma sono tante le giornate impegnate

Tra i temi affrontati nella ricerca c’è anche quello della partecipazione ad attività di sviluppo professionale: si va dai corsi / seminari alle conferenze o seminari di formazione, dai programmi di qualificazione (ad esempio un corso di laurea) alle visite di osservazione in altre scuole, dalla partecipazione ad una rete di docenti alla ricerca individuale, fino alle esperienze di tutoraggio, osservazione ed esercitazione con colleghi, come parte di un sistema di formazione formale, alla lettura di testi professionali, al dialogo fra colleghi.

E’ stato quindi chiesto agli insegnanti se hanno partecipato a tali attività negli ultimi 18 mesi e per quanti giorni: il risultatoˆ è che, in tutti i Paesi, la partecipazione a questo genere di attività è piuttosto ampia.

L’Italia si colloca sotto la media per numero di insegnanti coinvolti.

Per quanto attiene invece al numero medio delle giornate impegnate in tali attività, si va da un minimo di 5,6 giorni dell’Irlanda ad un massimo di 34 giorni del Messico, attestandosi la media di tutti i Paesi a 15,3 giorni medi nel periodo dei 18 mesi considerati. I docenti italiani, al quarto posto, si situano abbondantemente al di sopra della media con 26,6 giornate medie.

I risultati mostrano quindi che è ancora basso, rispetto al dato medio, il numero di insegnanti coinvolti in attività di sviluppo professionale. La durata di queste attività, per chi le svolge, è invece ben al di sopra del dato medio degli altri paesi.

Misurare i ‘bisogni’.

Forte e al passo con i tempi in Italia la domanda di formazione in servizio.

L’inchiesta TALIS non si limita a registrare le dichiarazioni dei docenti circa le attività ma domanda anche quale siano le loro necessità d aggiornamento.

Tra i settori nei quali gli insegnanti dichiarano di avere maggiore bisogno di aggiornamento ci sono l’insegnamento a studenti con bisogni speciali di apprendimento (31,3%) e lo sviluppo di competenze nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, TIC, (24,7%).

I docenti italiani esprimono una diffusa domanda di formazione, superiore di 10 punti alla media dei colleghi delle altre nazioni. Per loro rappresentano delle priorità: l’insegnamento a studenti con bisogni speciali (35,3%), l’esigenza di migliorare la pratica didattica (34,9%), l’accrescimento delle competenze nel proprio ambito disciplinare (34%).

Misurare il ‘lavoro’.

Ancora pochi gli insegnanti coinvolti nei processi di valutazione.

Una parte dell’indagine Talis è dedicata alla valutazione degli insegnanti. Ricerca condotta non in modo ‘generico’ ma basata sulla richiesta di ‘precise’ esperienze di valutazione, sia interna che esterna, che i docenti hanno avuto negli ultimi cinque anni.

Il 13,8% dei docenti dei 23 paesi esaminati dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di valutazione.

Per gli italiani questa percentuale è del 20%. Sono gli spagnoli, i danesi, i portoghesi, gli austriaci e gli irlandesi i meno valutati. Coreani, ungheresi, slovacchi e turchi sono quasi tutti sottoposti a processi di valutazione.

Per quanto riguarda la valutazione interna quasi la metà degli insegnanti italiani è impegnata almeno una volta l’anno nelle pratiche di autovalutazione della scuola, livello simile alla media degli altri paesi.

Per quanto attiene alla valutazione esterna oltre il 60% dei nostri insegnanti non è mai stato coinvolto (negli altri paesi il livello di quanti non hanno ricevuto mai una valutazione è mediamente intorno al 30%).

L’11, 3% è stato coinvolto una volta, il 14,6% da due a quattro volte, il 12,3 % una volta all’anno, solo l’1% più di una volta all’anno.

Misurare il ‘merito’

E’ un ‘grazie’ il riconoscimento più diffuso in Italia. Niente soldi né bonus.

Un ulteriore aspetto di osservazione della ricerca riguarda le ricadute della valutazione sulla vita professionale dei docenti: variazioni di retribuzione, bonus economico o altra forma di premio economico, cambiamento nelle prospettive di carriera, riconoscimento pubblico del preside e / o dei loro colleghi, opportunità di aggiornamento, cambiamenti nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente, acquisizione di un ruolo nelle iniziative di aggiornamento o formazione.

L’incremento della retribuzione è assolutamente marginale per la media dei Paesi: si verifica nel 9,1% dei casi, mentre in Italia è dichiarato nel 2% (probabilmente riferibile alla conferma in ruolo dopo il periodo di prova e alla conseguente ricostruzione di carriera). Gli altri Paesi dell’Europa occidentale, con l’eccezione della Norvegia, si situano su percentuali analoghe o addirittura minori.

Altri premi di natura economica o bonus sono mediamente attribuiti all’11% dei docenti, mentre la gratificazione — immateriale – per il pubblico riconoscimento del preside e dei colleghi che riguarda il 36,4% degli insegnanti dei paesi presi in considerazione sale al 46,4% nel caso dell’Italia.

Altre forme di riscontro nel nostro paese sono: il coinvolgimento attivo nelle iniziative di aggiornamento e/o di formazione dei colleghi (38,3%, la media degli altri paesi è 29,6) e il cambiamento nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente (27,1%, la media degli altri paesi è 26,7%).

Che cosa pensano gli insegnanti di ciò che accade dopo la valutazione sulla propria scuola? L’indagine si occupa anche di questo: il 70% dei professori italiani pensa che la valutazione porti ad ‘azioni di aggiornamento o formazione affinché i docenti migliorino il proprio lavoro’. Il 40% sostiene che nella ‘scuola la revisione del lavoro dei docenti ha scarso impatto sul modo in cui i docenti insegnano in classe’. Il 33% pensa che la valutazione venga fatta ‘soprattutto per finalità amministrative’. Poco meno di un terzo (28%) è convinto che ‘il persistente scarso rendimento di un docente sarebbe tollerato dagli altri’.

E’ questo il quadro di insieme tracciato dall’insieme delle opinioni degli insegnanti italiani rispetto ai processi di valutazione. Una serie di dati che fotografa ciò che succede realmente: spesso la gratificazione è rappresentata solo da un riconoscimento pubblico, da un elogio. A questo sono abituati gli insegnanti italiani. A riconoscimenti ‘immateriali’ e pochi soldi. E questo vale non solo in relazione alla valutazione ma sembra — per l’Italia — restare ‘ancorato’, connaturato alla funzione docente.

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

17:09 – 10/03/11 – Storia d'Italia raccontata attraverso la Legislazione Scolastica.

La scuola unisce l'Italia.

Dall'Italia 'espressione geografica' all'Italia unita.
Il racconto della scuola come parte della storia del nostro Paese.

Parte da un'Italia frammentaria, quella che il Metternich definiva 'espressione geografica', per giungere al sistema scolastico italiano delineato dalle leggi dell'Italia Unita, la ricerca storica condotta da Franco Sansotta, della segreteria nazionale della Uil Scuola, presentata nel corso dell'iniziativa nazionale in corso oggi a Roma.

Uno studio che mette a confronto i diversi provvedimenti – da quelli riformisti ante-litteram degli enciclopedisti francesi come il marchese di Condorcet (che alla fine del '700 delineava già le caratteristiche di una scuola pubblica, laica, popolare, gratuita) fino alle leggi introdotte nei diversi territori in cui si articolava quella che il Metternich definiva come una 'espressione geografica'.

L'Italia letta attraverso la sua legislazione scolastica: da quella del Lombardo-Veneto, governato dall'Austria fino a quello delle due Sicilie sotto la dominazione dei Borboni.

Una scuola moderna, laica, gestita dallo Stato, obbligatoria e gratuita, con l'obiettivo primario di formare i cittadini: sono i temi presentati nei cahier de doleance presentati agli stati generali della Francia del luglio del 1789.

Alla rivoluzione francese, agli enciclopedisti, l'Europa deve un debito di gratitudine intellettuale: loro (tra gli altri la ricerca cita il marchese di Condorcet) il progetto avanzatissimo di libertà di cultura, di insegnamento, di educazione permanente, di laicità della scuola, di parità tra i sessi….

In allegato la sintesi e il testo integrale dello studio dedicato alla scuola italiana dal Congresso di Vienna alla proclamazione del Regno d'Italia presentata oggi a Roma nel corso dell'iniziativa nazionale promossa dalla Uil Scuola: “La scuola unisce l'Italia“.

Scarica i documenti in versione integrale.

13:56 – 14/05/10 – L'Usura: Quando il Credito è Nero…(Indagine EURISPES)

(Sintesi elettronica a cura di TerritorioScuola Server)

L'usura è un fenomeno complesso, che riguarda la società, le sue istituzioni, il sistema economico, caratterizzato inoltre da un'ambiguità tipica di molte attività illegali o al limite della legalità che riguardano l'economia; essa è stata, infatti, definita come un atto di violenza criminale vestito con uno schema negoziale di diritto bancario o commerciale. La sua stessa natura è quindi all'origine delle difficoltà che si incontrano, dal punto di vista legislativo e giudiziario, nel darne una definizione corretta e contemporaneamente utile ed efficace ai fini probatori. L'ambiguità e la natura criminale del fenomeno sono del pari all'origine delle difficoltà che si incontrano nel fornire un'analisi quantitativa ed una misura attendibile dell'usura intesa come attività economica seppure illegale.

Le dimensioni del mercato dell'usura, l'ampiezza della domanda e dell'offerta in termini monetari e di numero di persone coinvolte, sono solo parzialmente rilevabili sulla base delle denunce e degli arresti che vengono effettuati. Se inoltre si tiene conto che, molto spesso, l'usura è un'attività controllata più o meno direttamente da organizzazioni di tipo mafioso o comunque da organizzazioni criminali, che possiedono un controllo capillare del territorio e che quindi sono in grado di esercitare una efficace azione dissuasiva nei confronti delle vittime che volessero denunciare l'usura subita alle Autorità, appare evidente che i dati ottenibili sulla base delle denunce sono solamente la punta di un iceberg, e soprattutto sono condizionati dalla realtà e dal contesto ambientale e sociale da cui provengono.

In altri termini è molto probabile che a parità di altre condizioni una regione in cui l'usura è molto diffusa, ma esercitata da grandi organizzazioni criminali, faccia registrare un minor numero di denunce di una regione in cui l'usura è meno diffusa, ma sia esercitata principalmente da microusurai.

Approfondimenti e Download Documento Integrale

19:26 – 26/02/10 – Asili nido comunali in Italia, tra caro rette e liste di attesa.

Asili Nido Comunali
Asili Nido Comunali
297 euro al mese che, considerando 10 mesi di utilizzo del servizio, portano la spesa annua a famiglia a circa 3.000€. Tanto costa mediamente in Italia mandare il proprio figlio all’asilo nido comunale, fra difficoltà di accesso, alti costi e disparità economiche tra aree del Paese difficili da giustificare: in una provincia, la spesa mensile media per il tempo pieno può avere costi anche tre volte superiori rispetto ad un’altra provincia, e doppi tra province nell’ambito di una stessa regione.

Ad esempio, a Lecco la spesa per la retta mensile, di 572€, è più che tripla rispetto a Cosenza (110€) o Roma (146€) e più che doppia rispetto a Milano (232€).  E ancora, in Liguria la retta più economica, in vigore a Savona (279€ mese per il tempo pieno) supera la più cara in Umbria (registrata a Perugia e pari a 271€, sempre per il tempo pieno).

On line su www.cittadinanzattiva.it l’indagine completa, dalla quale si evince come dal 2006 ad oggi la situazione degli asili nido in Italia non sia particolarmente cambiata: il dato di fondo resta sempre l’enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze. L’analisi, svolta dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva ha considerato una famiglia tipo di tre persone (genitori e figlio 0-3 anni) con reddito lordo annuo di 44.200€ e relativo Isee di 19.000€. I dati sulle rette sono elaborati a partire da fonti ufficiali (anni scolastici 2007/08 e 2008/09) delle Amministrazioni comunali interessate all’indagine (tutti i capoluoghi di provincia). Oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media, 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo ridotto (in media, 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana.

Tariffe in crescita
. Preoccupa l’incremento medio delle tariffe: +1,4% rispetto al 2007/08, in linea con l’anno prima (+1,8%), dopo che nel 2006/07 si era registrato un +0,7% rispetto al 2005/06. In particolare, nel 2008/09, ben 34 città hanno ritoccato all’insù le rette di frequenza, e 7 capoluoghi registrano incrementi a due cifre: Oristano (+51%), Ragusa (+29%), Catania (+20%), Viterbo (+18%), Trapani (+17%), Salerno (+14%), Pistoia (+11%). Rispetto ad un anno fa, gli aumenti medi principali si registrano al Sud (+3,2%) e al Centro (+2,7), a conferma di una preoccupante tendenza da parte delle città del Centro-Sud ad uniformarsi ai valori delle tariffe del Nord Italia.

Liste di attesa
. Dall’analisi di dati in possesso al Ministero degli Interni e relativi al 2007, emerge che il numero degli asili nido comunali sia cresciuto solo del 2,4% rispetto al 2006 (nel 2006 l’incremento fu del 3,3% rispetto al 2005): in media il 25% dei richiedenti rimane in lista d’attesa, un anno fa erano il 23%. La percentuale sale al 27% se consideriamo solo i capoluoghi di provincia. Il poco edificante record va alla Campania con il 42% di bimbi in lista di attesa, seguita da Lazio (36%) e Umbria (35%).

Il commento
.”In tema di asili nido comunali” commenta Antonio Gaudioso, vicesegretario generale e responsabile delle politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva, “l’Italia sconta un ritardo strutturale ormai conclamato, espressione di una attenzione alle esigenze delle giovani coppie vera solo sulla carta. In questi anni, infatti, molti amministratori hanno parlato di tutela della famiglia e di asili nido solo in campagna elettorale e pochissimi hanno fatto qualcosa. Ci aspettiamo che con queste amministrative i candidati prendano impegni concreti e misurabili. Federalismo, d’altra parte, vuol dire soprattutto questo: prendersi impegni e mantenerli. E quello degli asili nido è un modo concreto e non retorico di prendersi cura delle famiglie e dei loro bisogni”.

Per approfondire leggi il comunicato e per ricevere il rapporto compila il form

17:36 – 25/01/10 – Rapporto Italia 2010 (Indagine EURISPES).

A cura di Susanna Fara – EURISPES: Rapporto Italia 2010.

Per il download del documento in versione integrale: vedere in fondo a questo articolo.

Cittadini e Istituzioni: l’anno della svolta?

Il tema del progressivo allontanamento tra cittadini e Istituzioni che da diversi anni anima il nostro dibattito politico segnala in questo 2010 la novità di una svolta positiva, di una inversione di tendenza nell’atteggiamento e nel giudizio dell’opinione pubblica. Questo cambiamento, evidente per alcune, non coinvolge tutte le Istituzioni nello stesso modo, ma nel complesso esprime un segnale che non può essere sottovalutato.

Analizzando la serie storica dei dati relativi al grado di fiducia accordata dai cittadini alle Istituzioni emerge con chiarezza come questa abbia registrato un aumento importante passando dal 10,5% del 2009 al 39% del 2010, con uno scarto di ben 28,5 punti percentuali.

Si è trattato evidentemente di una crescita graduale se si prendono in considerazione gli ultimi tre anni quando, nel passaggio dal dato del 2008 (5,1%) a quello del 2009 (10,5%), si iniziava ad intravedere una lieve ripresa della fiducia degli italiani, ma marcata se si considera invece il periodo 2004-2008 all’interno del quale il numero dei fiduciosi non supera mai il 10%.

Allo stesso tempo, la quota di cittadini che esprimono una diminuita fiducia nelle Istituzioni si attesta nel 2010 al 45,8% segnando rispetto all’anno precedente una flessione di dieci punti circa. Stesso andamento si è registrato tra quanti affermano che la propria fiducia non ha subìto variazioni: un dato in forte calo nel 2010 (14,1%) rispetto al 2009 (32,6%), ma soprattutto se messo in relazione con i risultati degli anni precedenti. Diminuiscono, allo stesso tempo, gli indecisi, che non hanno saputo o non hanno voluto fornire una risposta (1,1%).

Come per il 2009, quest’anno si registra un aumento consistente della fiducia nel Sud (52,8%) e una ripresa del Settentrione con il 40,5% del Nord-Ovest. L’aumento minore di fiducia lo fanno invece registrare il Nord-Est (26%) e soprattutto le Isole (23,5%) dove, al contrario, è più alto il numero di chi dichiara diminuita la propria fiducia (54,4%).

Ad accordare maggiore fiducia sono soprattutto coloro che dichiarano di avere un orientamento politico di centro-sinistra (43,6%), seguiti da quanti invece non si riconoscono in nessuno schieramento politico presente nel nostro Paese (42,2%). Per questi ultimi è necessario sottolineare che complessivamente rappresentano all’interno dell’intero campione intervistato il 27,5%, la percentuale maggiore rispetto a coloro i quali hanno indicato invece la propria area politica di riferimento.

I “non rappresentati” costituiscono evidentemente una folta schiera degli elettori, sono per la maggior parte gli “estemporanei”, coloro cioè che si recano alle urne spostando il proprio voto a seconda delle politiche e dei programmi proposti nelle diverse tornate elettorali, dai diversi schieramenti politici. Ma sono anche quelli che, secondo numerosi studi di tendenza, sempre più spesso, decidono di esercitare il proprio diritto di voto attraverso l’astensione o l’annullamento. Ancor più importante diventa allora analizzare il dato espresso da questi cittadini, anche quando indicano una diminuzione della propria fiducia nelle Istituzioni (47,8%), poiché segnalano in ogni caso un sentire basato su un’interpretazione della realtà che subisce minori condizionamenti di tipo ideologico.

Si sentono più fiduciosi inoltre i cittadini di centro (39,6%), seguiti da quelli di sinistra (37,7%), di centro-destra (35,4%) e infine di destra che, tra tutti, sono quelli che in misura minore sentono aumentato il loro livello di fiducia nelle Istituzioni (34,8%).

Sull’altro versante, quello della diminuzione della fiducia accordata alle Istituzioni, si segnala il 50% delle indicazioni di chi si colloca al centro insieme al 49,4% degli elettori di sinistra che si discostano di pochi punti percentuali dalla area politica di destra (47,7%), di centro-sinistra (42,3%). Infine, per il centro-destra il dato scende fino al 39,2%.

Decisamente inferiore il numero di quanti affermano che la fiducia riposta nelle Istituzioni sia rimasta invariata: si passa dal 9% – sia di coloro i quali non si riconoscono in alcuna area politica sia dei cittadini di centro – al 13,2% di quelli del centro-sinistra, con un picco nel centro-destra (24,3%).

Il Presidente della Repubblica: un punto di riferimento saldo

La rilevazione di quest’anno evidenzia come, nonostante il giudizio dei cittadini sulle Istituzioni, viste nel loro insieme, sia nel complesso positivo e tendenzialmente in crescita rispetto agli anni passati, l’atteggiamento si modifica nel momento in cui si procede all’analisi delle singole Istituzioni. Si tratta infatti di una crescita che non è equamente distribuita.
Protagonista di questa inversione di tendenza è la figura del Presidente della Repubblica. L’immagine e l’operato di Napolitano spostano in alto i consensi dei cittadini interpellati che sfiorano il 70%, mentre nel 2009 il dato si era attestato intorno al 62%. Nel contempo, cala il numero di coloro che esprimono sfiducia: dal 33,6% al 29,5% del 2010.
In particolare, il Presidente Napolitano ha maggiore appeal presso gli over65 che gli accordano la propria fiducia nel 73,3% dei casi (contro il 25,4% degli sfiduciati della stessa classe d’età) e tra coloro i quali hanno tra i 45 e i 64 anni (73,7% vs 23,4%). Si tratta di un consenso diffuso che tocca comunque tutte le fasce d’età e non scende mai al di sotto del 60%. Accade così che anche la fascia intermedia dei 35-44enni mostri comunque una quota di consensi decisamente alta (66,1%), seguita da quella dei giovani tra i 25 e i 34 anni (61,5%) e dai 18-24enni (60,1%).

Governo: giudizio stabile

La situazione si capovolge nel giudizio espresso nei confronti del Governo: i fiduciosi sono soltanto il 26,7% che segnano inoltre un calo, seppur lieve, rispetto al 2009 quando erano il 27,7%.

Il dato sulla fiducia riposta dai cittadini nel Governo rappresenta comunque una costante degli ultimi anni, sia che si tratti di un governo di centro-destra sia di centro-sinistra: nel periodo che va dal 2004 al 2010, questa tendenza si è mantenuta pressoché invariata, registrando cambiamenti minimi da un anno all’altro. La quota di quanti si dichiaravano fiduciosi nei confronti del Governo erano il 33,6% nel 2004, l’anno successivo diminuivano lievemente al 32,9% per poi scendere in maniera più evidente nel 2006 (23%). Il 2007 ha segnato una ripresa al 30,7% dei consensi che segnano successivamente un andamento decrescente, ma su valori nel complesso costanti, negli ultimi tre anni.

Sul Governo, per quanto riguarda le aree geografiche fiducia e sfiducia sembrano essere uniformemente distribuite: al Nord-Est la fiducia presenta un dato più alto e raggiunge il 29,4% (6,9% molta – 22,5% abbastanza fiducia). Al contrario, il grado più basso di fiducia si registra nelle Isole, dove il 22,8% dei cittadini ha molta (3,7%) e abbastanza (19,1%) fiducia nei confronti del Governo. Il Centro con il 74,9% e le Isole con il 75,8% rappresentano le punte massime di non fiducia nei confronti del Governo.

Più di tutti gli altri, gli elettori di centro-destra (50,8%), seguiti dal 45,4% di chi dichiara di essere di destra e dal 35,1% di chi si colloca al centro ripongono la propria fiducia nel Governo. Un abbassamento del sentimento di fiducia nell’operato del Governo è condiviso invece da chi si definisce di sinistra (17,9% di fiduciosi), di centro-sinistra (16,3%) e da quelli che non si identificano con alcun schieramento politico (13,3%).

Parlamento, eppur si muove…

L’analisi effettuata per il Governo è similare a quella che è possibile evidenziare per il Parlamento che tra il 2004 e il 2010 si è mantenuto su una linea di tendenza che ha oscillato tra il 24% e il 36% dei consensi. Unica eccezione, rispetto a questo andamento, il 2008 che registrò un calo vistoso quando i cittadini che affermavano di avere abbastanza (17,5%) e molta fiducia (1,9%) nel Parlamento erano in totale il 19,4%. Nel 2010, il Parlamento raccoglie il 26,9% della fiducia discostandosi di poco, ma con segno positivo, dal 2009 (26,2%).

Nel centro-destra la fiducia nel Parlamento arriva al 43,4%, anche se gli sfiduciati rappresentano il 52,9%. A destra e nel centro gli orientamenti sono simili: le percentuali di fiduciosi fanno registrare rispettivamente il 34,8% e il 34,3%, mentre a non avere fiducia sono il 63,6% dei primi e il 64,2% dei secondi.
La situazione cambia e il livello di fiducia scende nel centro-sinistra (23,9%) e a sinistra (23,5%). Nella maggior parte dei casi, l’82%, coloro che non si collocano in nessuna area politica rivelano di non avere fiducia nel Parlamento.

La magistratura riprende quota

Tra le Istituzioni è la magistratura, insieme alla figura del Presidente della Repubblica, che quest’anno acquista nuovo credito presso l’opinione pubblica: infatti se nel 2009 la fiducia dei cittadini era al 44,4%, nel 2010 si è evidenziato un aumento di 3,4 punti che fa crescere la percentuale fino al 47,8%. Si tratta di un trend in positivo e graduale che ha riguardato in particolare gli ultimi cinque anni partendo dal dato più basso registrato nel 2006 (38,6%), il successivo miglioramento del 2007 (39,6%) e del 2008 (42,5%) fino al crescendo degli ultimi due anni.

Si può quindi affermare che dopo un calo della fiducia registrato in maniera graduale e continuativa tra il 2004 (anno in cui la magistratura riscuoteva il massimo dei consensi del periodo considerato con il 52,4%) e il 2006, il 2007 ha segnato una svolta in senso positivo per la magistratura che è proseguita fino ad oggi, sebbene essa continui comunque a non raccogliere la fiducia della maggioranza dei cittadini.

Risulta di grande interesse poi analizzare il grado di fiducia nella magistratura attraverso l’incrocio con i dati riferiti all’appartenenza politica dei cittadini, anche in considerazione del dibattito aperto sui rapporti tra potere politico e potere giudiziario nel nostro Paese.

Una minore fiducia nei confronti della magistratura viene espressa in egual misura da coloro i quali appartengono al centro-destra e alla destra che si dicono fiduciosi rispettivamente nel 35,4% dei casi e nel 35,6% dei casi e sfiduciati nel 61,4% e nel 62,1% dei casi.

Contrariamente a quello che si potrebbe ipotizzare, a dare grandemente fiducia alla magistratura è il 53% dei cittadini che si collocano politicamente al centro. Anche a sinistra (58,1%) e al centro-sinistra (58,5%), comunque, l’apprezzamento si attesta su livelli che superano abbondantemente il 50%.

Di grande interesse infine il dato di chi ritiene di non essere rappresentato da nessuno degli schieramenti politici italiani e che ripone la propria fiducia nella magistratura nel 44,7% dei casi contro il 52,2% degli sfiduciati.

La magistratura raccoglie maggiore consenso nel Nord-Est (52%) e nel Centro Italia (50,7%) con l’apprezzamento di più della metà del campione dei residenti in queste aree. Mentre al Nord-Ovest con il 47,9%, nelle Isole con il 45,6% e soprattutto al Sud (43,1%) le percentuali subiscono una diminuzione. E d’altra parte sono sempre il Sud e le Isole ad esprimere il numero più elevato di cittadini sfiduciati, rispettivamente il 54,1% e il 51,5%.

La Benemerita: un’Arma di tutti

Chiamati a rispondere sulla fiducia che accordano alle altre Istituzioni, gli italiani fanno emergere anche nell’indagine di quest’anno uno stretto legame con le Forze dell’ordine che la stragrande maggioranza dei cittadini continua ad identificare come sicuro punto di riferimento.

In particolare, il gradimento nei confronti dell’Arma dei Carabinieri, che in tutte le rilevazioni effettuate dall’Eurispes si è sempre posizionata al primo posto per numero di consensi, è aumentato di quasi 6 punti percentuali passando dal 69,6% del 2009 al 75,3% nel 2010. A seguire, la Polizia di Stato, che segna anch’essa un incremento sensibile della fiducia accordata dai cittadini: nel 2009 era il 63,3% mentre nel 2010 si attesta al 67,2% (+3,9).

Parallelamente cresce anche il dato relativo ai consensi nei confronti della Guardia di Finanza che lo scorso anno raggiungeva il 62,7% e nel 2010 guadagna oltre 4 punti arrivando al 66,9%, quasi allo stesso risultato ottenuto dalla Polizia.

Di segno contrario, invece, l’andamento dei giudizi nei riguardi della Polizia penitenziaria che evidenziano una diminuzione del consenso di quasi cinque punti percentuali. Con tutta probabilità, questo risultato è anche il frutto dei recenti fatti di cronaca (presunte violenze nei confronti dei detenuti, ecc.) che hanno contribuito ad influenzare l’opinione pubblica.

Prendendo in esame l’area politica di riferimento emerge che tra coloro che si collocano nell’area di centro vi è una maggiore propensione nell’accordare fiducia ai Carabinieri (80,6%), seguiti dal centro-destra (78,3%). Di particolare interesse appare il giudizio positivo espresso dal centro-sinistra (78,2%) e dalla sinistra (75,4%). Fiduciosi nell’Arma, in misura minore anche rispetto a chi non si riconosce in nessuna area politica (71,7%) sono coloro i quali dichiarano di essere di destra (69,7%).

Una maggiore fiducia nelle Forze dell’ordine si riscontra soprattutto tra le persone più anziane e nella fascia d’età compresa tra i 45 e i 64 anni. Accade così che gli over65 accordino fiducia all’Arma dei Carabinieri nel 79,1% dei casi, alla Polizia nel 71,3% dei casi e alla Guardia di Finanza (69,3%). Stesso discorso per coloro i quali si trovano nella classe d’età dei 45-64 anni che esprimono il proprio gradimento soprattutto nei confronti dell’Arma (79,8%); segue il gradimento nei confronti della Polizia (68,3%) e nei confronti della Guardia di Finanza (66,5%).

Le altre Istituzioni

Per dare un quadro ancora più esaustivo, si è voluto sondare insieme al grado di fiducia accordato alle Istituzioni politiche e alle Forze dell’ordine, anche quello relativo a quelle altre Istituzioni che rappresentano un punto di riferimento sociale, economico e religioso.

Rispetto al 2009, quest’anno si delinea un miglioramento per quasi tutte le Istituzioni prese in esame, con eccezione della scuola e dei partiti, che continuano a segnare una leggera flessione (rispettivamente, -1,9 e -0,7 punti percentuali).

Le associazioni di volontariato invece incrementano ancora il grado di consenso (+10,8%) con addirittura l’82,1% dei fiduciosi nel 2010.

Segnali più che positivi anche per la Chiesa: il 47,3% degli italiani ha infatti affermato di riporvi abbastanza o molta fiducia. Si tratta di una ripresa rispetto alla crisi di consensi, che avevamo segnalato nelle scorse edizioni del Rapporto. Rispetto allo scorso anno infatti il dato segna 8,5 punti in più e si riassesta sui valori del 2008. Più in particolare, circa un terzo (27,8%) degli intervistati vicini al centro-sinistra sostiene di avere abbastanza fiducia nella Chiesa, mentre solo il 12,9% di chi si dichiara di destra ripone la massima fiducia, percentuale quasi identica per gli intervistati dello schieramento politico opposto (12,3%).

Le altre Confessioni religiose godono di relativa fiducia (23%) e ciò è probabilmente dovuto alla scarsa conoscenza e alla limitata presenza di altre confessioni oltre a quella cattolica sul territorio italiano e all’associazione, nell’immaginario collettivo tra il termine “altre religioni” e la religione islamica con il conseguente accostamento improprio ed ingiusto al terrorismo internazionale, oltreché ai problemi connessi con l’immigrazione.
Degno di nota è anche l’aumento di fiducia riscosso dalle associazioni delle imprenditori (+14,7%).

La Pubblica amministrazione segna un interessante miglioramento di fiducia (+3,7%). Segno evidente che gli sforzi compiuti in direzione di una maggiore trasparenza, una migliore organizzazione e di una diversa qualità dei rapporti con il cittadino sta producendo risultati positivi. Ma il tasso di sfiducia resta ancora altissimo (73,8%).

Inoltre, il 45,5% dei cittadini ha affermato di non nutrire alcuna fiducia nei confronti dei partiti. Tassi così alti di sfiducia vengono segnalati solo nei confronti dei sindacati (35,8%) e dalle altre confessioni religiose (35,9%) (tabella 20).

Circa un terzo del campione si è detto invece abbastanza fiducioso nei confronti della Chiesa e più della metà nei confronti delle associazioni di volontariato, testimoniando di fatto una sostanziale disistima nei confronti degli ambienti legati al sistema di potere e una maggiore attenzione verso le organizzazioni ispirate da etiche e valori condivisi.

Su un altro fronte i partiti e i sindacati dimostrano ancora una loro grande difficoltà a recuperare il rapporto con il tessuto sociale: quasi l’88% (nessuna fiducia, 45,5% e poca fiducia, 42,4%) e il 76,7% (nessuna fiducia, 35,8% e poca fiducia, 40,9%) degli italiani hanno dichiarato di non nutrire fiducia verso queste due istituzioni.

Come accennato, la scuola è una delle due istituzioni che continua a perdere fiducia da parte degli italiani e in particolare da parte delle fasce giovanili: il 52,7% di quanti hanno con un’età compresa tra i 18 e i 24 anni ha dichiarato di avere poca fiducia nei confronti dei soggetti a cui è deputata la formazione scolastica e il 10,1% non ha alcuna fiducia. Nonostante le riforme e l’attenzione dedicate dal Ministro dell’Istruzione Gelmini, la percentuale di poca fiducia verso la scuola si raccoglie in maniera maggiore tra gli intervistati vicini al centro-destra e alla destra (50,3% e 43,2%).

I sindacati perdono colpi a sinistra

Rispetto agli schieramenti politici, le organizzazioni sindacali segnalano un perdita del consenso soprattutto da parte di chi si dichiara di sinistra e di centro-sinistra. Il 43,8% dei primi ha asserito di essere poco fiducioso (dato molto vicino alla percentuale degli intervistati di centro-destra) e quasi il 30% dei secondi di non esserlo per nulla.

Partiti e distanti

La completa mancanza di fiducia nei confronti dei partiti è espressa in maniera quasi uniforme in tutte le aree geografiche del Paese con le punte del Centro (49,3%) e delle Isole (52,9%). Se si sommano le percentuali di coloro che non hanno nessuna fiducia e di coloro che ne hanno poca il picco della sfiducia si concentra ancora una volta nel Centro con il 91,5%, seguito dal Sud con l’87,6%, dal Nord-Est con l’87,5% e dal Nord-Ovest con l’87,2%. Le Isole con il loro 85,3% non producono nessun conforto ad una situazione che appare gravemente compromessa.

La fiducia espressa dagli italiani nei confronti dei partiti politici è molto bassa a prescindere dalla loro area politica di appartenenza. In ciascuna di queste infatti il numero di chi dichiara di non avere “nessuna fiducia” e di chi comunque sostiene di riversarvene “poca”, supera (in totale) l’80%.

Nonostante ciò, confrontando i dati registrati con quelli dello scorso anno, la fiducia nei partiti, nel corso del 2009, pare essere aumentata di circa il 5%. Rispetto all’anno precedente, infatti, in ogni area politica di appartenenza si registra una riduzione percentuale del numero di chi dichiara di non avere “nessuna fiducia”, compensata da un proporzionale aumento di chi dichiara al contrario di averne “abbastanza”.

La Chiesa al primo posto insieme al volontariato

La Chiesa sembra aver superato la fase di stallo che aveva caratterizzato i recenti anni passati e la fiducia degli italiani nei suoi confronti segnala un sensibile incremento. Sembra ormai essersi esaurito l’effetto Wojtyla, la cui morte aveva provocato un forte senso di disorientamento tra i fedeli e che i primi anni del nuovo pontificato non erano evidentemente riusciti a colmare. Via via che il pontificato di Papa Benedetto XVI procede, il suo messaggio riesce a penetrare nell’immaginario collettivo anche per la sua fermezza, lucidità e chiarezza. Molto apprezzate sembrano essere le posizioni assunte recentemente sul ruolo e sulle responsabilità della Chiesa anche di fronte a temi e a questioni dolorosamente aperte dalla cronaca.

La fiducia nella Chiesa ha un riscontro differente in ogni singola area politica: se a sinistra è il 37% a non avere “nessuna fiducia” in questa istituzione, nel centro e a destra tale percentuale si abbassa notevolmente. registrando rispettivamente solo un 14,9 % e un 17,4%.

È comunque nelle aree politiche di centro e di centro-destra che si registra la maggiore fiducia: il totale di chi dichiara di averne “abbastanza” e “molta ” è rispettivamente il 61,9% e il 58,2%, rispetto al 46,2% della destra e al 40,1% della sinistra.

Magistrati: meglio separati

Solo il 36% dei cittadini condivide e approva l’attuale sistema ordinamentale che accomuna indistintamente i magistrati dell’accusa, quelli che devono esercitare una funzione di controllo sull’operato dei primi nel corso delle indagini e coloro che invece attraverso il processo dovranno giudicare. Il 57,8% non condivide tale sistema e solo il 6,2% non esprime un’opinione a riguardo.

I più favorevoli all’attuale sistema si concentrano nell’area della sinistra (53%) che però registra anche un sostanzioso 41,6% di contrari. Nel centro-sinistra, forse anche a sorpresa, i contrari superano i favorevoli; 51,2% contro il 41,7%. Gli elettori di centro esprimono per il 63,3% un parere negativo mentre nell’area di centro-destra quasi i tre quarti degli intervistati (71,7%) è contrario. Percentuale che lievita ulteriormente nell’area di destra sino ad arrivare al 75,9%.

Tra coloro (36%) che condividono l’attuale sistema ordinamentale, più della metà (53,7%) afferma di avere fiducia nella capacità e nella indipendenza di giudizio dei magistrati italiani. Il 25,9%, cioè un italiano su quattro, è preoccupato della possibilità di separare le carriere poiché intravede il pericolo che il ruolo dell’accusa possa indebolirsi. Il 19% invece è convinto della bontà del nostro modello organizzativo e ritiene che i sistemi politici con carriere separate offrano minori garanzie di indipendenza ed affidabilità.

La fiducia massima nella capacità e nella indipendenza di giudizio dei magistrati viene espressa dagli intervistati di centro con il 65% seguita da quelli di centro-sinistra con il 57%, da quelli di sinistra con il 54,8%, da coloro che non si riconoscono in nessuna area politica con il 50%, dagli intervistati che si dichiarano di centro-destra con il 47,5% e da quelli di destra con il 40%.

I più timorosi che la separazione delle carriere possa indebolire il ruolo dell’accusa sono nella destra con il 36%, nel centro-destra con il 35%, seguono la sinistra con il 27,4%, coloro che non si identificano in nessuna area politica con il 25%, il centro-sinistra con il 20,9% e il centro con il 20%.
Pare, dunque, che i più preoccupati sul possibile indebolimento dell’accusa siano coloro che si collocano nel centro-destra e nella destra. Segno evidente che il tema della giustizia è fortemente sentito anche in quella parte dell’elettorato che secondo la vulgata comune dovrebbe avere un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei pubblici ministeri. Una attenzione al tema che supera abbondantemente quella espressa dal centro-sinistra, area politica nella quale più forte si manifesta la solidarietà e la vicinanza nei confronti dei magistrati.

Diverse le posizioni del 57,8% che ha espresso la propria contrarietà nei confronti dell’attuale organizzazione del sistema giudiziario: il 28,3% di questi è convinto che il sistema attuale pregiudichi l’imparzialità stessa dei magistrati. Il 18,9% è convinto invece che questo sistema non consenta la necessaria parità nel corso del procedimento penale tra accusa e difesa ma è sul raffronto con le altre esperienze, specialmente quelle dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, che si concentra l’attenzione degli intervistati che esprimono la convinzione per il 51,5% dei casi che quei sistemi offrano maggiori garanzie di indipendenza ed affidabilità.

Magistrati: tra imparzialità e politicizzazione

La maggioranza dei cittadini (49%) ha abbastanza (39,1%) o molta (9,9%) fiducia nell’imparzialità dei magistrati. Di poco inferiore la quota percentuale dei non fiduciosi che nel 48,1% dei casi esprimono una completa sfiducia (poca nel 36,7%, nessuna nell’11,4%).

A sinistra dichiara di avere poca o nessuna fiducia il 32,1% mentre il 66,7% esprime abbastanza (50%) e molta fiducia (16,7%). Nel centro-sinistra la sfiducia cresce al 37,1% e la fiducia si abbassa al 60,2%. Nel centro esprime poca o nessuna fiducia il 47% degli intervistati e i fiduciosi calano al 50,7%. Nel centro-destra esprime sfiducia il 60,9% degli intervistati e solo il 35,4% ha abbastanza o molta fiducia. Nell’area di destra la percentuale di coloro che manifestano sfiducia sale al 66,7% e solo il 30,3% mostra di avere abbastanza (25,8%) o molta fiducia (4,5%). Anche tra coloro che dichiarano di non riconoscersi in nessuno degli schieramenti che il panorama politico offre, la percentuale dei non fiduciosi supera di qualche decimale il 50% (50,3%).

Tra coloro che hanno espresso fiducia nell’imparzialità dei magistrati il 53,7% riconosce loro capacità di giudizio e confida nella loro indipendenza. Il rischio che la separazione delle carriere possa indebolire il ruolo dell’accusa è segnalato e condiviso dal 25,9%, mentre la convinzione che la separazione delle carriere dei magistrati possa comportare minori garanzie di indipendenza e di affidabilità è condiviso dal 19% del campione.

Uno dei temi al centro del dibattito pubblico è rappresentato dalla presunta politicizzazione dei magistrati italiani che vengono spesso di essere guidati nella loro azione da pregiudizi di carattere politico o ideologico.

Gli intervistati al riguardo sembrano avere le idee molto precise. Il 20,2% è convinto che i magistrati non siano condizionati dalle loro idee politiche. Il 53,5% è convinto che le idee politiche delle quali sono portatori condizionino solo una parte dei magistrati, quella parte definita comunemente “politicizzata”. Il 20,7% è invece convinto che tutti i magistrati siano fortemente condizionati dalla loro appartenenza politica o ideologica.

L’altra questione al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica è quella della durata dei processi sulla quale Governo e Parlamento sono impegnati. Su questo tema gli italiani sono quasi per la totalità d’accordo; infatti, il 96,3% giudica i processi troppo lunghi. Solo il 3,7% invece è convinto del contrario.

Il 55,5%, cioè la maggioranza, è convinto che siano troppi i passaggi burocratici che accompagnano i procedimenti mentre il 21,1% attribuisce al Governo, che non assicura i mezzi e le risorse necessarie, il cattivo funzionamento della macchina della giustizia. Solo un’esigua minoranza, l’8,8% del campione, attribuisce una qualche responsabilità agli avvocati della difesa che avrebbero, in linea teorica, interesse a prolungarne la durata mentre solo l’8,1% degli intervistati attribuisce la responsabilità ai magistrati accusati spesso di avere una scarsa predisposizione al lavoro.

Complici i mezzi di comunicazione di massa che spesso imbastiscono veri e propri processi mediatici assolvendo o condannando indipendentemente dallo svolgersi reale delle vicende, si è progressivamente affermata la prassi che vorrebbe che siano gli imputati di turno a dover dimostrare la propria innocenza. Gli italiani non sembrano avere dubbi: il 73,6% dichiara che deve essere il magistrato a dover dimostrare la colpevolezza dell’accusato e non questi la sua innocenza. Solo il 20,8% invece ritiene che debba essere l’accusato a dover dimostrare la propria innocenza.

La politica del conflitto

Il dibattito politico nel nostro Paese ormai da diversi anni è caratterizzato da una forte contrapposizione tra i due schieramenti principali. Questo scontro continuo e l’incapacità di trovare punti di intesa, quando necessario per il bene della collettività, contribuiscono ad affermare l’immagine di una politica inadeguata e distante dagli interessi veri dei cittadini.

Quanto detto appare confermato in pieno dalle risposte fornite alla domanda relativa al giudizio sul confronto tra le forze politiche: il 45,5% dei cittadini, quindi quasi la metà, ritiene che all’origine di questo scontro infinito vi siano l’inadeguatezza e l’impreparazione degli esponenti politici, il 24,8% la ritiene una vera e propria patologia in grado di provocare gravi danni alla democrazia stessa. Solo il 9,5% ritiene che questo scontro debba considerarsi il normale risultato del confronto politico ed il 6,7% lo giudica il prodotto naturale della democrazia. Mentre per l’8,5% alla base vi sarebbe un conflitto sociale sottovalutato.

Complessivamente l’85,3% dei cittadini condivide molto (56,1%) e abbastanza (29,2%) l’idea secondo cui i partiti dovrebbero cercare di raggiungere il massimo di concordia possibile per il bene del Paese.

L’opinione secondo cui la diversità di opinioni debba manifestarsi in ogni forma possibile divide a metà il campione: il 49,6% manifesta un chiaro dissenso (per niente 29,3%, poco 20,3%) mentre complessivamente il 43,6% si dichiara favorevole (abbastanza 28,2%, molto 15,4%).
Tuttavia, la larga maggioranza dei cittadini, l’88,8%, si dice abbastanza (23,1%) e molto (65,7%) convinto del fatto che occorra un rispetto comune per le regole della politica.

Un altro tema che ha caratterizzato la recente vicenda politica è quello della riforma della legge elettorale che ha abolito il sistema delle preferenze. L’accusa che viene rivolta al nuovo sistema elettorale è da una parte di aver privato i cittadini della possibilità di scegliere direttamente il candidato per il quale votare e dall’altra di aver dato vita ad un sistema nel quale il Parlamento è di fatto nominato dai leader dei partiti.

Anche su questo fronte la risposta degli italiani è corale: l’83,1% è favorevole alle reintroduzione delle preferenze, solo un modesto 9,6% è contrario, mentre il 7,3% non si sente in grado di prendere posizioni.

I favorevoli sono in maggioranza ed equamente distribuiti in tutte le aree politiche di appartenenza: l’85,8% dei cittadini di centro, l’85% di quelli di centro-sinistra e l’84,6% della sinistra. A destra vorrebbero ritornare al sistema delle preferenze l’84,1% degli elettori, della stessa opinione l’80% circa di quelli di centro-destra. La pensa allo stesso modo l’82% di quanti non si riconoscono in nessuna area politica.

Roma, 25 gennaio 2010

Download Rapporto Italia 2010 in versione integrale.