17:05 – 22/09/11 – Per ricostruire l'Italia si ricominci dalla Scuola…

Scuola Italiana
Scuola Italiana

Nuovo anno scolastico e va peggio di prima. Di nuovo aule sporche e insicure, aule ancora più affollate, tagli di bilancio che continuano ad infierire e che rendono difficile il sereno svolgimento delle attività scolastiche.

L'Italia investe poco sull'istruzione, è una constatazione confermata da tutte le rilevazioni statistiche. Il nostro Paese riserva alla scuola il 4,8% del Pil, mentre in media i paesi Ocse le garantiscono il 6,1%. I numeri mostrano un gap tra l'Italia e gli altri Paesi europei, non c'è niente da fare.

Il primo effetto di questo disinvestimento sulla scuola è il fenomeno della dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile. Infatti, secondo l'ISFOL sono quasi 120mila i dispersi tra i 14 e i 17 anni, il 5% il che significa che 117.429 ragazzi in questa fascia d'età abbandonano gli studi. Questi ragazzi fuoriescono da qualsiasi percorso formativo, con un forte divario tra Nord e Sud: oltre 71mila risiedono al sud e nelle isole, mentre al Nord, le percentuali sono del 4,5% nel nord ovest e dell'1,7% nel nord est.

La disoccupazione giovanile è in crescita: mai così tanto dal 2004. Lo rileva l'Istat nel primo trimestre di quest'anno, secondo cui il tasso di disoccupati degli italiani tra i 15 e i 24 anni è aumentato al 28,6. C'è un legame (ovvio) fra efficacia dei percorsi formativi e occupazione. Tanta manodopera priva di formazione non può competere, in tempi di globalizzazione, con economie emergenti che, tra l'altro, stanno creando un sistema di istruzione in grado di preparare giovani qualificati in numero tale da rifornire di tecnici e ingegneri anche parte dei paesi occidentali.

E, invece, la scuola ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo al risanamento dei conti pubblici e questo ben prima dell'ultima manovra e cioè a partire dalla legge 133 del luglio 2008. Anche se è sempre stato dichiarato dal Ministero dell'Istruzione che non si sarebbe avviata una riforma del sistema scolastico ma solo una sua razionalizzazione, nei fatti i cambiamenti che si registrano hanno avuto un effetto pari e superiore all'avvento di una riforma.

Tanti sono i punti dolenti causati dalla politica del governo. L'istituzione del maestro prevalente per la scuola primaria; il conseguente taglio di migliaia di posti di insegnanti e di personale ATA, con ripercussioni sul tempo pieno e sull'inserimento dei disabili; l'innalzamento progressivo del numero di alunni per aula fino all'esplosione del fenomeno delle classi scatola di sardine (circa 2.200 aule, con 66.000 studenti nel 2011); il ristabilimento dei voti al posto dei giudizi e del voto in condotta che incide sulla valutazione; la proposta di reinserimento dell'ora di educazione civica e dei grembiulini scolastici, poi, nei fatti, ritirate; la percentuale del 30% di alunni stranieri rispetto a quelli italiani; la riforma della scuola secondaria di II grado; il blocco degli scatti di anzianità per il personale. E, tra i più recenti: l'innalzamento del limite minimo di dimensione degli istituti comprensivi ad almeno 1.000 alunni (500 per quelli delle piccole isole, dei comuni montani); l'esclusione dei Dirigenti scolastici nelle istituzioni scolastiche con meno di 500 alunni (300 nelle piccole isole, nelle comunità montane, ecc.) con affidamento a reggenti; la riduzione del numero di Dirigenti scolastici; l'immissione in ruolo di 30.000 docenti precari e di personale ATA; la riduzione di fondi all'autonomia scolastica (da 127 milioni del 2010 a 79 milioni del 2011) che significa, tra l'altro, sforbiciate su tutte quelle attività previste dal Piano di Offerta Formativa e tanto amate dagli studenti (gite scolastiche, lingue straniere, corsi, ecc.). Il mancato rifinanziamento della legge ordinaria dell'edilizia scolastica, lo stanziamento di fondi straordinari (Fondi FAS, 1 miliardo di euro), con criteri e modalità di assegnazione discutibili e ancora in fase di implementazione per poco meno della metà; il mancato avvio della materia Cittadinanza e Costituzione. Tutto ciò rende la scuola più fragile e meno credibile.

Che la scuola per troppo tempo sia stata considerata alla stregua di un ammortizzatore sociale, che sia necessario apportare razionalizzazioni, per es. alla rete scolastica, che sia urgente eliminare fonti di spreco ed eccessivi squilibri, che sia indispensabile rivederne il sistema di governance: tutto ciò corrisponde al vero ma non giustifica un'operazione geometrico-quantitativa, come quella realizzata da tre anni a questa parte, che non è stata in grado di avviare alcuna politica legata al merito, non è stata in grado di elevare la qualità dell'istruzione e, tanto meno, di avviare una politica di investimento e di sviluppo.

Se la crisi in atto è anche e, forse, soprattutto crisi di un sistema di governo che ha puntato in maniera scellerata sull'egoismo e sull'individualismo esibendo, peraltro, esempi riprovevoli di comportamenti distruttivi di un'etica pubblica minima basata sul rispetto delle istituzioni, sulla cura degli interessi generali e sulla legalità, allora è incontestabile che il ruolo formativo della scuola torna ad essere un asset strategico per l'Italia.

Bisogna sperare che una nuova classe dirigente lo assuma come uno dei suoi impegni principali.

Adriana Bizzarri, Responsabile Scuola di Cittadinanza Attiva

Fonte www.civicolab.it

16:51 – 08/08/11 – Storia di un'Insegnante di Italiano in Germania…

Sabrina Ceraso è dovuta partire dalla Calabria per mancanza di lavoro ed ha avuto l'opportunità di insegnare italiano in Germania dove ha anche imparato molto sugli emigranti di prima, seconda e terza generazione.

Ecco la sua storia.

Il telefono squillò a lungo, ero in un'altra stanza avevo appena finito di chiacchierare con mia sorella, nella mia testa pensai probabilmente Alessandra si è dimenticata di dirmi qualcosa, invece fu una telefonata di quelle che ti cambiano la vita.

L'emozione mi lasciò senza parole. Con voce chiara si presentò il Dirigente del Consolato di Friburgo, alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri, mi contattava per una cattedra di italiano nella scuola primaria di Konstanz, città a sud della Germania al confine con la Svizzera. Un solo giorno per decidere, un'infinità di dubbi, un'occasione da prendere al volo.

La decisione all'apparenza poteva sembrare una forma di evasione dal sistema scolastico italiano, una scelta scaturita da aspettative deluse per via di manovre politiche per certi versi inaccettabili.

A causa dei bruschi tagli economici, non ero riuscita ad ottenere neanche uno stralcio di supplenza. Nonostante gli anni di servizio ero rimasta senza lavoro, una realtà tipicamente italiana che rende tutti noi, giovani insegnanti, precari nel mondo della scuola, ancora di più oggi senza abilitazione bisogna arrangiarsi!.

Eppure il motivo di questa scelta va al di là del legittimo desiderio di dare una svolta al mio lavoro; per me quest'esperienza ha rappresentato qualcosa di molto più profondo, un'opportunità come poche di mettersi in gioco unendo tutte le energie per sfidare se stessi.

Si trattava di avere la fortuna di poter rappresentare la nostra nazione, di far conoscere la nostra cultura, la nostra lingua, di approfondire le mie conoscenze linguistiche, di arricchirmi ogni giorno di esperienze nuove stando a contatto con persone diverse, dalle quali avrei imparato tanto.

In effetti, ho avuto la possibilità di osservare con i miei occhi posti differenti, scontrarmi con mentalità opposte alla mia, toccare con mano una realtà così lontana dall'Italia e dalla Calabria.

Sono giunta alla consapevolezza dell'immenso valore dell'emigrazione italiana in Germania, apprezzo gli enormi sacrifici di tutti coloro che con tanta amarezza hanno lasciato il loro paese adattandosi alla durezza e alla rigidità teutonica.

Ho capito inoltre, quanto l'Italia sia unica nel mondo nonostante i suoi difetti e l'idea di paese ricco e felice che ne hanno all'estero.

Intraprendere questo viaggio per me è stato come seguire una legge interiore, un qualcosa che ti infonde gioia per quello che fai, che ti rende felice ad ogni sguardo di un papà fiero delle parole d'italiano che il figlio pronuncia. Ti senti artefice di un piccolo miracolo della memoria.

Per non parlare poi, del sorriso di ogni bambino che ti racconta dell'Italia, delle vacanze al mare, delle storie narrate dai nonni, del desiderio di una vera pizza italiana.

Durante le lezioni gli sguardi assorti dei miei alunni erano rivolti con curiosità alle immagini delle nostre più belle città italiane: Roma, Firenze, Venezia, Palermo. Leggevo nei loro occhi il desiderio di conoscerne la storia, esprimevano chiaramente la voglia di entrare in contatto con l'arte, la musica, la letteratura italiana.

Conservo molti ricordi che rivedo davanti i miei occhi, sul fermo immagine riesco a scorgere profondi momenti di solitudine, la lontananza dagli affetti e dal proprio paese. Un enorme vuoto interiore che condividi e colmi attraverso le persone che incontri, attraverso le loro esperienze che diventano le tue.

Il giorno della partenza lo ricordo ancora, mi trovavo a Roma in aeroporto, quando incontrai il primo angelo che mi aiutò in questa mia avventura.

Il signor Lettera, ricordo il suo nome anche se non l'ho più rivisto. Mi fece compagnia per tutto il viaggio, mi raccontò della prima volta in cui da ragazzo per lavoro aveva scelto di lasciare il suo paesino in Abruzzo per raggiungere la Svizzera. Una storia di emigrazione come tante, ma che in periodo di crisi era divenuta ancora più triste.

Il signor Lettera padre di famiglia, con grande dignità mi confessò, di essere stato mandato in mobilità dall'azienda per la quale aveva lavorato per più di venti anni. Approfittando della scomoda situazione aveva deciso di scendere per qualche giorno in Italia per far visita ai suoi genitori.

Molto gentilmente si offrì di accompagnarmi alla stazione tedesca di Basilea, perché in territorio Svizzero sono presenti due linee ferroviarie rispettivamente quella tedesca la Badischer Bahnhof e quella svizzera Bahnhof SBB.

Io avrei dovuto prendere il treno nella stazione tedesca, in questo modo sarei arrivata direttamente nella città di Konstanz. Venne a prenderci la moglie, una distinta signora svizzera, mi guardò all'inizio con diffidenza, poi chiacchierando si dimostrò gentile e disponibile. Aspettarono con me fino all'arrivo del treno, ci scambiammo i numeri di telefono, promisi di avvisarli del mio arrivo a Konstanz. Dopo quella telefonata non ho più avuto loro notizie.

Sul treno si sedette accanto a me un ragazzo che dall'aspetto sembrava italiano, mi disse di parlare solo spagnolo, io purtroppo conosco soltanto poche parole, così cercai di fargli capire quella che era la mia richiesta e lui promise di aiutarmi dicendomi, che alla stazione di Konstanz sarebbe venuta a prenderlo la sua fidanzata e lei mi avrebbe indicato la fermata dell'autobus per raggiungere l'ostello in cui avrei alloggiato fino a quando non avrei trovato una stanza per la mia permanenza.

Riuscii a prendere l'autobus, quando scesi alla fermata pioveva a dirotto. Un signore mi mostrò l'ostello sulla riva del lago. Era un vecchio faro tutto illuminato con all'interno una gran confusione: scolaresche, giovani provenienti da svariate regioni della Germania, studenti universitari, uomini d'affari, donne anziane che avevano deciso di girare il lago in bicicletta.

Ero divertita da quell' atmosfera, ero l'unica italiana, dividevo la stanza con altre tre ragazze tedesche, osservavo i loro modi strani di mangiare, i loro sguardi inespressivi, facevo finta di leggere un libro, ma in realtà ero curiosa di ascoltare i loro discorsi.

La mattina seguente mi recai in centro città, in un negozio di telefonia. Con una Sim card tedesca telefonai al Consolato per informare del mio arrivo.

Parlai con il Dirigente, che con tono deciso mi disse: Bene Frau Ceraso, oggi alle due si terrà il primo collegio docenti, chiami la sua collega e si organizzi per venire a Friburgo. Mi dettò il numero della Sign.ra RosaMarina un nome un po' buffo dalle nostre parti, fortunatamente riuscii a contattarla.

Con un marcato accento veneto, mi diede un appuntamento e intorno alle undici partimmo in macchina, in compagnia di un'altra collega di nome Eva.

Attraversammo tutta la foresta nera, per interi chilometri vidi solo alberi, un paesaggio surreale. Iniziai ad immaginare i boschi di Hänsel e Gretel che avevo fantasticato da bambina, quei luoghi così verdi, ma allo stesso tempo così solitari, mi avevano trasmesso un senso di malinconia. Per fortuna arrivammo abbastanza puntuali in città, il tempo di un caffé e raggiungemmo la sede del Consolato.

Fu un'emozione indescrivibile, il momento in cui per la prima volta varcai la soglia di quell'enorme portone blindato, in alto si leggeva la scritta Consolato d'Italia, ricordo un'accoglienza squisita da farmi sentire come a casa (intendo in Italia ovviamente), i colleghi erano un po' sorpresi di vedere una ragazza forse dall'aspetto troppo giovane per il carico di lavoro che si prospettava. Mi raccomandarono di tenere duro, mi garantirono il loro sostegno in caso di necessità.

Alla fine del collegio, il Dirigente mi strinse la mano augurandomi un grande in bocca al lupo. Avevo firmato un contratto per il MAE, confessai a me stessa e al Dirigente a bassa voce, che in quell'istante si era appena realizzato un sogno.

Il giorno seguente impegnai tutto il mio tempo alla ricerca di un alloggio temporaneo. Non potendo restare all'ostello mi recai all'università. Strappai dalla bacheca alcuni bigliettini con i numeri di telefono di studenti che offrivano un alloggio, ne contattai qualcuno, ma per ottenere un appuntamento bisognava aspettare un'intera settimana.
A quel punto andai in centro per comprare il giornale e dare uno sguardo agli annunci. Non trovai niente di interessante, il tempo stringeva e l'indomani avrei dovuto lasciare l'ostello.

Le prime ombre del buio si addensavano sulla città, dai finestrini dell'autobus il mio sguardo fu attratto per un istante da un enorme insegna rossa, Pizzeria romana.

L'autobus si fermò un po' più avanti della pizzeria, scesi e percorsi la strada tornando indietro.

Mi fermai davanti la porta del ristorante, feci un gran respiro e con una buona dose di coraggio entrai. Silenzio, la pizzeria era vuota, mi salutò una cameriera alla quale chiesi se era possibile poter parlare con il proprietario.
Molto gentilmente andò a chiamarlo, uscì un ragazzo dalla porta della cucina, mi presentai con voce tremante e lui rispose: Fontana!.

Gli domandai se parlava italiano, rispose: No! mi dispiace, ma capisco italiano, mia moglie è italiana.

Scoprii in seguito che la moglie aveva origini Calabresi, sua mamma era nata a Catanzaro, una città che paradossalmente oggi vive l'esperienza speculare dell'immigrazione.

Nel frattempo cercavo di osservarlo per capire se potevo fidarmi e a quel punto chiesi: Ha per caso una stanza per me?
Sto cercando un alloggio
.
Lui mi guardò dalla testa ai piedi mi fece alcune domande e poi disse: Si! è al piano di sopra, se vuole gliela faccio vedere.

Salimmo dal retro del locale era un piccolo appartamento che avrei dovuto dividere con due ragazzi Kurdi. Decisi di accettare, la stanza era vuota ma pulita, a volte quando rivedo quell'immagine nella mia mente, non posso che pensare a quanto sia stato faticoso, soprattutto per i primi emigranti arrangiarsi in alloggi di fortuna è così difficile cominciare, ma Cesare Pavese ci insegna che è bello vivere perché vivere è cominciare, sempre in ogni istante.

In realtà, forse è da quello spazio vuoto che decisi di riempire, che ha avuto inizio la mia esperienza in Germania.
Serwar, il ragazzo Kurdo che si era affacciato dalla sua stanza, incuriosito della presenza di una giovane italiana, si offrì di cedermi il suo materasso, lui avrebbe dormito sul tappeto, mi spiegò che in Kurdistan rientra nella loro cultura. Quel gesto non lo dimenticherò mai, un giovane ragazzo della mia età appena conosciuto, proveniente dal lontano Oriente, un paese sicuramente non fortunato come il mio nella difficoltà mi aveva offerto tutto quello che poteva offrirmi in quel momento.

Ringraziai della disponibilità, risposi di non preoccuparsi, perchè sarei ritornata non appena il Signor Fontana avrebbe trovato un letto anche per me. Tornai in ostello per l'ultima notte e il mattino seguente traslocai in quella che fu la mia casa in Germania, mi piace definirla con questa espressione, perché mi sono sentita veramente accolta fin dal primo giorno.

Mi mancano tanto i miei amici Jusef e Serwar, mi aspettavano impazienti la sera dalla finestra, la cena pronta sul tavolo, il posto apparecchiato anche per me, contenti di farmi assaggiare i loro tipici piatti Kurdi, provavo grande tenerezza nei loro confronti, quella tristezza che spesso leggevo nei loro occhi, mi lasciava senza parole era come se la povertà del loro paese di origine continuasse a vivere dentro di loro.

Dentro di me, seppur consapevole che avrei potuto trovare una casa più comoda, non ho mai avuto il coraggio di abbandonare quella che è stata la mia seconda famiglia, era bello sentire il calore del focolare domestico in quella fredda atmosfera tedesca.

Quando i miei due amici invitavano anche i loro amici di altre nazionalità, mi sentivo avvolta in un universo senza confini, un magico incontro di culture, persone e mondi, così distanti ma così vicini.

Non dimenticherò mai il giorno della mia partenza, sentivo Serwer scappare continuamente in bagno. La sera prima era uscito con due suoi amici tedeschi e avevano bevuto, quando mi recai in cucina per salutalo era seduto su una sedia con la testa poggiata sul tavolo, lo guardai e gli dissi che lui non poteva imitare i ragazzi tedeschi, perché lui apparteneva ad un altro mondo.

Serwer mi abbracciò forte e guardandomi con occhi gonfi di lacrime, rispose queste parole: Beata te, tu sei Italiana, tu puoi tornare in Italia, io non potrò mai tornare al mio paese.

Alcune frasi le capisci solo con il tempo, quando ripensando ai tuoi vissuti, comprendi che la nostalgia, che si vive durante lunghi periodi di permanenza lontano dalla tua terra, non è solo dell'emigrante che ha costruito una rete di relazioni e di identità nel nuovo mondo, la nostalgia riguarda luoghi mai visti e radici negate.

L'esperienza d'insegnamento nella scuola tedesca non è stata facile, il sistema scolastico in Germania è molto selettivo per non definirlo classista, questo aspetto, infatti, rende estremamente difficile la promozione sociale di chi parte da condizioni culturali svantaggiate, e in molti casi a scuola i figli delle famiglie italiane hanno molte difficoltà.
Spesso, perché non parlano o non capiscono il tedesco, o perché parlano un tedesco dialettale e sgrammaticato, così finiscono per essere confinati nelle scuole che non danno accesso all'università.

Dalla mia esperienza ho percepito la sensazione di precarietà degli alunni italiani dovuta ad un'integrazione forse non avvenuta completamente pur essendo molti degli alunni cittadini tedeschi a pieno titolo. In diverse classi, ho avuto la sensazione che per alcuni, l'insegnamento della lingua italiana è percepito in maniera sbagliata, come se rappresenti solo un obbligo imposto dai genitori.

Mi è capitato di assistere a dialoghi in classe tra fratello e sorella che si esprimevano in tedesco, come se, oltre alla mancanza d'interesse esistesse un muro, un rifiuto che forse nasce da un bisogno di farsi accettare dagli altri ragazzi tedeschi.

Per questi ragazzi, figli di italiani, sentirsi integrati a tutti gli effetti all'interno della scuola tedesca spesso, vuol dire annullare la propria identità, vuol dire recidere i legami con le loro origini.

Un problema serio, che ho cercato di risolvere coinvolgendo i genitori, affinché con il loro aiuto in qualche modo, riuscissi ad aprire un dialogo tra padri e figli, alla luce di un rapporto più adulto ed evoluto.

Ho cercato di insegnare ai bambini, di smettere di pensare in categorie rigide ed impermeabili, di non curarsi dei pregiudizi, ma di sentirsi persone come gli altri, alle quali anzi è stato affidato un compito importante conservare il patrimonio culturale e linguistico del loro paese di origine.

Con questa visione ho spiegato come la lingua madre meglio consente di apprendere la lingua straniera, perchè costituisce la pietra miliare della propria identità etnica, e soprattutto oggi nello scenario attuale nell'ambito dell'Unione Europea, sarà per loro utile in futuro.

Ognuno di noi è una somma di identità, non ci esauriamo in una sola appartenenza: siamo spugne, pronte ad acquisire radici nuove che si intrecciano alle radici vecchie.

Tutti, consapevoli o meno, ci costruiamo nell'arco della vita un'identità. Essa, trae origine dal luogo o dai luoghi in cui si è vissuti, dalla fanciullezza, dalla famiglia, dall'educazione, dai maestri, dai compagni, dagli amici, dalle consuetudini, dalla lingua che si parla, dall'ambiente della scuola, del lavoro e dello svago, dai rapporti sociali, dal grado di integrazione con gli altri.

L'identità, si costruisce giorno per giorno e crea in ciascuno una mappa di persone e di luoghi, di rapporti con l'ambiente esterno, che indirizzano la propria vita e ne condizionano i comportamenti. L'identità è un'ancora, una boa, un riferimento indispensabile per non sentirsi perduti, estranei, alieni. La crisi identitaria, vissuta dagli emigranti in terra straniera è percettibile nella lenta, inesorabile deprivazione verbale che si instaura in chi è sempre sul confine tra lingua madre, lingua nazionale e lingua della comunicazione socializzata.

Gli italiani residenti all'Estero devono sentirsi più ricchi culturalmente, in quanto portatori di un patrimonio di conoscenze originario, e ripensando alla propria identità anche attraverso la memoria, dovrebbero riuscire a ricomporre pian piano i pezzi della propria famiglia, che si ricollegherà naturalmente al paese e all'intera comunità d'origine.

In questo modo, in ciascun emigrante, avrà origine una sorta di antropologia soggettiva, che non è consapevolezza dello sradicamento, ma è capacità critica dell'importanza della memoria delle origini, della centralità della cultura e del riscatto come bisogno concreto della comunità migrante.

Ho insegnato la lingua e la cultura italiana fin dal primo giorno con l'entusiasmo di chi crede nel profondo valore dello scambio culturale, nelle mie intenzioni c'è sempre stata la voglia di tornare in Italia con un bagaglio più ricco di conoscenze, così ho cercato di mettere ogni giorno, tutto l'impegno e l'amore che ho per il mio lavoro.

In alcuni momenti, non è stato semplice, potrei definirla veramente un'importante palestra di vita, e se l'imprevedibilità e il peso della precarietà che viviamo nell'attuale mondo della scuola, mi ha portato via dall'Italia, offrendomi questa opportunità, mi reputo fortunata per essermi sentita a volte, come un punto di riferimento per una ristretta comunità d'italiani che vive in un piccolo angolo di mondo.

Oggi ancora più di prima, ho imparato che bisogna stare al passo con i tempi, a tal punto che nell'era dell'insegnamento nel mondo globale, alla professione dell'insegnante sono richieste: maggiori competenze in tutti i campi del sapere è necessaria una forte dedizione allo scambio e al confronto oltre ad una grande capacità di riuscire con determinazione a vincere le nuove sfide.

Fonte: ItaliansInFuga (Intervista di Aldo Mencaraglia).

12:32 – 20/06/11 – La Valutazione dei Docenti Italiani (Rapporto OCSE-TALIS)

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

[Sintesi del documento] Le ricerche condotte dall’OCSE – PISA sono note a tutti. I risultati di tali indagini sugli apprendimenti hanno spesso come effetto una grande diffusione e il successivo alternarsi di punti di vista, di prese di posizione, di proposte e contro-proposte.

L’OCSE ha condotto anche la ricerca TALIS i cui risultati, ai fini dell’analisi comparativa dei diversi sistemi di istruzione, rivestono uguale importanza. Eppure ai risultati di questa indagine non si è voluto attribuire uguale rilievo. Anche il Miur, che ha aderito al progetto e partecipato alle spese, non ha ritenuto di dare ampia diffusione ai risultati della ricerca che è rimasta dunque ignota ai più.

TALIS è una ricerca che parte da un preciso punto di vista quello dei docenti: “in che modo gli insegnanti percepiscono la propria professione?” I risultati sono stati raccolti in un database, la Uil Scuola ha scelto di esaminarne alcuni.

OCSE —TALIS


Teachers And Learning International Survey


Indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento


Sintesi della ricerca

L’indagine Ocse Talis, rappresenta in primo tentativo di analizzare, parametrandole, le dichiarazioni dei docenti in relazione al lavoro svolto a scuola. Non un’indagine su dati, quindi ma sullo ‘status’.

Quella che viene esaminata è la percezione che gli insegnanti hanno della loro professione.

Un approccio nuovo, per una indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento condotta in 23 paesi del mondo, Italia inclusa, che ha messo in un data base le dichiarazioni di un campione significativo di insegnanti e presidi di scuola superiore di primo grado.

La prossima edizione della ricerca sarà nel 2013 e opererà anche sui dati dell’indagine Pisa 2012 con i risultati degli studenti. L’ufficio studi e ricerche della Uil scuola ne ha messo a confronto i dati.

Misurare la ‘soddisfazione’:

Gli italiani al primo posto.

Sono gli insegnanti italiani quelli più soddisfatti del lavoro svolto in classe. Il 95% dei docenti di scuola media dichiara, infatti, di essere appagato del proprio lavoro anche in relazione al clima disciplinare in aula e al rapporto con gli studenti. Nella classifica internazionale gli italiani registrano 6 punti percentuali in più rispetto alla media (89,6%) seguiti dai colleghi sloveni, belgi, messicani, bulgari e austriaci.

Ad essere i meno soddisfatti sono gli australiani (82,4%) e poi gli ungheresi, i turchi, i brasiliani e i portoghesi.

Misurare il ‘tempo’:

In Italia troppa burocrazia e più tempo per tenere l’ordine in classe.

I docenti italiani lamentano di dover utilizzare il 14% del tempo per mantenere l’ordine in classe.

Più alto della media dei 23 paesi è anche il tempo che è sottratto all’insegnamento per espletare troppi adempimenti burocratici (8,8%). Una situazione che accomuna gli insegnanti italiani a quelli spagnoli.

Sono gli insegnanti brasiliani a faticare di più per mantenere l’ordine (17,8% del tempo passato in classe).

In Estonia, Lituania e Polonia ci vuole invece meno tempo: il 9% circa.

Il maggior peso negli adempimenti burocratici tocca agli insegnanti messicani con un carico di pratiche pari al 16,5% del tempo, quasi il doppio rispetto alla grande maggioranza degli altri paesi.

Misurare l’’efficacia’.

Sono i norvegesi a sentirsi ‘più bravi’. Italiani al secondo posto.

L’indagine TALIS ha interrogato i docenti sulla percezione che loro hanno dell’ efficacia personale in relazione all’attività educativa con i propri studenti. Sotto la lente di ingrandimento sono state messe una serie di variabili relative al lavoro d’aula, non sotto il profilo delle materie insegnate, ma su quello relazionale.

I docenti sono stati invitati ad esprimersi sulla loro personale percezione che:

l’insegnamento produce significativi cambiamenti nella vita dei propri studenti;

si riesce a far progredire anche gli studenti più difficili e non motivati;

si ha successo con gli studenti nella propria classe;

si riesce a mettersi in relazione con gli studenti;

si crea una piacevole atmosfera di apprendimento;

non si deve perdere molto tempo all’inizio della lezione, per avere degli studenti “tranquilli”;

non si perde tempo a causa di studenti che interrompono la lezione.

L’analisi comparata dei dati mostra che è appannaggio dei docenti norvegesi la più positiva percezione complessiva circa l’efficacia del loro lavoro, al secondo posto gli italiani mentre, all’estremo opposto, si situano i professori coreani e quelli spagnoli.

Misurare la ‘crescita’.

attività di sviluppo professionale: sono ancora in pochi a seguirle ma sono tante le giornate impegnate

Tra i temi affrontati nella ricerca c’è anche quello della partecipazione ad attività di sviluppo professionale: si va dai corsi / seminari alle conferenze o seminari di formazione, dai programmi di qualificazione (ad esempio un corso di laurea) alle visite di osservazione in altre scuole, dalla partecipazione ad una rete di docenti alla ricerca individuale, fino alle esperienze di tutoraggio, osservazione ed esercitazione con colleghi, come parte di un sistema di formazione formale, alla lettura di testi professionali, al dialogo fra colleghi.

E’ stato quindi chiesto agli insegnanti se hanno partecipato a tali attività negli ultimi 18 mesi e per quanti giorni: il risultatoˆ è che, in tutti i Paesi, la partecipazione a questo genere di attività è piuttosto ampia.

L’Italia si colloca sotto la media per numero di insegnanti coinvolti.

Per quanto attiene invece al numero medio delle giornate impegnate in tali attività, si va da un minimo di 5,6 giorni dell’Irlanda ad un massimo di 34 giorni del Messico, attestandosi la media di tutti i Paesi a 15,3 giorni medi nel periodo dei 18 mesi considerati. I docenti italiani, al quarto posto, si situano abbondantemente al di sopra della media con 26,6 giornate medie.

I risultati mostrano quindi che è ancora basso, rispetto al dato medio, il numero di insegnanti coinvolti in attività di sviluppo professionale. La durata di queste attività, per chi le svolge, è invece ben al di sopra del dato medio degli altri paesi.

Misurare i ‘bisogni’.

Forte e al passo con i tempi in Italia la domanda di formazione in servizio.

L’inchiesta TALIS non si limita a registrare le dichiarazioni dei docenti circa le attività ma domanda anche quale siano le loro necessità d aggiornamento.

Tra i settori nei quali gli insegnanti dichiarano di avere maggiore bisogno di aggiornamento ci sono l’insegnamento a studenti con bisogni speciali di apprendimento (31,3%) e lo sviluppo di competenze nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, TIC, (24,7%).

I docenti italiani esprimono una diffusa domanda di formazione, superiore di 10 punti alla media dei colleghi delle altre nazioni. Per loro rappresentano delle priorità: l’insegnamento a studenti con bisogni speciali (35,3%), l’esigenza di migliorare la pratica didattica (34,9%), l’accrescimento delle competenze nel proprio ambito disciplinare (34%).

Misurare il ‘lavoro’.

Ancora pochi gli insegnanti coinvolti nei processi di valutazione.

Una parte dell’indagine Talis è dedicata alla valutazione degli insegnanti. Ricerca condotta non in modo ‘generico’ ma basata sulla richiesta di ‘precise’ esperienze di valutazione, sia interna che esterna, che i docenti hanno avuto negli ultimi cinque anni.

Il 13,8% dei docenti dei 23 paesi esaminati dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di valutazione.

Per gli italiani questa percentuale è del 20%. Sono gli spagnoli, i danesi, i portoghesi, gli austriaci e gli irlandesi i meno valutati. Coreani, ungheresi, slovacchi e turchi sono quasi tutti sottoposti a processi di valutazione.

Per quanto riguarda la valutazione interna quasi la metà degli insegnanti italiani è impegnata almeno una volta l’anno nelle pratiche di autovalutazione della scuola, livello simile alla media degli altri paesi.

Per quanto attiene alla valutazione esterna oltre il 60% dei nostri insegnanti non è mai stato coinvolto (negli altri paesi il livello di quanti non hanno ricevuto mai una valutazione è mediamente intorno al 30%).

L’11, 3% è stato coinvolto una volta, il 14,6% da due a quattro volte, il 12,3 % una volta all’anno, solo l’1% più di una volta all’anno.

Misurare il ‘merito’

E’ un ‘grazie’ il riconoscimento più diffuso in Italia. Niente soldi né bonus.

Un ulteriore aspetto di osservazione della ricerca riguarda le ricadute della valutazione sulla vita professionale dei docenti: variazioni di retribuzione, bonus economico o altra forma di premio economico, cambiamento nelle prospettive di carriera, riconoscimento pubblico del preside e / o dei loro colleghi, opportunità di aggiornamento, cambiamenti nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente, acquisizione di un ruolo nelle iniziative di aggiornamento o formazione.

L’incremento della retribuzione è assolutamente marginale per la media dei Paesi: si verifica nel 9,1% dei casi, mentre in Italia è dichiarato nel 2% (probabilmente riferibile alla conferma in ruolo dopo il periodo di prova e alla conseguente ricostruzione di carriera). Gli altri Paesi dell’Europa occidentale, con l’eccezione della Norvegia, si situano su percentuali analoghe o addirittura minori.

Altri premi di natura economica o bonus sono mediamente attribuiti all’11% dei docenti, mentre la gratificazione — immateriale – per il pubblico riconoscimento del preside e dei colleghi che riguarda il 36,4% degli insegnanti dei paesi presi in considerazione sale al 46,4% nel caso dell’Italia.

Altre forme di riscontro nel nostro paese sono: il coinvolgimento attivo nelle iniziative di aggiornamento e/o di formazione dei colleghi (38,3%, la media degli altri paesi è 29,6) e il cambiamento nelle responsabilità lavorative che rendono il lavoro piùattraente (27,1%, la media degli altri paesi è 26,7%).

Che cosa pensano gli insegnanti di ciò che accade dopo la valutazione sulla propria scuola? L’indagine si occupa anche di questo: il 70% dei professori italiani pensa che la valutazione porti ad ‘azioni di aggiornamento o formazione affinché i docenti migliorino il proprio lavoro’. Il 40% sostiene che nella ‘scuola la revisione del lavoro dei docenti ha scarso impatto sul modo in cui i docenti insegnano in classe’. Il 33% pensa che la valutazione venga fatta ‘soprattutto per finalità amministrative’. Poco meno di un terzo (28%) è convinto che ‘il persistente scarso rendimento di un docente sarebbe tollerato dagli altri’.

E’ questo il quadro di insieme tracciato dall’insieme delle opinioni degli insegnanti italiani rispetto ai processi di valutazione. Una serie di dati che fotografa ciò che succede realmente: spesso la gratificazione è rappresentata solo da un riconoscimento pubblico, da un elogio. A questo sono abituati gli insegnanti italiani. A riconoscimenti ‘immateriali’ e pochi soldi. E questo vale non solo in relazione alla valutazione ma sembra — per l’Italia — restare ‘ancorato’, connaturato alla funzione docente.

Scarica il Rapporto Ufficiale OCSE – TALIS (Versione integrale in lingua italiana.)

19:56 – 14/03/11 – Di Menna (UIL): meno frasi ad effetto, è ora di discutere di aumenti.

Continuando a rappresentare la scuola dal 'suo' punto di vista il ministro Gelmini rischia di diventare una 'opinionista'  –  è il commento del segretario della Uil Scuola, Massimo Di Menna alle affermazioni del ministro dell'istruzione ospite ieri nella trasmissione 'che tempo che fa'.

La scuola è un settore complesso, con molte professionalità, una dimensione nazionale e un compito  che la rendono essenziale per lo sviluppo del Paese. Ci vorrebbero – aggiunge Di Menna – meno frasi 'ad effetto' e più azioni concrete.

Sui professori pagati poco perché troppo numerosi, inviterei il ministro a preoccuparsi della circostanza per la quale in Italia (come evidenziato in una recente ricerca della Uil) abbiamo il maggior numero di politici  rispetto agli altri paesi europei e i meglio pagati – ribatte il segretario della Uil Scuola.

Il nodo resta quello delle risorse – ammonisce Di Menna – quali scelte si intendono perseguire per il nostro sistema di istruzione. I dati Ocse pongono l'Italia agli ultimi posti nel rapporto spesa per istruzione/Pil. L'Istat ci ha ricordato che siamo passati dal 4% al 3,7% riducendo ancora di più la quota di ricchezza nazionale destinata all'istruzione (a fronte di una media europea del 5,1%).
Anche nel rapporto spesa per istruzione e resto della spesa pubblica siamo al 9,7% a fronte della media europea dell'11%.

Non si tratta semplicemente di un problema di rientro dal debito pubblico che non consente di avere risorse adeguate, ma di qualificare la spesa pubblica. Occorre ridurre le spese improduttive, gli sprechi, la burocrazia ridondante, le eccessive spese per la politica e indirizzare risorse agli investimenti per l'istruzione.

Su questo e su un piano di graduale aumento delle retribuzioni sollecitiamo il ministero a rappresentare questa esigenza nel dibattito politico e nell'azione di governo.

Occorre rassicurare tutti che la stragrande maggioranza dei ragazzi studia in scuole pulite. Migliore utilizzo del personale e l'efficacia della spesa sono aspetti che competono alla responsabilità del ministro al quale abbiamo fatto più volte proposte per riorganizzarle al meglio sulla base delle concrete esigenze delle scuole.

19:17 – 18/11/10 – Tagli al Sostegno: Come Diffidare il Ministero.

Per ottenere giustizia rispetto al taglio ad un sostegno scolastico dovuto, si possono intraprendere alcune azioni:

1) diffidare per iscritto l'amministrazione dal proseguire nella violazione del diritto (scarica il modello diffida)

2) qualora non funzioni la 1), adire al Tribunale amministrativo regionale (TAR) con l'accorgimento di far allegare dal vostro avvocato tutta la documentazione relativa al danno patrimoniale e personale subito. Diversamente il Tribunale non può; che stabilire somme esigue per via equitativa in base alla sola considerazione che è stato violato un diritto. Invece occorre far valutare – se c'è stato – il danno di apprendimento per lo studente disabile, l'eventuale regresso relazionale conseguente alla mancanza del sostegno o della frequenza scolastica, nonché allegare documentazione delle spese sostenute per tenere il minore a casa (assistenza, aspettativa senza assegni qualora presa da un familiare con questa motivazione, spese per una eventuale struttura privata di formazione, etc). I ricorsi in materia di assistenza sono esentati dal pagamento di tasse processuali.

3) in ogni caso (soprattutto dopo l'esito positivo di un procedimento legale), scrivere alla Corte dei Conti regionale illustrando il danno subito dallo Stato in ragione del rifiuto dei pubblici funzionari incaricati di concedere adeguato sostegno all'allievo disabile (vedi indicazioni).

* i presenti consigli ed il materiale linkato sono a cura di dott. Massimiliano Trematerra, avv. Margherita Corriere, dott.ssa Flavia Fulvio, membri del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio

Fonte: Osservatorio Sulla Legalità.

11:36 – 15/11/10 – Germania, Nuovo Allarme: La Scuola fa Ammalare…

Burnout degli Insegnanti
Burnout degli Insegnanti

Continuano a pervenire conferme sul Disagio Mentale Professionale degli insegnanti. A far precipitare la situazione è anche la composizione multietnica degli studenti. L’unica via di fuga dalla scuola è rappresentata – per coloro che hanno una sufficiente anzianità di servizio – dal riconoscimento medico della situazione di disagio mentale attraverso l’accertamento nei collegi medici preposti.

E’ chiaro che la situazione non può reggere e soprattutto non si può aspettare che gli insegnanti compromettano la loro salute mentale per arginare gli effetti di una guerra che si sono trovati soli a combattere. Tutto ciò fa poi a pugni con la volontà del legislatore europeo che pretende dai Paesi membri la tutela della salute dei lavoratori di fronte alla specificità dei rischi da stress-lavoro-correlato che le singole professioni comportano.

Dal quotidiano Italia Oggi del 27.10.10 … gli insegnanti tedeschi, dicono le statistiche, sono in crisi, snervati, malati, depressi, sfiduciati. E si ammalano più di ogni altro lavoratore. Oggi a Berlino sono ammalati più di 2.003 insegnanti, il 12% dei 22.000 docenti  della capitale. In Nord Renania Westfalia, il land più popoloso con oltre 17 milioni di abitanti, gli insegnanti sono 192.000 e il loro tasso di assenza è di oltre il 15%. Il triplo di quello dei poliziotti.

Nel settore economico i dipendenti pubblici hanno un tasso di assenteismo ancora inferiore: appena il 3,5% … E va sempre peggio: cinque anni fa gli insegnanti in malattia a Berlino erano 500, un terzo rispetto ad oggi …

Nel meridionale Baden-Wurttenberg un migliaio di professori è rimasto vittima di aggressioni … Molti insegnanti inoltre non hanno una preparazione adatta a fronteggiare la situazione. Si sono diplomati magari 20 o 30 anni fa in un altro clima.

Oggi preferiscono arrendersi e chiedere la pensione anticipata, concessa grazie a un certificato medico che attesta la loro depressione. Per ogni anno di anticipo rispetto ai 65 anni perdono il 2%, ma la fuga è meglio di una guerriglia quotidiana in classe.

Fonti:
Italia Oggi.
BurnOut di Vittorio Lodolo D'Oria.

15:31 – 01/08/10 – Cara Gelmini ti Scrivo…

Di Jacopo Fo

Gentile Gelmini,

Le scrivo per porle un problema di fondo della scuola italiana. Quello dell’insegnamento.

Rinuncio qui ad affrontare altre questione cocenti che riguardano i lavoratori della scuola, le risorse, le modalità dei concorsi eccetera. Argomenti sui quali non ci troveremmo d’accordo.

Vorrei invece parlarle di quello che si insegna perché sono convinto che pur essendo di diversa fede politica potremmo metterci d’accordo su alcune questioni pratiche.

E penso che sul COME si insegna potremmo trovare dei punti di intesa.

Si tratta di un argomento discusso pochissimo al di fuori di ristretti ambiti pedagogici.

Invece io credo che dovrebbe essere un grande tema di dibattito.

La prima domanda che vorrei porre è: cosa fa crescere un adolescente?

Quando ero molto giovane me ne andai a vivere in una casa diroccata in mezzo ai monti.

Avevo vissuto una serie di esperienze traumatiche e non stavo molto bene di testa, tra depressione e stati di panico.

Un bel giorno arriva mio padre a trovarmi.

Non so se ha presente mio padre, detto fra noi non è uno abile a lavorare col trapano e il martello, meglio lasciar perdere, io non gli avevo mai visto piantare un chiodo.

Invece arriva e si mette a riparare la casa dove vivevo. Inchioda una porta, aggiusta una ringhiera.

Quando se ne è andato dopo una settimana io ero scioccato. Mi dissi: “Se mio padre è venuto qui e si è messo a riparare questa casa vuol dire che è veramente preoccupato per me e io sono proprio messo male.” E lì ho iniziato a decidere che era meglio smettere di essere depressi e cercare di combinare qualche cosa di buono nella vita.

Se mio padre mi avesse fatto una bella predica non avrebbe ottenuto niente. Invece è stato zitto e si è messo a lavorare e mi ha coinvolto. Perché ovviamente non potevo stare con le mani in mano mentre mio padre si dava da fare per migliorare la mia casa.

Io credo che il problema della scuola italiana sia innanzi tutto che si parla molto e non si fa quasi nulla di pratico.

L’insegnamento è astratto.

Questa era una cosa che mi dava enormemente sui nervi quando ero studente. Infatti ero un pessimo studente.

Ho iniziato a studiare con grande impegno solo quando ho lasciato la scuola e mi sono messo a lavorare. Sapere mi era diventato necessario per realizzare i miei progetti.

Tempo fa ho realizzato un corso in dieci lezioni di matematica da ridere, in una scuola media inferiore.

La mia idea era quella di tentare di coinvolgere gli allievi, di appassionarli.

Ho incominciato con alcuni giochi. Ad esempio dimostrando che 111 x 111 fa 12321, un numero speculare e 11.111 x 11.111 = 123454321.

Poi ho fatto notare che la tabellina del 9 non vale la pena di impararla a memoria, è speculare anche lei, : 9-90, 18-81, 27-72 eccetera.

Poi sono passato a dimostrare che chi non capisce i numeri non riesce neanche a capire quanto costa un computer reclamizzato in una rivista. Quel “+ Iva” che trovi dopo il prezzo vuol dire che devi aggiungere il 20% di tasse.

Ecco perché saper calcolare le percentuali è così importante. Se non sei capace non riesci a capire quanto costano le cose che vuoi comprare.

Dopodichè ci siamo messi ad analizzare i contratti dei cellulari. Come saprà è impossibile capire quanto costa veramente telefonare con una data compagnia telefonica senza usare l’aritmetica e un po’ di pazienza. Le proposte sbandierate dalla pubblicità contengono spesso raffinate trappole logiche. Solo se ci ragioni sopra capisci quanto paghi veramente.

Ho continuato così a mischiare giochi matematici, indovinelli geometrici, enigmi di insiemistica e questioni di utilità quotidiana.

A un certo punto ho chiesto ai ragazzi se sapevano come funziona un conto bancario. E ho spiegato loro che molto probabilmente le loro famiglie non sanno bene quante spese pagano per la gestione del conto, quanto prendono di interessi, quanto pagano ogni volta che ritirano del denaro contante con il bancomat, quanto costa farsi spedire a casa i conteggi.

La mia idea era di far sì che alla fine gli studenti potessero avere la soddisfazione di dare una mano alla loro famiglia e usare il tempo scolastico per rivedere contratti telefonici e bancari.

I genitori rimproverano spesso gli adolescenti dicendo loro che sono bravi solo a spendere. Mi pareva che dar modo a un dodicenne di far risparmiare del denaro alla propria famiglia grazie a quello che ha imparato a scuola, potesse dargli autostima, soddisfazione e far germogliare in lui la comprensione che studiare è un modo per migliorare la propria vita.

Sono restato sconcertato scoprendo che la maggioranza delle famiglie si era rifiutata di fornire ai figli i contratti telefonici. Ovviamente non chiedevamo la bolletta con il dettaglio delle telefonate ma solo i dati indicanti il tipo di contratto. Mi sono dovuto quindi fermare, figuriamoci cosa sarebbe successo se avessi chiesto i dati sulla tipologia dei contratti bancari…

Ma nonostante questo ostacolo dopo 10 lezioni di matematica da ridere c’è stato un incontro con il consiglio di classe molto positivo.

Infatti i professori avevano riscontrato un miglioramento nel rendimento degli ultimi della classe anche nelle altre materie di studio.

Restai molto lusingato da questo giudizio e altrettanto stupito quando appresi che l’esperimento veniva però interrotto. Non certo per questioni di soldi visto che lavoravo gratis. Semplicemente quel che insegnavo era al di fuori del programma e non avevano altro tempo da perdere.

Io credo che debba essere affrontato in modo prioritario invece il problema della passione per lo studio. Dovrebbe essere il primo obiettivo della scuola: insegnare a studiare prima ancora di fornire informazioni.

E per ottenere questo dobbiamo rendere divertenti le lezioni e insegnare anche cose utili nella vita reale.

E’ mai possibile che la scuola non insegni a leggere una busta paga, come funziona un mutuo, come si cambia un pannolino, come si intenta una causa per danni o come avvalersi dell’assistenza sanitaria?

Credo che si potrebbe ottenere un grande salto di qualità anche dando modo agli studenti di misurarsi con la realtà, mettere alla prova le proprie capacità.

Con un liceo scientifico abbiamo studiato un progetto ambizioso. Gli studenti sotto la guida degli insegnanti analizzano i costi energetici della loro scuola, e i modi per ottenere maggiore efficienza, valutano le soluzioni tecniche, quindi prendono contatto con le aziende capaci di realizzare i cambiamenti progettati e con una banca disposta a finanziare l’intervento, realizzano quindi un piano operativo e finanziario. E’ probabile che questo piano contenga la sostituzione della caldaia, isolamento di tetto e pareti, tripli vetri, termostati, pannelli solari.

Redatto il piano gli studenti si adoperano per convincere le istituzioni a realizzare queste migliorie. Se ci riescono ottengono anche una percentuale dalle aziende in quanto agenti di vendita. Con questi soldi si possono realizzare attività utili per scuola e studenti. Si tratta di un modo concreto per proteggere il nostro pianeta e per mettere in pratica conoscenze scientifiche, capacità di scrittura e verbalizzazione. Un sistema per permettere agli insegnanti di diverse materie di collaborare e per dare agli studenti modo di capire come utilizzare in pratica quel che imparano.

Il progetto ha trovato grande entusiasmo tra gli studenti e gli insegnanti. Insieme al preside e al provveditore agli studi abbiamo tenuto una conferenza stampa che ha interessato i giornalisti e poi sono usciti alcuni articoli sulla stampa locale. Quindi il progetto è stato cancellato.

Cose che succedono. Soprattutto perché le priorità della scuola oggi sono altre.

I programmi scolastici non danno modo agli studenti di fare i conti con la realtà. L’insegnamento è astratto, nozionistico. Non si insegna a lavorare ma a far bella figura con i professori.

Questa situazione allontana molti ragazzi dallo studio: si annoiano, non capiscono l’utilità di imparare qualche cosa a proposito della vita di Napoleone.

Questa situazione oltretutto è grande fonte di disagio e emarginazione e alimenta la devianza e la criminalità.

La scuola dovrebbe avere invece la funzione di primo baluardo della legalità proprio insegnando ai giovani la moralità della passione per il lavoro.

Sono 20 anni che alla Libera Università di Alcatraz ospitiamo gite scolastiche e vacanze estive.

Molte volte sono arrivati da noi gruppi di ragazzi portati dai servizi sociali, ragazzi con gravi problemi di bullismo e piccola criminalità. Magari avevano semidistrutto l’ultimo albergo che li aveva ospitati provocando centomila euro di danni.

Il nostro sistema con questi ragazzi è di una semplicità elementare. Quando scendono dal pullman diamo a ognuno un cavallo. E gli diciamo: “Questo è il tuo cavallo, te ne occupi tu. Vuoi sapere come funziona?”

Poi gli facciamo vedere come si cavalca. E gli facciamo fare subito qualche cosa di spaventoso come salire in piedi sulla groppa di un cavallo. In realtà è molto facile perché i nostri cavalli sono dei pezzi di pane e non muovono un muscolo quando hanno sopra un ragazzino. Ma i nuovi arrivati non lo sanno e sono entusiasti perché hanno avuto paura ma ce l’hanno fatta. Li facciamo sentire importanti, gli diamo fiducia. In 20 anni non si è mai fatto male un solo allievo. E i ragazzi si comportano poi in modo irreprensibile, non rompono neanche un piatto. E’ come se non aspettassero altro che di incontrare una persona che gli dia un buon motivo per rigare dritto.

E con i cavalli diventano subito bravissimi. Perché i ragazzi “peggiori” in realtà sono spesso molto intelligenti e svegli, il problema è che non hanno avuto occasione di utilizzare positivamente le loro risorse. Non hanno incontrato qualcuno che trasmettesse loro la passione per il lavoro, per l’avventura di imparare cose nuove, affrontare le difficoltà e superarle.

Questi ragazzi non sopportano la scuola perché si parla troppo mentre loro hanno una spasmodica voglia di vivere, di sperimentare.

Un elemento essenziale in questo approccio è la fiducia.

Io ti do subito un cavallo da curare. Un gesto che prevede che io abbia piena fiducia in te. Questa azione da sola motiva molto.

La scuola italiana al contrario è più centrata sul giudizio, sulla divisione tra bravi e cattivi, primi e ultimi.

Un metodo che sembra fatto apposta per creare emarginati.

Ma che valore ha una scuola che funziona bene solo per i primi della classe?

Ci sono molte ricerche che avvalorano questa realtà. Per dimostrarla si sono trovate soluzioni molto astute.

Ad esempio, un gruppo di insegnanti delle elementari chiede un incontro con gli insegnanti delle medie che prenderanno in consegna i loro studenti l’anno successivo.

Gli insegnanti delle elementari spiegano che questo incontro si è reso necessario perché si sono trovati di fronte a una quinta elementare composta da geni. E volevano avvisare i professori delle medie che proprio perché sono bambini con un’intelligenza fuori dal comune, a volte sembrano stupidi, ma questo dipende dal fatto che vedono le cose in maniera diversa, riescono a intuire punti di vista insoliti sui problemi. Se li si ascolta si scopre che ragionano in modo eccellente.

Dopo 3 anni i ricercatori vanno a vedere quali sono i risultati ottenuti da quella classe, che in realtà era assolutamente normale, non c’era neanche un piccolo genio.

Ma la suggestione sugli insegnati ha creato un miracolo: gli studenti sono diventati veramente dei geni! E in particolare sono progrediti quelli che alle elementari erano i peggiori.

I ragazzi per crescere hanno bisogno della fiducia, della passione e di esperienze positive.

La scuola italiana da questo punto di vista è estremamente carente.

Pensa che si potrebbe fare qualche cosa?

Supponendo che a lei questo discorso interessi aggiungo qualche proposta pratica.

La mia figlia maggiore ha avuto la fortuna di capitare con un insegnante straordinario, Pasquale Guerra*,* che organizza a scuola incontri con cantautori e scrittori e poi porta tutta la classe una settimana in montagna, in un luogo sperduto, senza strade e copertura cellulare. Una baita dove i ragazzi cucinano e si occupano di tutto, fanno lunghe camminate e a turno leggono romanzi ad alta voce. Un’esperienza che entusiasmò mia figlia e le fece imparare l’amore per la scrittura.

Perché insegnanti simili non vengono premiati? Perché non viene replicato il loro metodo e diffuso il loro entusiasmo?

Negli Usa esiste poi da tempo un sistema che prevede la valutazione del livello di preparazione degli allievi.

Gli insegnanti che ottengono che gli ultimi della classe progrediscano tengono poi dei corsi di formazione per gli altri. Cioè, si è individuato un sistema che permette alla scuola nel suo complesso di migliorare premiando chi riesce ad appassionare i ragazzi e dà modo agli insegnanti migliori di trasmettere questa abilità ad altri docenti.

In Italia abbiamo un’esperienza eccellente, riconosciuta e stimata in tutto il mondo, l’asilo Diana di Reggio Emilia. Qui possiamo trovare più di 50 anni di esperienza in un modo diverso di concepire l’insegnamento. Sostanzialmente si tratta dello stesso approccio che le ho testé illustrato.

I risultati dell’asilo Diana sono straordinari da tutti i punti di vista. Prova ne è che Svezia, Canada e Giappone hanno adottato da tempo gran parte di questi criteri formativi ottenendo ulteriori conferme della validità dell’approccio didattico. Non sarebbe il caso di farlo anche da noi?

Non sarebbe il caso di inserire nel percorso formativo degli insegnanti qualche lezione su come si utilizza la voce, come si racconta una barzelletta, come si organizza un lavoro in equipe, come si affrontano certe dinamiche interpersonali, come funziona la comunicazione emotiva?

Ai nostri insegnanti si chiede di conoscere la materia che insegnano. Non dovrebbero anche essere capaci di insegnarla in modo avvincente?

Perché non esistono canovacci delle lezioni? In Italia ogni anno si tengono migliaia di lezioni sul Teorema di Pitagora. Ogni insegnante si inventa il suo modo di spiegare perché la somma dei quadrati costruiti sui cateti è pari al quadrato costruito sull’ipotenusa, senza avere mai occasione di confrontarsi con altri insegnanti.

Perché il suo ministero non crea un forum, diviso per argomenti, nel quale gli insegnanti possano pubblicare i canovacci o magari i video delle loro lezioni? E si potrebbero anche premiare gli insegnanti che propongono soluzioni innovative. Far nascere così un’attenzione e una sana competizione nell’arte di esporre argomenti scientifici e culturali.

Fonte: ilfattoquotidiano – Blog di Jacopo Fo