12:24 – 23/10/10 – Scuola Pubblica Vendesi?

Comprami, Io Sono in Vendita....
Comprami, Io Sono in Vendita....

L'ipotesi di una costituenda Scuola Spa è apparsa su alcuni quotidiani nei giorni scorsi ma non è stata seguita da dichiarazioni ufficiali da parte di nessuno dei tre Ministeri (Economia, Infrastrutture ed Istruzione) da cui sarebbe partita la proposta. Questa circostanza, già di per sé singolare, desta grande preoccupazione perché, alla luce di episodi precedenti (link all’elenco delle 12.000 scuole a rischio sicurezzalink all’elenco delle 2.400 scuole rischio amianto).

Si è visto come spesso trapelino notizie per le quali si aveva già pronto un piano di interventi e di finanziamenti non condiviso con i soggetti istituzionalmente preposti per competenze, regioni, province, comuni, men che meno con le famiglie e i ragazzi direttamente coinvolti.

Che cosa ci si propone con la scuola Spa? Di dar vita ad un soggetto misto, pubblico–privato, nazionale, che si occupi della gestione dell'edilizia scolastica ma anche della gestione di mense, corsi di formazione e aggiornamento. Per far questo i tre Ministeri starebbero lavorando ad un piano operativo e, forse, ad un testo legislativo che, entro la fine di ottobre, dovrebbe dare vita ad una Spa rilevando tutte le competenze, oggi proprie degli enti locali, riguardanti la proprietà, la costruzione, la manutenzione, la messa in sicurezza degli edifici scolastici.

I fondi inizialmente a disposizione della Spa sarebbero quelli dell'ultimo stralcio dei fondi CIPE destinati all'edilizia scolastica, di circa 400 milioni di euro.

Tra le righe si parla anche del grave stato in cui versa l'edilizia scolastica al punto che sembrerebbe che 10.000 edifici scolastici sarebbero da demolire.

Alcuni elementi dell'operazione destano in noi molta preoccupazione.

Innanzitutto non è ammissibile scoprire per caso, da un articolo di giornale, che 10.000 dei 42.000 edifici scolastici pubblici dovrebbero essere demoliti, quando da anni aspettiamo di sapere quale sia la reale situazione e dimensione del problema, attraverso i dati dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica, di cui sembra che solo pochi abbiano il privilegio di conoscere i risultati.

In secondo luogo, non capiamo la necessità di ricorrere a strumenti straordinari e non avviare piuttosto, come avviene in tutti gli altri paesi europei, programmi decennali di edilizia scolastica, compartecipata, senza interruzioni e senza tentennamenti al di là del succedersi dei governi.

In terzo luogo, ci chiediamo come si possa conciliare l'avvento del federalismo nell'istruzione (ancora in gestazione) con atti che non solo centralizzano ma privatizzano beni pubblici preziosi e vitali come le scuole, togliendo di fatto a regioni ed enti locali i poteri di cui sono competenti per legge in materia di edilizia scolastica. E sicuramente gli stessi sarebbero ulteriormente penalizzati: con questa operazione dissennata, gli enti locali si troverebbero più poveri di quanto già non siano per aver perso un patrimonio inestimabile prima (gli edifici scolastici) e per dover pagare poi gli affitti degli immobili di cui attualmente sono proprietari. Sarebbe meno paradossale e più semplice lavorare sulla revisione dei limiti imposti dal Patto di stabilità, consentendo ai Comuni virtuosi di spendere quanto a loro disposizione e a quelli inadempienti di essere colpiti con sanzioni e azioni di surroga da parte del Governo centrale.

Che dire poi dell'oggetto dell'operazione: non si possono mettere sullo stesso piano edilizia scolastica e gestione delle mense, gestione del personale ATA e corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti. Ma non sarà che, in fondo, si considerano i bambini che mangiano, il personale docente che si aggiorna, il personale ATA che si professionalizza, al pari delle suppellettili e delle strutture scolastiche da aggiustare e rimodernare?

Per tutto questo la Spa non ci sembra la soluzione al problema. Ci sembra piuttosto la strada più breve e rapida per distruggere il bene pubblico scuola ed accelerarne la sua totale privatizzazione, accampando motivazioni legate all'urgenza e alla gravità della situazione.

Adriana Bizzarri .
Coordinatrice nazionale della Scuola di cittadinanza attiva
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Fonte: CittadinanzAttiva.

Vedi anche:
Speciale sulla Sicurezza nelle Scuole Italiane. (Dossier di articoli).
11:31 – 08/06/10 – Elenco Nazionale delle Scuole con Problemi di Sicurezza.
12:27 – 09/08/10 – Scuole a Rischio Amianto ma i Soldi per Bonificarle Spariscono…

18:05 – 04/11/09 – Che Cosa si Nasconde dietro a un Crocifisso…

Mappa Mondiale della Percezione della Corruzione...
Mappa Mondiale della Percezione della Corruzione... (clicca sull'icona per ingrandire)

La Chiesa costa ogni anno ai contribuenti italiani circa 4 miliardi e mezzo di euro. Più del costo del sistema politico. Mezza finanziaria. Quella che presentiamo qui non è che la stima ottimistica. Ce ne sono alcune che arrivano anche a 9 miliardi di euro all’anno.

 L’otto per mille, grazie ad un meccanismo messo a punto a metà degli anni 80 da un consulente del governo Craxi di nome Giulio Tremonti, assegna alla Chiesa Cattolica anche le quote di chi non ha espresso alcuna preferenza. Per fare un esempio, fatta 100 la base dei contribuenti, se ce ne sono 40 che mettono una croce su uno dei destinatari possibili dell’8 per mille, e 30 di questi scelgono la Chiesa Cattolica, i tre quarti degli altri 60 contribuenti che non hanno espresso alcuna preferenza – ben 45 persone – si troveranno a devolvere il loro 8 per mille al Vaticano. Da 30 preferenze reali a 75 con un colpo di bacchetta magica degno di Harry Potter. Un giochetto che porta nelle casse della Chiesa Cattolica circa un miliardo di euro ogni anno. Nel resto dell’Europa diversamente religiosa, naturalmente, la contribuzione è non solo volontaria, ma le quote derivanti dalle preferenze non espresse restano allo Stato.

Se siete deboli di cuore non leggete la prossima frase. L’Art.47 della legge 20 maggio 1985, n. 222 stabilisce che ogni anno, entro il mese di giugno, lo Stato corrisponde alla Conferenza Episcopale Italiana un anticipo calcolato sulle preferenze espresse dell’anno precedente. Avete capito bene: voi anticipate ogni anno le tasse e l’Iva sulla base dei vostri guadagni passati e della presunzione di quelli attuali. Se non avete guadagnato dovete giocoforza andare a rubare. Lo Stato, viceversa, prende i vostri anticipi e li anticipa alla Chiesa Cattolica. Che glieli abbiate dati o meno. Nel 2007 abbiamo anticipato alla CEI 354 milioni di euro.

 Un altro miliardo se ne va per gli stipendi ai circa 22 mila insegnanti di quella che impropriamente viene chiamata ora di religione. In realtà, anche tecnicamente, si chiama Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), anche se lo stato non sa bene cosa effettivamente si insegni durante le lezioni, come sostenne lo stesso Berlinguer in un’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana. Quello che è certo è che i docenti – pagati dallo Stato italiano – che si azzardano ad accennare alla storia delle altre religioni o a diverse concezioni del mondo, vengono licenziati.


 Almeno 700 milioni vengono versati da tutti noi per le convenzioni su scuola e sanità. Nel solo 2004, le scuole cattoliche hanno beneficiato di 258 milioni di euro di finanziamento, 44 milioni per le cinque Università cattoliche, 20 milioni per il Campus Biomedico dell’Opus Dei, portati a 30 dall’anno successivo. Con la circolare ministeriale 38/2005, le scuole non statali hanno raddoppiato le elargizioni: 527 milioni di euro, portati a 532,3 milioni a fronte dei tagli all’istruzione. Si impoverisce l’istruzione per tutti, si arricchisce l’istruzione per pochi. Più siete ignoranti, più siete propensi a votare per maghi, ballerine, showgirl e presentatori.

Le convenzioni pubbliche con gli ospedali cattolici ammontano poi a un altro miliardo di euro. Quelle con gli istituti di ricerca a circa 420 milioni mentre le case di cura raggranellano la bellezza di 250 milioni di euro.
 Poi ci sono le regalie una tantum. Il Giubileo è stato finanziato con quattro spicci: 3500 miliardi di lire. Uno degli ultimi raduni di Loreto ci è costato 2,5 milioni e così via, per una media annua di circa 250 milioni di euro.

 Il mancato incasso dell’Ici vale circa 700 milioni di euro all’anno, ma c’è chi – per esempio Piergiorgio Odifreddi – valutando il patrimonio immobiliare della Chiesa in alcune centinaia di miliardi di euro, arriva a considerare il mancato gettito fiscale pari ad almeno 6 miliardi di euro. Lo sconto del 50% su Ires, Irap e altre imposte ci costa più o meno 500 milioni. L’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, con i suoi 40 milioni di pellegrini che ogni anno vanno avanti e indietro dall’Italia, ammonta ad altri 600 milioni di euro.

 A questi dati, aggiungo i 52 milioni di euro che ho calcolato personalmente nell’articolo Tele-Vaticano: il subappalto alla Chiesa Cattolica di oltredueterzi del palinsesto del servizio pubblico televisivo, che il trattato di Amsterdam ci obbliga a ricollegare direttamente alle esigenze democratiche, sociali e culturali della società, e all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione.

 Non esiste un altro paese che spende altrettanto per il costo di una religione. Nessun altro paese laico, perlomeno.

A fronte di tutto questo, ieri la Chiesa Cattolica ha diramato un comunicato dove afferma che “non è certo espressione di laicità, ma la sua  degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione”. Non oso immaginare quale tributo di sangue dovremmo pagare se non fossimo ostili a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione. L’Avis al confronto è uno spaccio di succhi di frutta.

 Ovviamente non sono tutte rose e fiori. Anche la Chiesa, come la RAI fa con l’AGCOM, deve inviare un resoconto dettagliato allo Stato italiano sull’utilizzo delle somme derivanti dall’incasso dell’otto per mille. L’articolo 44 della legge 20 maggio 1985, n. 222 dispone che la Conferenza Episcopale Italiana trasmetta annualmente all’autorità statale competente il rendiconto relativo all’effettiva utilizzazione delle somme di cui agli articoli 46, 47 e 50, terzo comma, della stessa legge.

 Se avete presente gli spot elettorali della CEI per incentivare la preferenza sull’otto per mille, quelli con la musica strappalacrime e i bambini africani che spalancano enormi occhioni scuri provati dalla fame, sapete bene che il mantenimento delle missioni e gli interventi caritativi nel mondo sono un argomento efficacemente usato per convincervi ad apporre la famigerata x. Stupisce quindi che gli interventi caritativi a favore dei paesi del terzo mondo, nel rendiconto relativo all’utilizzazione delle somme pervenute nel 2007, assommino a soli 85 milioni di euro, circa l’8% del totale ricevuto. C’è poi un 12% utilizzato per interventi di carità in Italia e il resto serve all’autofinanziamento: il  35% va agli stipendi dei quasi 40 mila sacerdoti italiani, mentre mezzo miliardo all’anno viene speso per imperscrutabili esigenze di culto, spese di catechesi, attività finanziarie ed immobiliari. “Il Vaticano è il più ricco Stato del mondo per reddito pro capite.” [Curzio Maltese, La Questua, Feltrinelli]

 “La Chiesa sta diventando per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo.”
 No, non l’ho detto io. L’ha detto trent’anni fa un teologo progressista: Joseph Ratzinger.

 Credete ancora che il vero problema siano i crocifissi nelle aule?

Fonte: ByoBlu – Il Blog di Claudio Messora

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Sto ascoltando: Franco Battiato – Inneres Auge
via FoxyTunes

19:35 – 25/07/09 – Il Valore dell’Istruzione…

Tutti i Gusti sono Gusti...
Tutti i Gusti sono Gusti...

Editoriale di Davide Suraci.

Non si può non essere d'accordo con quanto scrive Luca Ricolfi su La Stampa. Quella che Ricolfi indica è tuttavia una piccola sfaccettatura di un problema ben più vasto senza la risoluzione del quale non sarà mai possibile cambiare rotta. A poco servirebbe, infatti, “insegnare qualcosa che a poco a poco, diciamo in una ventina d'anni, risollevi i nostri figli dal baratro cognitivo in cui li abbiamo precipitati” se non comprendiamo prima che non solo la scuola, ma anche la società italiana è precipitata in un baratro sociologico

Sarebbe perciò molto interessante capire, dal punto di vista sociologico, quali sono state le cause di tale sprofondamento in cui sono precipitati la scuola e la società italiane. Non siamo sprofondati per caso e improvvisamente ma per gradi. Si è trattato infatti di un fatto evolutivo/involutivo strettamente correlato con i cicli di rinascita/distruzione che caratterizzano tutti i sistemi biologico-sociologici.

Basti pensare alle comunità di insetti che, come la maggioranza dei viventi, tendono a conservare la loro presenza sul territorio costruendo i nidi nei luoghi più sicuri. Già, ma chi dice loro che sono tali? Forse la scuola? Immaginate adesso una qualsiasi “comunità” di italiani alle prese con la gestione del proprio territorio “vitale” e fate il confronto…Domanda: gli italiani hanno veramente bisogno della scuola? A giudicare dai risultati ottenuti, sembrerebbe proprio di no; anzi, più la massa è liberata dalla facoltà del “non pensare” più essa è “funzionale” agli obiettivi del potere…Tanto più l'italico individualismo è riuscito a ritagliarsi la propria fetta di potere, tanto meno spazio è rimasto per la libertà degli altri di crescere e di evolversi…Per chi non l'avesse ancora capito, mi sto riferendo proprio al “pensiero dominante” quale “decisore culturale” prima ancora che politico, religioso od etico…

Purtroppo, il “pensiero dominante” di cui la nostra società è pregna possiede solo degli obiettivi di brevissimo termine e coincide con gli interessi di coloro che del valore dell'istruzione non sanno proprio che farsene.

In questa storia hanno barato tutti, fin dalla nascita di questa Repubblica: non è sufficiente, infatti, avere una buona Costituzione quando mancano i presupposti per metterla in pratica, quando i politicanti di turno si creano dei privilegi ad hoc, quando le istituzioni intendono dare il buon esempio mentre hanno le mani sporche di sangue.

Che cosa è possibile pretendere dai nostri studenti, dai nostri insegnanti, dalla nostra scuola, dalla nostra università, dalla nostra società, quando le nostre “istituzioni” fanno acqua da tutte le parti?

In tutto questo sembra esservi, purtroppo (ed è un fattore aggravante), una connivenza della nostra società con il potere più perverso nel senso che, lasciandolo fare, abbiamo avallato il suo operato e tutte le sue scelte.

Il valore dell'istruzione deve essere dunque posto prima di qualsiasi altro interesse politico-affaristico-religioso: non può essere barattato con nessuna “ragione di Stato” ed è un diritto umano nel suo più profondo significato, anche se la nostra Costituzione non ne fa alcun cenno. I primi segnali di una democrazia vacillante si manifestano quando il peggiore “sentire comune” si identifica nei “non-valori” dell'essere “qualcuno” e dell'avere per apparire…

Le scelte in materia di politica scolastica (come tutte quelle di politica in generale) – prendiamo una data di inizio (immediato dopoguerra ma potrebbe essere una qualsiasi della nostra storia) – sono da sempre (e volutamente) caratterizzate da obiettivi di brevissimo periodo e con finalità strumentali alla gestione del potere. Già, in Italia stiamo ancora subendo le conseguenze dei mancati appuntamenti con la democrazia perchè abbiamo perso (o perchè deve ancora nascere?) la facoltà di decidere individualmente (e collettivamente) dei nostri destini.

Purtroppo è ancora l'italico individualismo che ci ha fregato la democrazia.

Ricordate Padre Padrone? La nostra società, la nostra scuola e le nostre vite rappresentano il “Gavino bambino”, inerte spettatore delle scelte fatte dal padre, con la sola differenza che il “Gavino adulto” riuscirà a dire di no ma sarà poi tentato dal diventare, a sua volta, il “padre-padrone” di turno…


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