16:10 – 09/09/11 – Classi-Pollaio: Sentenza TAR MOLISE…

[A cura di Ioannis Lioumis.] – Il 31 agosto scorso è stata depositata una importantissima ordinanza (n. 163) con sospensiva del TAR Molise che lega il numero degli alunni delle classi alla edilizia scolastica ovvero alla effettiva grandezza delle aule.

L'Ufficio scolastico regionale del Molise aveva proceduto ad accorpare la ex classe V ginnasio sez. D del Liceo classico “M. Pagano” alle altre sezioni A B e C, eliminando di fatto (per l'anno scolastico 2011/2012) la stessa sezione D per la classe I liceo, mantenendo solo tre classi prime liceali (sez. A, B e C) anzi che quattro, ciascuna con 29 alunni.

Il provvedimento è stato impugnato da vari genitori di alunni che avevano frequentato, nello scorso anno scolastico, la classe seconda (o quinto ginnasio) sez. D del Liceo classico “M. Pagano”, i quali si sono affidati agli Avvocati Michele Coromano e Marcella Ceniccola, per scongiurare il pericolo della soppressione della classe.

Pericolo che è stato fortunatamente scongiurato, in quanto i giudici amministrativi hanno riconosciuto che il provvedimento, disposto in virtù del D.P.R. 20 marzo 2009 n.81, non rispetta le norme igieniche e di sicurezza in conseguenza del sovraffollamento delle classi. Tale ordinanza stabilisce inoltre che l'ufficio scolastico regionale è obbligato a verificare preventivamente il rispetto delle norme igieniche e di sicurezza delle scuole, anche in presenza di possibili inadempienze imputabili a province e comuni quali enti responsabili della fornitura e manutenzione degli edifici scolastici.

È una sentenza importantissima che permette di impugnare (ed anche diffidare gli USR) direttamente le lettere degli Uffici scolastici regionali del MIUR che autorizzano le classi pollaio, ovvero classi formate con più di 25 alunni a prescindere dalla grandezza reale dell'aula, o anche classi con meno di 25 alunni che non rispettano l'indice individuale/alunno di 1,80 mq netti per materne, elementari e medie e 1,96 mq netti per le superiori.

Ioannis Lioumis

PS: Tra qualche giorno potrete segnalare eventuali accorpamenti tramite un numero verde che metterà a disposizione il codacons.

Scarica la sentenza n. 163.

19:13 – 05/05/10 – Ventotene: parla Bruno, il papà di Sara Panuccio…

Sono il padre di Sara Panuccio, una delle due ragazze scomparse a Ventotene il 20 aprile 2010, a causa della frana del costone di Cala Rossano.

È giunto il momento, anche se mi è enormemente difficoltoso, di far conoscere il mio pensiero in merito alla vicenda che ha stravolto la vita della mia famiglia. Mi è d’obbligo uscire dal silenzio doloroso dopo aver ascoltato parti di servizi televisivi standardizzati ed ai quali siamo abituati nel nostro vivere quotidiano.
Questa è la mia testimonianza, che rendo nelle vesti di cittadino comune ancor prima che in quelle di padre, e che non è dettata quindi da interessi personali.

Dopo aver appreso la notizia, siamo stati elitrasportati sull’isola ed ancor prima di giungere abbiamo sorvolato la zona della tragedia. Passato il momento più tragico della mia vita, quello di dover vedere mia figlia mortae su questo non mi soffermo perché ognuno di voi può comprendere il dolore e lo stato d’animo -, siamo stati caricati su varie automobili e condotti al centro del paese, in untriste corteo. Ma mentre i genitori di Francesca son giunti direttamente a destinazione, io ho fatto fermare l’automobile in prossimità del luogo maledetto.

Disceso dalla vettura, sono andato in spiaggia tramite una scalinata daccesso invitante e mi sono avvicinato alla zona, che in quel momento era sorvegliata e perimetrata dalle forze dell ordine, come è prassi in questi casi. Mi è stato permesso laccesso.Volevo vedere, toccare e maledire quella che fino a quel momento nella mia testa, grazie alle notizie giunte, era la roccia che aveva tolto la vita a Sara e Francesca.

Quando ho toccato i massi ho scoperto con grande stupore che erano solo un insieme di terra che mi si è sbriciolata tra le mani. Non avevo mai visto il tufo prima di quel giorno, o forse pur avendolo osservato non mi ero mai posto il problema della sua fragilità.
Così, incurante dei richiami a fare attenzione, tesi a mettermi in guarda dal pericolo ( avevo appena visto mia figlia morta, come avrei potuto avere paura per me stesso? ), e dei divieti dei Carabinieri ad avvicinarmi oltre, sono giunto fin sotto al costone. Ho dato un paio di pugni neanche troppo violenti alla parete, e la conseguenza è stata quella di vederne franare un’altra piccola parte (ci sono vari testimoni), tra le urla e gli allarmi dei presenti ( “Attento“, “Torni qui“, “Si tolga“, “E’ pericoloso” ).
Ho dato le spalle al costone cercando lo sguardo del mio amico Valerio e, allontanandomi, ho visto ormeggiate in acqua a pochi metri molte barche. Solo successivamente ho saputo della presenza di un Circolo Velico.

Ho osservato molto attentamente il costone ed ho notato quanto segue:

  1. Non vi era alcuna rete di contenimento sulla parete;
  2. Non cera nessuna restrizione all’accesso nelle vicinanze delle pareti, sia a destra che a sinistra rispetto al punto della frana;
  3. Non vi era alcun cartello che segnalasse il pericolo di possibili crolli o invitasse a tenersi a distanza dalla parete;
  4. Sopra il costone cè la strada dove io mi son fermato con l’automobile e di lì passano mezzi pesantiquali ad esempio i camion. Quindi il tufo, già debole di suo, è soggetto a tremolio e sollecitazioni nocive alla stabilità della parete;
  5. La parete in più di un punto è cavernosa e quindi non compatta.

Ed ora le mie riflessioni.

L’economia dell’isola di Ventotene deriva i suoi maggiori introiti dal turismo scolastico:per il Lazio e per Roma in particolare è una delle destinazioni preferite per avvicinare i giovani alla conoscenza ed al rispetto della natura. Comprendo quindi l’interesse dell’amministrazione locale a far sì che questo flusso non venga mai interrotto.

So che è stato dato incarico ad alcuni geologi di periziare l’intero perimetro dell’isola, e che già in tempi passati sono stati lanciati allarmi da diversi studiosi ed anche da molti residenti circa il concreto pericolo di franositàin vari punti. A tutt’oggi pare che, dopo l’ultima relazione, quasi tutto il perimetro sia stato dichiarato inagibile o perlomeno messo in sicurezza,ad eccezione di pochi punti tra i quali la Caletta in oggetto (nelle cui vicinanze si fanno anche attività velica e commerciale legate al turismo stesso).

Oggi io domando che siano accertate le eventuali responsabilità o negligenze in relazione alla scomparsa di Sara e Francesca. Ho sentito usare da molti media l’espressionetragica fatalità, ma fatalità in italiano è il termine che si usa per riferirsi a un evento imprevedibile, quali ad esempio un incidente o un cataclisma naturale. Questo mi indigna come cittadino oltre che come padre di Sara. In questo caso, la fatalità si può riscontrare solo nei nomi e nel numero delle vittime:fosse successo in una domenica estiva, si sarebbe trattato di una strage,l’ennesima.

Viviamo in un paese nel quale si dovrebbe incominciare a pensare che ogni qualvolta accade una tragedia di questo tipo, anche a mille chilometri di distanza, sono sempre e comunque i nostri figli a morire. Oltre alla solidarietà per le vittime e per le loro famiglie, dovrebbe parimenti levarsi anche l’indignazione nei confronti di chi dovrebbe salvaguardare il cittadino e non lo fa (per lo stato e per i governi, di qualsiasi colore essi siano, questo è il primo dovere).

Bisogna dunque farsi sentinelle del proprio territorio, denunciare ed attivarsi in prima persona affinché, alle perdite di vite umane inevitabili, non se ne aggiungano anche altre, inutilmente e colpevolmente. Bisogna comprendere una volta per tutte che le nostre condotte non devono mai rendersi complici di un silenzio assassino, e nel conto mi ci metto anche io in prima persona.

Vi ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere questo lungo scritto, ma la televisione ha tempi troppo brevi, che mal si addicono a lunghe riflessioni, magari costrette entro i tempi serrati tra uno spot e l’altro, e vi prego di condividerlo se credete, oltre che sul web, nei vostri posti di lavoro oppure ovunque lo riteniate opportuno.

Bruno Panuccio

15:26 – 28/02/10 – La riforma scolastica sempre più lontana..

di Ida Maffei

Spettabile Redazione di TerritorioScuola,

sono una madre ed un'insegnante. Guardo con preoccupazione al futuro dei miei figli e dei miei studenti, sulla base delle destabilizzanti dinamiche economiche, politiche, sociali, che quotidianamente si avvicendano. Guardo con preoccupazione alla riforma sulla scuola, che, invece di valorizzare l'istituzione come uno strumento culturale ed educativo indispensabile per rafforzare il senso di corresponsabilità sociale e l'autonomia di ragionamento, la delinea come un ricettacolo di sprechi e di privilegi, giustificando così le drastiche riduzioni dell'offerta e delle possibilità. I problemi sono tanti, ma una riforma impostata sull'astrazione delle direttive educative e culturali e sulla concretezza di indiscriminati tagli della spesa risolve le dolenti questioni trasformando la scuola in un servizio minimo di alfabetizzazione di massa, nonché di accudimento, più o meno sicuro, per i figli dei lavoratori.

Bisogna ragionarci ancora: è necessaria la riflessione sulle conseguenze che la riforma, aldilà delle autoreferenziali pubblicità, determinerà sulla qualificazione dell'istruzione pubblica, già messa in discussione, coinvolgendo chi vive nella scuola (lavoratori, studenti, famiglie). La partecipazione deve, però, essere stimolata sia, in verticale, dagli autori della riforma che interpellino direttamente gli interessati, sia, in orizzontale, attraverso la circolarità della comunicazione, con la collaborazione dei mass-media. Una progettualità tanto complessa e tanto significativa per il futuro necessita di un'analisi più rigorosa e non di provvedimenti frettolosi e frammentati: forse, in tal modo, riusciremo ad insegnare ad i nostri come evitare i nostri errori, indirizzandoli verso un domani lungamente sostenibile.

Vi invio, in allegato, alcune considerazioni più articolate sulla riforma della scuola, con la richiesta di renderle circolari.

Fiumi, mari, oceani di parole sono stati versati sulla scuola, sull'istruzione, sul futuro, hanno alimentato, trasportato, travolto speranze, destini, sistemi. Vi aggiungo un esile rigagnolo che forse svanirà nella vanità del superfluo, dell'ovvio, della rassegnazione. Ma se tutte le parole, tutti gli interrogativi, tutti i tentativi sono inutili, la nostra esistenza si priva di un'opportunità preziosa e rigenerante: partecipare alla storia del nostro tempo e sostenere i nostri figli nello scrivere la propria.

E forse, fra chi non crede più, chi non ha mai creduto, chi non sa credere, qualche parola potrà intrecciarsi.

LA RIFORMA TRA SCUOLA VIRTUALE E SCUOLA REALE. E LA SCUOLA VIRTUOSA?

1. Premessa sul virtuale.

Un definizione di riforma: Modifica volta a dare un nuovo e migliore assetto a qualcosa, in particolare in ambito politico, sociale, economico; il cambiamento stesso; rinnovamento, innovazione.

Le parole dei riformisti

Una riforma epocale, senza alcuna impronta ideologica. Così il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca Mariastella Gelmini ha definito la riforma degli istituti superiori che ha visto oggi il via libera definitivo da parte del Consiglio dei ministri. Una riforma epocale, ha evidenziato il ministro che ha visto un lavoro molto intenso e l'impegno di tante persone ha aggiunto ringraziando tutti coloro che hanno partecipato alla messa a punto di questa riforma. Una riforma che non ha assolutamente una impronta ideologica.

Per quanto riguarda i licei – ha spiegato il ministro – pur apportando emendamenti e alcune modifiche abbiamo utilizzato la riforma Moratti mentre per l'istruzione tecnica abbiamo cercato di mantenere quanto realizzato dal precedente governo.

Meno quantità, più qualità. – Il Parere del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione

– Estratto: Parere sullo schema di regolamento concernente il riordino dei licei Segreteria del Consiglio Nazionale della P.I. – Adunanza del 7 ottobre 2009.

La didattica laboratoriale. I laboratori manifestano un ampio ed articolato repertorio di spazi contrassegnati da finalità formative generali e da finalità formative specifiche. Sono generali le finalità che si identificano con le competenze di natura trasversale; sono specifiche quelle che coincidono con i linguaggi ed i codici disciplinari.

Nello schema di decreto in esame manca la previsione di laboratori con finalità generali, mentre solo nei licei artistici, musicali e tecnologici sono previsti quelli con finalità specifiche.

Eppure, il laboratorio, in quanto luogo di ricerca e di indagine critica, nel postulare la piena pariteticità dell'intera gamma dei codici della comunicazione, si propone quale centro propulsore per la diffusione e l'attuazione di modelli didattici funzionali ad un apprendimento per competenze.

Sarebbe, pertanto, quanto mai opportuno dotare le istituzioni scolastiche delle risorse professionali ed economiche necessarie per realizzare in laboratorio e con la metodologia della ricerca percorsi di studio centrati sulla flessibilità organizzativa, ed indirizzati sia alla ricostruzione, integrazione e conservazione delle conoscenze, sia all'osservazione ed alla scoperta di aspetti culturali, sia alla padronanza delle strutture sintattiche e logiche delle materie d'insegnamento.

In tale prospettiva, sarebbe oltremodo utile il potenziamento di insegnamenti come il diritto, la matematica, il latino e la storia che, per le interconnessioni che genererebbe sul piano dell'organizzazione razionale dei contenuti, consentirebbe di elevare il tasso di consapevolezza critica degli studenti.

Lo schema di regolamento si limita, invece, a generici impegni quale quello di assegnare alle istituzioni scolastiche un contingente di organico con il quale potenziare gli insegnamenti obbligatori e/o attivare ulteriori insegnamenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano dell'offerta formativa mediante la diversificazione e personalizzazione dei piani di studio, fermi restando gli obiettivi finanziari di cui all'art. 64 della legge n. 133 del 2008 e subordinatamente alla preventiva verifica da parte del Miur di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze circa la sussistenza di economie aggiuntive.

Di qui una chiara e netta discrasia tra le misure di accompagnamento e gli obiettivi di qualità fissati con il nuovo assetto ordinamentale dei licei, tanto più che alle istituzioni scolastiche autonome non si riconosce un organico d'istituto e si interviene, invece, sul tempo scuola riducendolo. Eppure, il tempo scuola è un fattore di 'qualità' dal momento che tempi più distesi nella didattica agevolano la progettazione formativa articolata e centrata sui bisogni dello studente, così come la compresenza di distinte figure professionali in laboratorio è una condizione essenziale per fondare sulla pratica del plurale il piacere della scoperta.

2. Considerazioni dal reale.

L'interpretazione che i protagonisti della riforma attribuiscono al proprio operato è esaltante, così come gli intenti dichiarati nelle linee programmatiche del Regolamento concernente il riordino dei licei. Ad esempio, si può leggere:

Il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei

I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali. (art. 2 comma 2 del regolamento recante Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei…).

Per raggiungere questi risultati occorre il concorso e la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del lavoro scolastico:

  • lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica;
  • la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari; l'esercizio di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, storici, scientifici, saggistici e di interpretazione di opere d'arte;
  • l'uso costante del laboratorio per l'insegnamento delle discipline scientifiche;
  • la pratica dell'argomentazione e del confronto;
  • la cura di una modalità espositiva scritta ed orale corretta, pertinente, efficace e personale;
  • l'uso degli strumenti multimediali a supporto dello studio e della ricerca.

Il profilo e le attività definite sono condivisibili e auspicabili nella necessaria riforma dell'organizzazione scolastica, che attualmente presenta palesi sfasature rispetto al contesto a cui è funzionale.

Ma, al di là delle buone intenzioni dichiarate e della bella vetrina adornata, bisogna porre almeno due basilari interrogativi:

1. Come è possibile realizzare una riforma epocale, senza oneri aggiuntivi per le spese dello stato, ma addirittura con significativi tagli sulle risorse finora attivate (o, meglio, sopravvissute alle precedenti potature)?

2. Qual è il quadro unitario della riforma , tanto epocale che deve essere promulgata a puntate da quasi due anni a questa parte, forse per evitare sconvolgimenti emozionali agli impreparati utenti?

3. Come è possibile realizzare una riforma epocale, senza oneri aggiuntivi per le spese dello stato, ma addirittura con significativi tagli sulle risorse finora attivate (o, meglio, sopravvissute alle precedenti potature)?

La riforma indica alle risorse umane della scuola (lavoratori, studenti, famiglie) cosa fare, cosa imparare, cosa attendere. Ma, purtroppo, non indica il come e affida, per sottointeso, il compito di realizzarne i complessi obiettivi esclusivamente a coloro che affrontano la quotidianità della prassi scolastica, senza averli coinvolti nel processo di elaborazione della riforma, se non per consultazioni relative ad ambiti applicativi (variazioni ai quadri orario o a modalità di insegnamento).

I problemi sono numerosi e gravi, ma non si risolvono in un'attività di progettazione fine a se stessa e pesantemente condizionata da una politica di riduzione della spesa pubblica; la scuola viene presentata come una voragine di sprechi, popolata da personale fannullone ed incompetente, perciò deve necessariamente venire ridimensionata nei suoi consumi, data la generale crisi economica.

E' opportuno avviare un ragionamento articolato, e partecipato, sulla questione, riportando almeno tre esempi di incongruenza fra le direttive della riforma e la pratica della realtà scolastica.

1. I tagli dei fondi destinati alle supplenze.

Senza negare sprechi dovuti a disfunzioni, disservizi ed abusi, bisogna, però, ricordare che fra i tagli ritenuti inevitabili, e già effettivi, rientra quello della retribuzione delle supplenze per periodi brevi, il cui onere è passato dallo Stato ai fondi del singolo Istituto, che, nella maggior parte dei casi, a stento riescono a coprire i costi dell'amministrazione ordinaria (materiali di cancelleria, manutenzione macchine, riparazioni strutture…), per cui se il Dirigente non può pagare il supplente e non ha personale interno disponibile, o suddivide gli alunni in più classi (scuole dell'infanzia e primarie) o le lascia scoperte. Naturalmente, il personale fannullone ed incompetente, non comprendendo che si tratta di sistemi innovativi per incentivare l'autonomia gestionale degli studenti e la resistenza psico-fisica di insegnanti che si trovano in classe anche 32 bambini, per partito preso, cerca solo pretesti per demolire una visione illuminata del risparmio.

2. I laboratori fra costi e necessità.

Un altro esempio di incongruenza fra virtuale e reale riguarda l'impiego costante del laboratorio e degli strumenti multimediali, che viene esplicitamente sollecitato dalla predetta riforma e presuppone:

  • l'allestimento e la manutenzione di strutture molto costose, in numero adeguato per scuole, che, a seguito della politica economica degli accorpamenti, tendono ad accogliere mediamente 900 alunni;
  • la formazione del personale tecnico e docente, che deve imparare e tenersi costantemente aggiornato.
    • Ma se, già allo stato attuale, mancano i fondi per attività didattiche e laboratoriali indicate come fondamentali, così come quelli per le supplenze, nella prospettiva delle ulteriori riduzioni previste dalla riforma, nessuno potrà realizzare i magnifici programmi, che rimangono la pubblicità delle belle intenzioni dei bravi legiferanti, incompresi e bistrattati da personale fannullone, incompetente e pure polemico.

      3. L'educazione all'analisi della società della telecomunicazione, delle immagini e del virtuale.

      Nel Profilo d'uscita, fra gli obiettivi del Liceo delle scienze umane viene indicato:

      “possedere gli strumenti necessari per utilizzare, in maniera consapevole e critica, le principali metodologie relazionali e comunicative, comprese quelle relative alla media education.”

      Il quadro orario generale non prevede discipline direttamente afferenti alla media-education (linguaggi non verbali e multimediali, previsto nel Liceo delle scienze sociali, scompare); tale apprendimento viene destinato agli insegnamenti facoltativi o opzionali? Ma non dovrebbe essere più caratterizzante?

      La società contemporanea è dominata dalle tecnologie informatiche e della telecomunicazione, nonché dalla trascuratezza nei confronti dell'analisi e della conoscenza di strumenti e linguaggi ormai fortemente presenti e condizionanti la realtà; tali tecnologie possono attivare modelli relazionali alternativi, o addirittura antagonisti, a quelli della scuola e, per la loro vastissima diffusione nell'immaginario degli adolescenti, dovrebbero essere materia di studio e conoscenza, non solo per il liceo delle scienze umane.

      Sino a qualche anno fa, la problematica caratterizzante l'espressione scritta era quella che gli studenti scrivevano come parlavano, adesso è quella che scrivono come vedono, ovvero con una costruzione sintattica e logica frammentata e inconclusa: riproducono il linguaggio analogico delle immagini nell'ambito della scrittura. Il fenomeno potrebbe costituire interessante, e pragmatico, ambito di indagine per i sociologi, ma, nel contempo, pone una problema nuovo agli insegnanti, in quanto non si risolve con la correzione e il consolidamento di competenze espressive già strutturate, seppur instabilmente.

      La questione, di cui la scuola riflette solo alcuni dei suoi aspetti, si inquadra nelle analisi che, nella scala evolutiva dell'uomo, intravedono la definizione di una vera e propria forma mentis, in cui, a causa della sovraesposizione a stimoli visivi, le competenze logico-analitiche stanno involvendo, mentre le aree ancestrali della percezione sono caricate a dismisura da flussi emozionali disordinati, scomposti e violenti. Le competenze che si stanno perdendo sono proprio quelle sui cui la scuola principalmente istruisce la sua attività. L'obiettivo è incommensurabile: arginare la repentina, e sembra inarrestabile, regressione di abilità sedimentatesi nel corso di millenni e, almeno finora, indicative del livello di progressione della razza umana.

      La decodifica della realtà, ormai, passa attraverso competenze relative a tipologie di testi non solo verbali, la cui analisi sarebbe pertinente all'insegnamento della media-education, che viene, però, intesa dai riformisti come una metodologia e, quindi, non come disciplina. Pertanto, non definendo una professionalità autonoma, sarà spalmata nei programmi dell'insegnamento di materie affini (italiano, psicologia, sociologia, filosofia, storia, ma anche geografia, latino, lingue straniere, musica, arte e, (perché no?), matematica, che contempla l'informatica), accrescendo il capitale umano di tuttologia mediante tempestivi corsi di formazione, possibilmente on-line, perfezionando così, in economia, le competenze richieste.

      La cabina di regia della riforma, data l'esperienza dei suoi componenti, è consapevole della questione e delle conseguenze che, nel corso degli anni, mano mano che le attuali giovani generazioni assumeranno nella società responsabilità dirette (minime o massime che siano), incideranno sempre più pragmaticamente sulla capacità di organizzazione e di esecuzione dei compiti e dei lavori, nel vissuto individuale e collettivo. Ma allora perché i riformisti non possono cedere rispetto alla definizione della media-education come una professionalità specifica di insegnamento? Per coerenza con la visione illuminata del risparmio, stroncando così le altre analoghe, prevedibili richieste di proliferazioni disciplinari, considerate superflue, dispersive e dispendiose? Per convinzione che l'istruzione e la formazione degli studenti così contemplata siano coerentemente funzionali al quadro futuro della società? Per la sensazione di smarrimento e di impotenza rispetto a problematiche così complesse in una generale situazione di crisi? Per quale altro ipotizzabile motivo?

      L'amministrazione statale ribadisce che le spese per la scuola sono eccessive e che bisogna coraggiosamente avviare la vera politica del risparmio, per evitare di incorrere in situazioni insostenibili; viene considerato irrinunciabile tagliare gli investimenti sulla formazione delle giovani generazioni – ovvero i nostri figli, gli eredi delle magnifiche e progressive sorti del futuro – che già pongono condizioni molto problematiche per la scuola.

      Ma quale credibilità, quale autorevolezza può avere una fonte, che proclama la necessità di sacrificare le risorse per la scuola, a vantaggio di urgenze sociali più pressanti, ma non interviene, ad esempio, nei confronti delle cassa-integrazioni concesse ad aziende che chiudono in Italia, per aprire all'estero?

      Quale credibilità, quale autorevolezza rispetto a richieste di risparmio che considerano sacrificabili gli apprendimenti e la formazione delle giovani generazioni, dei nostri figli, rispetto, ad esempio, alle spese profuse per opere faraoniche irrealizzate e, forse, irrealizzabili, per i sistemi di appalto delle grandi opere pubbliche perennemente sotto indagini della magistratura, per l'uso privato di aerei di stato, per i contributi stanziati per le vacanze di giovani ed anziani?

      Sicuramente la scuola non può riqualificarsi con una politica di ulteriori tagli sulle risorse che rappresentano gli investimenti per il futuro, né senza mettere in discussione, in un quadro unitario di riforma, anche i problemi concreti, quali l'ingestibilità di istituti o contesti drammaticamente svantaggiati, ove la scuola diventa un contenitore o una discarica di tensioni psico-sociali e non luogo di cultura, o le questioni aperte, quali la valutazione e l'autovalutazione dei processi di apprendimento, compresa l'efficacia del lavoro dei docenti.

      Si tratta di fatti ed argomenti disturbanti, che alimentano scontri impopolari, ma rappresentano alcuni dei veri problemi della scuola, rimandati ad altri imprecisati momenti di analisi ed evidentemente non considerati parte integrante di un quadro di riforma complessivo, presentato in forma discontinua.

      4. Qual è il quadro unitario della riforma, tanto epocale che deve essere promulgata a puntate da quasi due anni a questa parte, forse per evitare sconvolgimenti emozionali agli impreparati utenti?

      La riforma viene trasmessa a puntate. Nel febbraio 2010, periodo di iscrizioni per le scuole superiori, sono stati appena resi noti i profili in uscita dei licei e i quadri orario, mesi dopo la pubblicazione del Regolamento; ancora misteriosi rimangono i programmi, la definizione delle classi di concorso per gli insegnamenti sulla base delle mutazioni disciplinari o degli indirizzi di scuola, alcune attribuzioni dei percorsi di studio agli istituti, le modalità di formazione e reclutamento dei docenti. L'orientamento per le famiglie sarà necessariamente approssimativo. E' inevitabile chiedersi perché la riforma non è stata varata, dopo aver sviluppato e chiarito tutte le sue implicazioni.

      Si tratta di ineluttabili necessità logistiche di bruciare le tappe, perché senza la riforma adesso il sistema scuola è talmente compromesso da poter crollare nell'imminenza?

      Si tratta di una precisa scelta di presentare un pezzo per volta dell'intero impianto, perché i riformisti vogliono proprio presentarlo in maniera frammentata o perché non sono riusciti ancora a completarlo?

      Se il fine primo della riforma è la riqualificazione della scuola, e non solo una politica di tagli, non avrebbe, a rigor di logica, dovuto essere pubblicizzata una volta completa in tutte le sue componenti?

      Interrogativi, dubbi, perplessità non vogliono ostacolare, per spirito di contraddizione, l'impegno dei riformisti a potenziare la qualità della scuola pubblica, ma mettere in evidenza il profondo scollamento fra le linee programmatiche delle menti legiferanti (la cabina di regina della riforma), sicuramente animate dai più nobili proponimenti, e la concretezza delle problematiche e delle risorse, sicuramente controverse e disarticolate.

      Assicurare agli studenti profili in uscita del qualificante livello ipotizzato nella riforma prevede competenze del magico e del soprannaturale per gli addetti ai lavori, soprattutto perché i profili in entrata sono, sempre più spesso, definiti su caratteri diametralmente opposti.

      La scuola rispecchia la società: stimoli, distonie, dissesti. Motivo per cui, senza una linea programmatica elaborata sull'analisi delle dinamiche reali che coinvolgono – ma, ahimè, anche sconvolgono, involvono – i partecipanti della scuola, nessuna riforma potrà avere un'incidenza pragmaticamente qualificante, nessuna riforma potrà garantire la piena funzionalità della scuola a formare persone in grado di sostenere un futuro prevedibilmente destabilizzante. Manca, cioè, una teoria programmatica, credibile sulla base di analisi del concreto, su cui impostare le strategie operative.

      Bisogna avvicinare la scuola virtuale a quella reale, ascoltando la viva voce di tutte le risorse della scuola: non sono sufficienti gli ineccepibili curricula dei registi della riforma. Gli organi collegiali (personale, studenti, famiglie) devono essere consultati relativamente alla loro esperienza e alla loro valutazione sul presente e alle loro aspettative sul futuro della scuola; ogni istituto, anche in forma di rappresentanze significative di realtà socio-territoriali caratterizzanti, dovrebbe essere invitato ad esprimersi, sulla base di modalità e parametri incentrati sui nodi focali comuni, che i dirigenti ministeriali, votati all'efficientismo aziendale, saprebbero indubbiamente elaborare su criteri di essenzialità, praticità ed economicità.

      D'altronde, sulla base del quadro emergente dall'analisi, anche le componenti della scuola devono mettersi in discussione, soprattutto rispetto al ginepraio della questione (auto) valutazione, che rappresenta l'essenza stessa della scuola ed una questione destinata, per sua natura, a rimanere sempre aperta, sempre in discussione:

      • sapere, capire se ha istruito e formato persone in grado di interagire propositivamente nel contesto di inserimento;
      • monitorare e rielaborare interventi e strumenti sulla base dei risultati, della risposte e delle modificazioni del contesto di cui è funzione.

        Ad esempio, un artigiano può valutare il prodotto del suo lavoro sulla base di parametri oggettivamente e rapidamente misurabili, quali la funzionalità, la resistenza, il gradimento del mercato, mentre valutare l'apprendimento e le competenze di persone in formazione, in particolare rispetto alle capacità e ai metodi impiegati, è difficilissimo: lo stesso insegnante può misurare risultati diversissimi nella stessa materia per la stessa classe. E' un processo che, per la complessità delle sue implicazioni, non trova una risoluzione definitiva in parametri immutabili ed infallibili, ma sicuramente incoerenze e disfunzioni manifeste possono essere corrette; le risorse della scuola devono prendersene l'impegno e la responsabilità.

      A tutti sta a cuore l'istruzione dei giovani, studenti e figli, perché essi rappresentano il futuro e il loro futuro passa attraverso gli insegnamenti della scuola, un'istituzione antichissima, che accompagna l'evolversi della civiltà umana, fin dal suo definirsi nella forme via via più complesse.

      Quello che caratterizza la riforma è, di fatto, un'ulteriore riduzione degli investimenti, che non può assolutamente migliorare la qualità dell'istruzione, già ampiamente messa in discussione nell'immaginario collettivo, come nell'esempio dei due articoli di seguito riportati. Senza investimenti, non c'è sviluppo; l'opportunità di tagli così gravosi dovrebbe essere inequivocabilmente motivata alla luce di un piano di risparmio – a quanto si dice inevitabile – che non lasci adito a dubbi sulle priorità attribuite all'interesse pubblico.

      Infine, se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, vuol dire che considerate seriamente la questione e forse desiderate avere qualche informazione in più sulla scuola reale.

      Vi indico due articoli: La scuola in saldo e la riforma che non c'è. di Pietro Ratto (Fonte: La Stampa, 5/2/2010 )

      Metà studenti da bocciare in italiano. L'Invalsi: nei temi della maturità errori di ortografia e periodi senza senso. L'indagine compiuta assieme all'Accademia della Crusca. Analizzate 6 mila prove dell'esame del 2007. di Benedetti Giulio (Fonte: Corriere della Sera, pagina 25, 20 gennaio 2010).

      Ida Maffei, una madre e lavoratrice nella scuola

      Poi, ciascuno può osservare, riflettere, considerare, obiettare, approvare, rassegnare…

08:00 – 17/10/09 – Cambiano gli Indirizzi Scolastici: si torna al passato…

La scure della “riforma Gelmini” intende tagliare 131.900 teste nel prossimo triennio, tra bidelli, docenti e personale di segreteria, secondo il programma fissato dal Ministero dell’Economia a giugno dello scorso anno (DL 112/08). Già allora, quando non c’era alcun segnale di crisi economica, si era deciso di destinare “la torta” di 8 miliardi di euro sottratti alla scuola ad altri scopi: offrire un’Alitalia senza debiti ai soci CAI, comprare nuovi cacciabombardieri, o per finanziare un ambizioso ponte che non vedrà mai la luce. Scuole elementari, “medie” e superiori sono state chiamate ad offrire il proprio terzo di “torta”,suddivisa in parti pressoché uguali. È chiaro che il governo intende raggiungere l’obiettivo di fare cassa a spese dell’istruzione pubblica lontano dai riflettori, o fingendo di perseguire altro. A questo scopo, in particolare la “Riforma delle superiori”, prevede una realizzazione in tre tempi: un oggi, un domani (in vigore dal settembre 2009) e un dopodomani (dal 2010).

Proviamo ad analizzare i tre tempi.

1. OGGI. Si approva e si rende operativo con effetti immediati la parte di manovra che si vuole pubblicamente visibile: una operazione di facciata che si può definire “per una scuola seria”, ottima dal punto propagandistico perché, posta in questi termini, non può che essere unanimemente condivisibile, malgrado sia a costo zero. Si afferma con grande enfasi che si vuole premiare il merito, anche se dietro la facciata non c’è assolutamente nulla, perché non si vede quali leggi e quali articoli ne parlano, ossia come, dove e il merito di chi. Un obiettivo tanto più paradossale se si pensa che tanto più alte sono le invocazioni al merito quanto minori sono i meriti di chi invoca…

Si afferma ancora che si intende promuovere una scuola più severa e in questo caso si dà sostanza all’affermazione approvando, ad esempio, le nuove norme sull’ammissione all’Esame di Stato del prossimo 25 giugno. Ad inizio anno vigevano le norme stabilite dal precedente ministro (DM 42 del 22/5/2007), poi, il 13 marzo, il Consiglio dei ministri stabilisce che, per l’ammissione, è necessario almeno il 6 in condotta ed in tutte le materie, in ultimo, l’8 aprile, il ministro ci ripensa ed emette la circolare n.40: è ammesso all’esame di Stato chi ottiene la media del 6!

L’ansia di apparire efficienti e inflessibili, cambiando continuamente le norme ad anno scolastico in corso, aumenta forse la popolarità dei “giustizieri”, ma genera grande confusione non solo tra studenti e docenti, ma anche tra gli stessi dirigenti, costretti a recepire circolari ogni giorno diverse.

La tanto propagandata campagna per la bocciatura con il 5 in condotta è, da questo punto di vista, ancora più “esemplare”. Viene sbandierata con grande clamore, viene approvata con la legge 169 del 30/10/2008 e se ne specificano i contenuti con il DM 5 del 16/1/2009. Qui si spiega che il 5 in condotta “deve scaturire […] esclusivamente in presenza di comportamenti di particolare gravità […] che comportino l’allontanamento temporaneo dello studente dalla scuola per periodi superiori a 15 giorni”. Lo schema di regolamento approvato il 13/03/2009, però, stabilisce che il 5 in condotta si applica anche nei casi di mancanze ai seguenti doveri: “…frequentare regolarmente i corsi e assolvere assiduamente agli impegni di studio …avere nei confronti del personale tutto della scuola e dei compagni lo stesso rispetto, anche formale, che si chiede per se stessi …utilizzare correttamente le strutture, i macchinari e i sussidi didattici e non arrecare danni al patrimonio della scuola…” insomma la casistica diventa vastissima e, di pari passo, diventa enorme il potere discrezionale dei docenti. Non a caso la norma ha trovato buoni difensori all’interno delle scuole, tra quei docenti che hanno visto negli ultimi anni venir meno la propria autorevolezza. Molti sembrano trascurare che l’inasprimento degli strumenti repressivi non è di per sé garanzia nell’ottenimento di una maggiore “disciplina”. Una norma cambiata ad anno in corso, inoltre, offrirà il fianco ai ricorsi dei genitori che riterranno i propri figli ingiustamente danneggiati, con ottime possibilità di successo, se potranno permettersi le spese legali.

A questo si aggiunga pure che modelli scolastici come quello anglosassone, che da anni si distingue per una maggiore severità, non sembra ottenere migliori successi in fatto di rispetto delle regole e delle persone da parte degli studenti. I “nostri ragazzi” saranno forse meno bravi dei loro coetanei d’oltralpe nel mettere crocette su un questionario prestampato, ma mai ad oggi sono entrati in una scuola con un fucile, sono significativamente meno inclini al suicidio e raramente aggrediscono i loro docenti con pugni o armi. Se realmente si vuole un maggior rispetto, inoltre, meglio farebbero i docenti a pretenderlo dai mezzi di informazione e dagli stessi ministri, perché le dicerie sui professori ignoranti e scansafatiche sono state negli ultimi anni artatamente calato dall’alto, erodendone “il prestigio”.

Sull’oggi vale la pena di aggiungere che molte scuole sono in forte “sofferenza economica” perché costrette ad anticipare le somme per il pagamento dell’ordinaria amministrazione, delle visite fiscali rese obbligatorie anche per un solo giorno d’assenza e delle supplenze. Questi Istituti vedono crescere a dismisura il credito vantato nei confronti di uno Stato che da mesi non eroga quanto dovuto e hanno dovuto rinunciare a corsi di recupero per studenti in difficoltà, risparmiare sulla carta igienica e lasciare “scoperte” le classi con docenti in malattia.

2. DOMANI. Se ne parla poco o niente, ma le bozze di regolamento divenute legge il 27 febbraio contengono un taglio del personale scolastico delle “superiori” nell’ordine delle diverse migliaia già a partire dal settembre 2009. Si tratta di quel terzo di “non docenti” (personale ATA) che “salterà” già dal prossimo anno (circa un terzo di 15.167) al quale si aggiungono più di 11.000 docenti. Questi saranno tagliati principalmente per effetto di due misure: la riconduzione delle cattedre a 18 ore e l’innalzamento del rapporto alunni/classe. La prima delle due misure equivale a far sì che nessun docente abbia “ore a disposizione”, secondo alcuni utilizzate sino ad oggi per fare shopping o per far pascolare il chihuahua. In realtà queste ore, molto rare e presenti solo in alcune discipline, vengono utilizzate, ad esempio, per coprire le “assenze brevi”, per l’alternativa all’insegnamento della religione o per progetti di recupero e potenziamento. Eliminare queste ore cancellerà uno spazio di flessibilità rivelatosi prezioso per rimodellare l’offerta formativa sulla base di mutevoli esigenze.

L’aumento del rapporto alunni/classe, poi, promette di avere effetti ancora più gravi per il futuro delle scuole superiori. Le “norme per la riorganizzazione della rete scolastica”, in vigore dal 27/2/2009, prevedono infatti un numero minimo per la costituzione delle classi prime pari a 27 alunni e un massimo di 30, con una possibile oscillazione del 10%. Ciò equivale a dire che dal prossimo anno dovranno esserci dai 25 ai 33 alunni per classe, con conseguenze immaginabili sulla didattica, perché chiunque abbia provato ad insegnare sa che non è possibile svolgere una lezione decente in una classe affollata. Mai come in questo caso si rilevano i danni enormi che, per i ragazzi e la loro formazione, può produrre una “riforma” pensata e scritta da persone che mai si sono avvicinate ad una cattedra.

A questo si aggiunga che un’aula gremita è un’aula potenzialmente pericolosa. Il Ministero lo sa, per cui ha promesso di emanare un elenco delle scuole che, per carenze strutturali, potranno conservare i parametri preesistenti. Questo elenco, però, tarda ad arrivare, perché nessuna o quasi delle nostre scuole può garantire la sicurezza con classi di 27 o 33 alunni. Non a caso negli anni una serie di norme hanno cercato di fissare criteri che non dovrebbero essere ignorati, per affrontare possibili incendi e calamità naturali. In particolare il punto 5 del decreto 26/8/1992 del Ministero dell’Interno: “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, pone un limite massimo di 26 persone (25 alunni) per classe. Il D.M. 18/12/1975 indica inoltre “gli spazi minimi vitali per garantire la funzionalità dei locali scolastici”, pari a 1,96mq per alunno. Non è un caso se molti moderni edifici scolastici hanno aule di 52mq, perché contengano non oltre le 26 persone. Le leggi richiamate sono ancora vigenti e ad esse si aggiunge oggi il DLGS 81 del 2008″ DLgs 81/08 (TU della sicurezza sul lavoro) che definisce la scuola “luogo privilegiato per promuovere la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”. In questo luogo “privilegiato” si vogliono inscatolare un numero tale di alunni che già il minimo (27) è superiore al massimo consentito dalle norme anti-incendio. È prevedibile che, qualora domani si verificasse una disgrazia in un’aula sovraffollata, i nostri ministri, dimentichi del calcolo criminale fatto oggi, incolperanno l’onnipresente fatalità o quei presidi ai quali si chiede oggi di mettere da parte ogni residuo di dignità e di essere fedeli esecutori di ordini: affollando aule, sperimentando riforme a scatola chiusa o denunciando clandestini!

3. DOPODOMANI. Le classi prime che si costituiranno nel settembre 2010 dovranno fare i conti con la “revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei Licei” e “degli Istituti tecnici”. Essi hanno in comune il notevole taglio al monte ore settimanale e costituiscono la parte “strutturale della riforma”, quella si propone di modificare scopi e contenuti didattici dei nostri Istituti superiori. Si disegnano due canali ben distinti e separati, con 6 indirizzi liceali sempre meno professionalizzanti (pensati per chi dovrà iscriversi all’università) e 11 istituti tecnici più poveri di contenuti culturali e sempre più legati al mondo delle aziende (che farà il suo ingresso “paritetico” negli organismi decisionali). Si cancellano tutte le sperimentazioni e tutti quegli indirizzi, come il liceo scientifico-tecnologico, che potevano costituire “un ponte” tra i due canali.

Di pari passo si intende far viaggiare la regionalizzazione dell’Istruzione e Formazione professionale e in tal senso appare indicativo il protocollo d’intesa firmato da Gelmini e Formigoni il 16 marzo 2009.

Si discute in Parlamento poi la “Proposta di legge Aprea” n. 953, che intende trasformare le nostre scuole in fondazioni (Art.2) con partner pubblici e privati. Queste saranno strutturate secondo un rigido modello piramidale (Art.3) con il dirigente al vertice e, più in basso, il suo vice, il “Consiglio di amministrazione” che sostituisce quello di Istituto (Art.5 e 6) e il Collegio dei docenti. Tra questi verrà stabilita una gerarchia (art.17) con docenti “esperti” (quei baroni che, lungi dall’essere cancellati dalle università, vengono proposti anche alle superiori), docenti “ordinari” e, buoni ultimi, quelli “iniziali”, sottopagati e continuamente ricattabili, perché soggetti a controlli periodici, come la caldaia.

Tutti gli importanti e articolati programmi per il “dopodomani” meriterebbero però uno specifico approfondimento, perché non si limitano a perseguire l’obiettivo del risparmio di cassa, ma intendono evidentemente modificare volto e sostanza delle nostre scuole superiori. È quantomeno anomalo che tali svolte “epocali” vangano concepite in segreto e maturino in assenza di un dialogo con le parti direttamente coinvolte, quelli che in classe entrano ogni giorno: gli studenti e i loro docenti.

Studenti, genitori e lavoratori della scuola, il governo e le finte opposizioni ci costringono oggi ad una scelta: difendere il futuro della scuola statale o stare alla finestra in attesa che la smantellino!

Fonte: tagicon

18:26 – 06/10/09 – Come Difendersi dai Soprusi dell'Amministrazione Scolastica?

Difendersi dallamministrazione scolastica
Difendersi dall'amministrazione scolastica

Piccolo Manuale di autodifesa dai soprusi dell'amministrazione scolastica.

Galletto Attento
Galletto Attento
La classe è come un pollaio? Verificalo con la scheda sulla sicurezza scolastica!

12:44 – 18/09/09 – Imparare Sicuri: Rapporto sulla Sicurezza nelle Scuole

Imparare Sicuri - Rapporto 2009
Imparare Sicuri - Rapporto 2009
Scuola: alle aule la palma della insicurezza. E da oggi il rischio è il sovraffollamento. Presentato il VII° Rapporto di Cittadinanzattiva su sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici.

Aule invivibili, bagni sporchi, palestre inagibili, cortili immondezzai. E poi crolli di intonaco, sedie e banchi rotti, barriere architettoniche, cavi volanti, pavimenti sconnessi. Un campionario di insicurezza diffuso nelle nostre scuole da Nord a Sud, con alcune situazioni paradossali: ad esempio l’aula con luci talmente soffuse da sembrare un night club, la scuola con 12 alunni disabili ma senza bagni adeguati, e quella senza riscaldamento anche se inaugurata solo tre anni fa.

Dal VII° Rapporto Impararesicuri di Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma, emerge l’immagine di una scuola un pò cadente su sicurezza, qualità e comfort. Da ormai sette anni Cittadinanzattiva indaga sulla sicurezza delle nostre scuole e quest’anno giunge a quota 1447 edifici monitorati da un totale di 1527 cittadini adeguatamente formati.

Il Rapporto 2009 fa riferimento a 106 scuole di 11 regioni, per un totale di 33.606 studenti, di cui 610 disabili, e 3.726 insegnanti.

Già il contesto è a rischio

Gli edifici monitorati si trovano in un contesto ambientale caratterizzato da rischio sismico (54% delle scuole), rischio idrogeologico (26%), rischio industriale (7%), ed in zone ad elevato inquinamento acustico (8%) o elettromagnetico (4%). Le stesse scuole hanno registrato episodi di criminalità nei pressi o all’interno dell’edificio (14%), oltre che episodi di bullismo (11%) e vandalismo (34%). Per gli incidenti, ricordiamo i dati Inail appena pubblicati: nel 2008 ci sono stati 92.060 infortuni accorsi a studenti (+1.6% rispetto al 2007) e 13.879 ad insegnanti (+1,8%).

Certificazioni: sempre assenti

Resta grave l’assenza delle certificazioni. Risulta provvista del certificato di agibilità statica solo una scuola su tre (32%), ed una su quattro ha i certificati di agibilità igienico-sanitaria (26%) e di prevenzione incendi (27%).

Dato molto positivo è quello relativo alle prove di evacuazione, realizzate da tutte le scuole monitorate, almeno una volta l’anno. C’è però ancora la metà degli studenti che riceve solo sporadicamente, o non riceve affatto, attività formative sui comportamenti per la sicurezza. A questo proposito Cittadinanzattiva annuncia che anche quest’anno, il 25 novembre, si celebrerà la VII Giornata nazionale della sicurezza nelle scuole: saranno coinvolte le scuole di tutta Italia, con un evento centrale in Abruzzo in collaborazione con il Dipartimento nazionale della Protezione civile.

Distacchi e crolli di intonaco: si salvi chi può

Basterebbe riepilogare gli episodi di cronaca che, solo nel corso del 2008-2009, hanno raccontato di cadute di finestre, solai, tetti e controsoffitti per rendersi conto che è un problema da non sottovalutare. Da Naro (AG) a Biella, da Poggioreale a Messina, da Bolzano a Agrigento, da Novoli (LE) a Belluno ed ancora a Carbonia, solo per citarne alcuni come esempio. I distacchi di intonaco interessano, in misura diversa, tutti i locali scolastici: sono segnalati nel 17% delle aule, nel 16% dei laboratori scientifici, 14% delle palestra, 13% delle mense, 11% dei bagni e aule computer.

Aule, che disastro!

Le aule in cui studenti ed insegnanti trascorrono dalle cinque alle otto ore al giorno, sono un vero disastro dal punto di vista del comfort e della sicurezza. Come se non bastasse, da questo nuovo anno scolastico, saranno anche a rischio sovraffollamento, a causa del nuovo decreto attuativo del Ministro Gelmini (legge 133/2008, art.64) che innalza il numero minimo e massimo di alunni per classe. Per questo Cittadinanzattiva lancia da oggi una “Misuriamoci con classe”, campagna di sensibilizzazione rivolta ai cittadini per invitarli a segnalare aule sovraffollate. Basterà compilare l'apposita scheda.

Aule con...
Aule con...
Ecco alcuni dati:

Fonte: Cittadinanzattiva, VII Rapporto Impararesicuri 2009

Le palestre: così poche, così malmesse

Il 34% delle scuole monitorate non dispone di una palestra al suo interno. Per il resto conquistano la palma dell’ambiente più sporco della scuola e ben poco adeguato ai disabili (ben il 22% presenta barriere architettoniche).

Ecco la classifica degli ambienti più sporchi: palestre (17% delle scuole), bagni e corridoi (12%), aule studenti (11%), mensa (9%), sala docenti (6%), aula computer (5%), segreteria e laboratori scientifici (4%), biblioteca (3%).

Altro che mascherina, qui serve il sapone

Mentre si parla di influenza suina e di strategie per la prevenzione nelle scuole, Cittadinanzattiva registra ormai da anni bagni senza sapone. Quest’anno sono il 61% del totale.

Cosa manca...
Cosa manca...

Fonte: Cittadinanzattiva, VII Rapporto Impararesicuri 2009

Cosa chiediamo

Dati certi da quali partire. “Il ministro Gelmini, spiega Bizzarri, ha annunciato che a dicembre si sarà l’Anagrafe dell’edilizia scolastica. Noi aspettiamo che i risultati siano resi pubblici e soprattutto che servano da base per disporre gli interventi necessari e non più prorogabili”.

Nessuna proroga. Sempre a dicembre 2009 è il termine ultimo perchè enti locali e regioni adeguino le scuole alla legge sulla sicurezza (decreto 81/08). Non accetteremo proroghe.

Non interrompere i finanziamenti per almeno un quinquennio. E’ indispensabile proseguire nel reperimento dei fondi, pubblici e privati, dando la priorità, per la messa in sicurezza degli edifici, a quelli in peggiori condizioni e a quelli situati nelle zone ad alta e altissima sismicità.

Idoneità sismica. Nelle zone ad elevato rischio sismico, la certificazione non è tutto. Per le scuole situate in queste zone va prevista anche l’idoneità sismica perchè è l’unica che attesta che la scuola è in grado di “reggere” ai terremoti.

Aule sicure e accoglienti. In aula i ragazzi trascorrono il 90% del loro tempo a scuola. Bisogna investire per la loro messa in sicurezza e per renderle accoglienti. “Al Ministero chiediamo di valutare l’impatto del decreto (legge 133/2008, art.64) che innalza il numero minimo e massimo di alunni per classe e, se necessario, che lo ritiri: il rischio del sovraffollamento è reale, e non si può scaricare tutta la responsabilità sui dirigenti. Dal canto nostro vigileremo sulla situazione ed interverremo a sostegno dei cittadini”, conclude Bizzarri.

Download Rapporto 2009 ImparareSicuri

Fonte: CittadinanzAttiva

13:10 – 06/09/09 – Linee guida per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilitá

Linee Guida Alunni con Disabilità
Linee Guida Alunni con Disabilità

Nel documento sono raccolte una serie di direttive che hanno lo scopo di migliorare il processo di integrazione degli alunni con disabilità. Elaborate sulla base di un confronto fra dirigenti ed esperti del MIUR nonché con la partecipazione delle Associazioni delle persone con disabilità, esse mirano a rilanciare il tema in questione, punto fermo della tradizione pedagogica della scuola italiana, e che tale deve essere anche in momenti di passaggio e trasformazione del sistema di istruzione e formazione nazionale.

Documento disabilità

Fonte: Erasmo’s Weblog.